L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una principessa russa in terra emiliana

di Irina Sorokina

Ottimo successo per Fedora a Modena nella produzione elegante e appropriata di Pierluigi Pizzi, con un cast di qualità, che vede protagonisti Teresa Romano e Luciano Ganci, e la direzione attenta di Aldo Sisillo.

MODENA. 15 ottobre 2023 - Non è certo piccola l’eredità del compositore foggiano Umberto Giordano, tuttavia solo un titolo, Andrea Chénier, appare spesso nei cartelloni dei teatri e gode una grande popolarità, visto che fornisce un’ottima occasione per tenori, soprani e baritoni di esibire il meglio della loro arte. Ma il mondo vasto di Giordano non è fatto solo del celebre Andrea Chénier, si ricordano soprattutto Fedora, Siberia, Mese mariano, Madame Sans-Géne, La cena delle beffe, Il re.

In questo mondo vasto dopo Andrea Chénier, per quel che riguarda la popolarità e i bei ruoli per cantanti, viene, senza dubbio, Fedora. Ispirata, insieme alla Tosca pucciniana a un dramma di Victorien Sardou, sembra se non la sua sorella gemella, almeno la cugina di primo grado. Come nel dramma romano, in quello pietroburghese al centro c’è una donna dall’importante caratura umana, dalle passioni quasi incontrollabili, un’eroina che domina decisamente la faccenda e la manda avanti. Entrambe le donne finiscono suicide e entrambe scelgono per questo gesto metodi che non si vedono tutti i giorni: Tosca si butta giù dal Castel Sant’Angelo, Fedora sugge il veleno dalla croce bizantina che porta sul collo. Accanto alle signore, i rispettivi amanti appaiono un pochino “fiacchi”, anche se capaci di appassionati momenti amorosi e di forti sfoghi d’odio e di disprezzo. Le storie degli amanti si inseriscono nelle faccende politiche dell’epoca, un contorno che stimola la curiosità degli spettatori. Ma se mai Gsu volesse ipotizzare una competizione fra Giordano e Puccini, l’impresa ardua non può riuscire al pugliese contro il toscano; Tosca è ben altrimenti ricca di momenti memorabili e, soprattutto, di atmosfere definite con sottile elaborazione.

Pur non potendo aspirare a competere con l’opera romana di Puccini, l’opera russa di Giordanoha molte carte in regola per ottenere un discreto successo, soprattutto se si trovano un regista intelligente e gli interpreti giusti: la nuova produzione dei teatri emiliani che ha debuttato a Piacenza pochi giorni fa e dopo è arrivata a Modena lo conferma.

Fedora, come sua sorella Siberia dello stesso Giordano, è dura, durissima da digerire per il pubblico russo. Se un russo avesse visto l’opera per la prima volta, avrebbe riso fino ad arrivare al parossismo: la storia d’amore tra Fedora Romazov e Loris Ipanov musicata dal compositore pugliese per i compatrioti dei protagonisti dell’operanon è altro che “razvesistaja kljukva” dove la prima parola significa “dal volume grande” e la seconda un piccolo frutto di bosco dal colore rosso e dal gusto aspro e fresco, dal nome scientifico Oxycoccus palustris, molto ricercato da chi va per i boschi russi. La colorita espressione viene attribuita a Daniel Defoe, autore dei romanzi di Robinson Crusoe; in uno di loro, il protagonista, dopo un altro naufragio, intraprende l’attraversata dell’Asia dal Sud Est a Nord Ovest e ad un certo punto incontra degli orsi che gli offrono un bicchiere di alcol diluito dalla neve all’ombra dell’Oxycoccus palustris in compagnia di ragazze dei facili costumi. In parole semplici, “razvesistaja kljukva” è un’espressione idiomatica che significa bugie, stereotipi, invenzioni stupide e insensate.

Tornando all’opera “russa” di Giordano, impossibili e di cattivissimo gusto sono già i nomi dei protagonisti: Fedora Romazov e Loris Ipanov, sono un vero insulto all’orecchio russo, si ha un sospetto che i cognomi Romazov e Ipanov sarebbero dovuto essere Romanova e Ivanov, ma sono i nomi di battesimo che risultano sempre improbabili e ridicoli. Il librettista Arturo Colautti (autore del testo per Adriana Lecouvreur) inserì la faccenda amorosa di due nobili russi nel clima politico degli anni sessanta-settanta dell’Ottocento, quando regnava lo zar Alessandro II, soprannominato Liberatore perché nel 1861 abolì il vergognoso istituto della servitù della gleba e negli anni successivi fece molte riforme progressiste: tutto ciò non bastò per salvarlo dall’attentato mortale per mano dei giovani rivoluzionari. L’ambientazione storica e i piccoli echi degli avvenimenti realmente accaduti come l’attentato allo zar non giocano un ruolo importante in Fedora, Colautti e Giordano si concentrano soltanto della storia d’amore tra LUI e LEI, buttando lo spettatore nell’abisso delle passioni ardenti e incontrollabili.

Chiedendo scusa al lettore per questa digressione piuttosto lunga, veniamo al nuovo allestimento di Fedora firmato dal veterano Pier Luigi Pizzi coprodotto da Fondazione Teatri di Piacenza e Fondazione Teatro Comunale di Modena. Come sempre il maitre novantatreenne firma regia, scene e costumi e non offre nulla di veramente nuovo, che non fosse mai visto da chi per molti anni ha avuto possibilità di frequentare il Rossini Opera Festival o vedere i suoi spettacoli in giro per i teatri italiani. Ma proprio questa fedeltà a sé stesso lo porta a capire la natura dell’opera russa di Giordano: non cambia il suo stile elegante, dalle geometrie piacevoli per gli occhi e dai colori sobri, non si lascia sedurre dal fascino dei dettagli “à la russe”, non cede alla tentazione di cadere nel folclore e, in conseguenza, nel ridicolo. Se l’avesse fatto e qualcuno nel pubblico presente fosse nato in Russia, avremmo rischiato di sentire dei giudizi severi e giustamente definire questa nuova Fedora “razvesistaja kljukva”. Grazie a Dio, nulla di tutto questo accade; non c’è la confusione tra Fedora e Boris Godunov o La sposa dello zar, anzi: Pier Luigi Pizzi affiancato da Massimo Gasparon, regista collaboratore e luci, da Serena Rocco, assistente alle scene, da Lorena Marin, assistente ai costumi e da Matteo Letizi, videomaker, evita saggiamente gli elementi dell’arte russa e solo nel primo atto nella casa pietroburghese di Fedora dietro le ampie finestre si intravede la silouette di una chiesa ortodossa.

Il fascino della nuova produzione di Fedora sta anche nello spostamento della vicenda avanti nel tempo, nei primi decenni del Novecento quando fiorì lo stile elegante e capriccioso in Europa chiamato liberty e noto in Russia sotto il nome di modern. Lo testimonia un quadro di Vassilij Kandinskij sulla parete di una delle stanze nella casa del Conte Vladimir Andrejevich.

Anche la mano di Pizzi-regista è ben riconoscibile: delicata e pressappoco invisibile, guida gli interpreti senza mai imporre qualcosa, lascia a loro la libertà di dialogare e muoversi dentro gli ambienti da una sobria bellezza.

Molte primedonne si cimentarono nel personaggio principale di Fedora che la musica di Giordano rese così veritiero e passionale da fare gola non soltanto ai soprani lirico spinti ma anche ai mezzosoprani. E proprio a un mezzosoprano dalla caratura artistica importante viene affidato il del titolo della Fedora modenese (notiamo tra parentesi che Giordano firmò una versione dell’opera per questa vocalità). Teresa Romano che prima è stata soprano ma da alcuni anni è passata al registro più grave si rivela una Fedora formidabile, passionale e coinvolgente, ma mai esagerata. Riesce nell’impresa non facile di disegnare una vera donna russa che agisce d’istinto, è capace di gesti forsennati, spaventa e attira nello stesso tempo, e sa gestire bene l’impegnativa scrittura di Giordano, dimostrandosi efficace nelle frasi dal grande respiro soprattutto nel registro centrale.

Accanto ad una Fedora di una tale importanza, figura molto bene il tenore Luciano Ganci nella parte di Loris, con la sua voce bella e calda e l’approccio convincente al personaggio. L’orecchio gode del timbro lucente, della correttezza stilistica, della parola ben scolpita, del cantabile carezzevole; peccato però per alcune forzature nei momenti più passionali e in seguito per l’affaticamento della voce ben percepito.

Simone Piazzola per l’ennesima volta dà conferma della propria bravura di cantante e di attore, nella recita domenicale modenese sembra in uno stato di grazia, sciolto, appassionato, compiacente e divertito e il suo De Sirieux risulta decisamente quasi al pari con i due protagonisti. La bell’aria “La donna russa”, tutta basata sulle romanze che ogni russo riconosce al volo e sa intonare, è eseguita con piglio e musicalità fantastici, il che vale al cantante veronese grandi applausi di pubblico.

Estremamente al proprio agio appare anche una graziosa e piccante Yulia Tkachenko nei panni della contessa Olga Sukarev. La sua interpretazione, convincente dall’inizio, va in crescendo e il soprano dimostra sempre più sicurezza e musicalità, mentre l’attrice rivela i tratti psicologici sempre più sottili del personaggio.

L’opera di Giordano presenta una grande quantità di comprimari e nella seconda recita di Fedora al Comunale di Modena ogni interprete felicemente dà un buon contributo alla riuscita dello spettacolo. Tutti i personaggi sono credibili e si distinguono particolarmente Vittoria Vimercati come Dimitri e William Corrò come Cirillo. Parole di riconoscenza per un valido contributo alla buona riuscita dello spettacolo vanno a tutti: Isabella Gilli (un piccolo savoiardo), Paolo Lardizzone (Desiré), Saverio Pugliese (il barone Rouvel), Borov (Gianluca Failla), Gretch (Viktor Schevcenko), Lorek (Valentino Salvini), Nicola (Neven Stepanov), Sergio (Lorenzo Sivelli), Michele (Giovanni Dragano). Molto affascinante Ivan Maliboshka, dal sorriso ironico e malinconico, nella parte del pianista Lazinski che unisce le virtuosità pianistiche ad una sottilissima parodia di Chopin.

Un ottimo lavoro va riconosciuto ad Aldo Sisillo alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana che ha tenuto a battesimo la bella Fedora al Teatro Comunale di Piacenza per ripetere il successo raggiunto pochi giorni prima anche al Comunale di Modena. La sua direzione è molto attenta alle infinite sfumature della partitura, in perfetto equilibrio tra gli sfoghi lirici di gusto verista e l’accompagnamento raffinato dei dialoghi; da notare anche l’amore evidente per “le ondate” strumentali che contribuiscono alla descrizione dettagliata dello stato d’animo dei personaggi. Alla perfetta riuscita dello spettacolo dà un buon contributo il coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati.


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