Cuore e tecnica (II)
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia apre la stagione da camera con un recital pianistico di Seong-Jin Cho che attesta i suoi versatili interessi: nel primo tempo, la Sonata per pianoforte in mi minore n. 34 op. 42 Hob. XVI: 34 di Franz Joseph Haydnsi affianca a due opere di Maurice Ravel, Menuet sur le nom de Haydn e Miroirs; nel secondo tempo, dopo l’Adagio in si minore per pianoforte K 540 di Wolfgang Amadeus Mozart, Cho si concentra su Franz Liszt, con brani dalle Années de Pélerinage, Deuxième Année: Italie e la Fantasia quasi Sonata, “Après une lecture de Dante”.
ROMA, 27 ottobre 2023 – Seon-Jin Cho, già ben noto al pubblico romano dell’Accademia (leggi la recensione), è un pianista che sfata un pervicace pregiudizio: la perfezione tecnica coniugata alla proverbiale freddezza emotiva degli interpreti dell’Estremo Oriente. Cho, infatti, non solo possiede una saldissima, specchiata tecnica pianistica, che gli consente di leggere, con agevolezza, qualunque tipo di repertorio; ma a questa precisione tecnica non corrisponde affatto una freddezza interpretativa. Se è pur vero che Cho ha una visione della lettura pianistica talmente elegante da rischiare l’affettazione, questo rischio non arriva mai; anzi, la ricerca della perfezione sonora, del giusto peso di ogni nota, della netta sgranatura dei suoni si accompagna al respiro delle idee musicali, al fraseggio dei passaggi, sempre ricercato, mai banale.
Si vede, quindi, che Seon-Jin Cho ricerca sempre il colore precipuo di ogni compositore. La prima parte del concerto si apre all’insegna di Haydn: non solo la Sonata n. 34 op. 42, basata su quella che Luca Ciammarughi definisce «ambiguità emozionale», viene spaginata con grazia e precisione (splendido l’Adagio, che riproduce un’aria lirica notturna, all’italiana), ma anche il Menuet sur le nom de Haydn di Maurice Ravel, composizione breve e vaporosa, che reinterpreta in maniera moderna una melodia dal gusto vagamente settecentesco, la quale è basata sulle note che formano il nome del celebre compositore. Qui Cho ci dà un assaggio del suo tenue tocco, un degno preludio al pezzo forte del primo tempo, i Miroirs di Ravel. Composizione ardita, sperimentale, sensuale quant’altre mai, Miroirs sfida ogni limite fisico del suono del pianoforte e consente a Cho di dar prova delle sue straordinarie doti tecniche. Gli svolazzi eterei di Noctuelles, l’atmosfera placida ed afosa di Oiseuax, interrotta dalle figurazioni pianistiche degli uccelli, testimoniano il tocco impareggiabile di Cho, capace di giocare con minime sfumature di colore, dosando magistralmente i volumi sonori. A partire da Une barque sur l’océan Cho inizia a delineare volumi più netti, a scontornare le frasi musicali con maggior vigore: l’effetto dei suoni gravi, miscelati con le sferzate acute, a simulare la navigazione fra le onde marine, è fra le idee più ispirate mai pensate per la scrittura pianistica. Con Alborada del gracioso Cho mostra anche il suo lato dionisiaco, slanciando ritmi e suoni in una sensuale baraonda, senza mai perdere l’eleganza che lo contraddistingue. Si chiude con La valée des Cloches, ritornando alle ambigue atmosfere che fanno da sfondo alla prima parte di Miroirs: Cho suggella il primo tempo sfumando il suono fino ai limiti dell’udibile.
Il secondo tempo si apre con un drammatico Adagio in si minore per pianoforte K. 540 di Mozart, in cui la lettura di Cho si fa tersa, tesa a scavare l’«ambiguità emozionale» anche nella scrittura mozartiana, anzi soprattutto sotto la dorata aura delle sonorità mozartiane. Dopo, ci si immerge in Franz Liszt, con cui si conclude il percorso proposto da Cho. Dalle Années de Pélerinage, dalla Deuxième Année: Italie, sono tratti tre brani ispirati ai sonetti 47, 104 e 123 di Francesco Petrarca. Cho si distingue per un fraseggio netto, carico di colori, eminentemente drammatico, come si vede nella celebre melodia che accompagna la lettura del Sonetto 104, basato su un’opposizione binaria (come sovente in Petrarca); ma riesce, ancora, a mostrare un virtuosismo candido, acquatico, come nell’etereo Sonetto 123. Il concerto si chiude con un’intensa esecuzione della Après une lecture de Dante “Fantasia quasi Sonata”, brano di turgida inventiva, che tenta di cogliere i sentimenti generati dalla lettura delle varie cantiche della Divina Commedia e che, quindi, varia in agogica e colore spesso e con gusto eminente del contrasto. Congedandosi dagli applausi sentiti e scroscianti, Cho esegue, sempre di Liszt, la Consolation n. 3.