Le avventure di una gitana a Verona
di Irina Sorokina
Grande successo per lo spettacolo sfarzoso e sgargiante di Franco Zeffirelli con la direzione di Daniel Oren e un cast ben assortito.
Verona, 23 giugno 2023 - Dopo l’Aida verdiana è Carmen di Bizet l’opera più rappresentata nel celebre anfiteatro veronese. I militanti dell’Arena si ricordano parecchie versioni sceniche dell’opera egizia del bussetano, al contrario, Carmen torna in scena quasi sempre nella versione kolossal ideata e costruita da Franco Zeffirelli. Dal lontano 1995 al giorno d’oggi c’è stato un unico tentativo di sostituirla con la messa in scena firmata da Hugo De Ana, in cartellone nel 2018 (nell’anno della première) e nel 2019: il lavoro del regista argentino confrontato con il mega allestimento del maestro fiorentino ha dimostrato efficacia minore.
Quindi nell’epoca post pandemica si torna ad assistere alla messa in scena ideata da Zeffirelli, dopo aver ammesso che nonostante lo stile eccessivamente naturalistico, oggi superato ormai, lo spettacolo funziona e quindi le nuove generazioni di spettatori arrivano a occupare i posti sui gradini roventi dell’Arena per conoscere la storia dell’amore infausto del soldato e della gitana.
L’allestimento del capolavoro di Bizet rappresentato sul palcoscenico veronese visto da ben due generazioni dei melomani e dei turisti da tempo appare alleggerito, avendo perso l’eccessiva pesantezza e rinunciando a molti dettagli. Certo, la Carmen della première del 1995 eccedeva in tutto, nel lusso, nelle scenografie complesse, nei colori sgargianti, nei balletti interminabili, senza parlare del vero zoo, non sono dei cavalli e degli asini, ma anche dei simpatici cagnolini senza razza e senza partito, usando la colorita espressione russa. Nei primi anni della vita del kolossal zeffirelliano anche le oche calcarono la scena e ovviamente e c’era qualcuno munito di scopetta e di paletta,- ma potrebbe essere la leggenda metropolitana.
Personalmente non siamo mai stati entusiasti di questo tipo di spettacolo, ma il pubblico sì ed è comprensibile. In fin dei conti si viene in Arena per emergersi in un mondo quasi fiabesco, per vivere emozioni forti, per applaudire i cantanti, insomma, le produzioni grandiose con una marea di figuranti e ballerini godono di grande successo e Carmen allestita da Franco Zeffirelli soddisfa tutte queste aspettative. Dal 1995 ad oggi tantissimi cantanti carismatici o meno si sono cimentati con la storica produzione e l’emozione non è mai mancata.
L’emozione non è mancata anche ieri sera, grazie allo storico allestimento pittoresco come anche a un cast ben assortito. Il mezzosoprano francese Clémentine Margaine era già apparso sul grandioso palcoscenico areniano e aveva riscosso un buon successo, soprattutto per la voce piena e calda. Curiosamente, ieri sera sembrava di avere due Carmen, una che cantava e un’altra che recitava. Quella che ha dato la voce alla zingara mangiauomini è stata pressappoco perfetta, ha deliziato l’orecchio con pronuncia impeccabile, accento profondamente studiato, ma soprattutto timbro caldo e linea di canto morbida. Quella che ha dato il corpo all’amante infelice di Don Josè è apparsa fuori posto, impacciata e completamente priva della sensualità. Ci è scappato qualche sospiro di delusione, ma alla fine abbiamo applaudito: il canto è stato convincente.
Simile alla protagonista, Freddie De Tommaso ha disegnato due ritratti di Don Josè, uno vocale, pressappoco perfetto, e uno scenico, meno convincente. Lo strumento saldo e lucente e la buona tecnica hanno reso brillante l’esecuzione dell’aria “Fleur que tu m’avais jetée” e hanno contribuito alla resa perfetta del duetto finale vibrante, ma mai sopra le righe: un grande successo anche per il tenore italo-britannico.
Mariangela Sicilia, una cantante raffinata e musicalissima, che ricordiamo con un affetto particolare soprattutto nella parte di Mimì nella Bohème con la regia di Graham Vick al Teatro Comunale di Bologna, ha disegnato una Micaela indimenticabile, dolcissima e fortissima nello stesso tempo e ha cantato “Je dis que rien ne m’épouvante” con struggente lirismo.
Conoscevamo già Erwin Schrott nei panni d’Escamillo che da sempre gli calzano a pennello: oltre alla voce affascinante di basso baritono, il cantante uruguaiano vanta un perfetto physique du rôle e una naturale spavalderia. Dei quattro protagonisti, il personaggio del toreador è parso quello disegnato nel modo più incisivo, riscuotendo grandi consensi nei celebri couplets e guadagnando l’affetto e i grandi applausi del numeroso pubblico.
Mai una Carmen può funzionare senza bravi comprimari. Anche stavolta il quintetto dei contrabbandieri ha dato il loro meglio in persone di Cristin Arsenova (Frasquita), Sofia Koberidze (Mercédès), Jan Antem (Dancaïre), Didier Pieri (Remendando), tutti in possesso di voci duttili e ben educate, perfette per lo stile dell’opéra-comique. Si sono difesi bene anche Giorgi Manoshvili (Zuniga) e Christian Federici (Moralès).
E cosa dire del grande direttore israeliano Daniel Oren, storica presenza nell’anfiteatro veronese, di cui da tempo si dice scherzosamente “areniano = oreniano”? Con una grande soddisfazione l’abbiamo ritrovato sul podio nella ripresa di Carmen, salutato calorosamente dal pubblico. Per Oren gli anni non sembrano passare: solo i capelli sono meno folti, ma il temperamento focoso, l’inclinazione alle tinte forti e alle dinamiche contrastanti, il gesto preciso ed energico, una grande musicalità rimangono intatti. Da sempre dà in suo meglio quando dirige il capolavoro di Bizet e non ha deluso neanche stavolta.
Da sempre il coro areniano gioca un ruolo importante nella Carmen e anche ieri ha riscosso un successo strepitoso pienamente meritato, frutto del lavoro scrupoloso del maestro Roberto Gabbiani; anche ai piccoli cantori del Coro di voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani sono state riservate autentiche ovazioni.
Come sempre, hanno fatto la bella figura i ballerini del corpo di ballo areniano (coordinatore Gaetano Petrosino) affiancati dai danzatori della Compagnia Antonio Gades sotto la direzione artistica di Stella Arauzo che hanno eseguito le storiche coreografie di El Camborio: da sempre, comunque, consideriamo il loro intervento prima dell’inizio dell’ultimo atto di una durata eccessiva.
La recita è andata in crescendo turbata per un attimo dalla caduta di un cavallo (sarebbe opportuno o discutere il fatto della partecipazione degli animali negli allestimenti areniani) e ha raggiunto un notevole successo.