Pergolesi e Stravinskij
di Stefano Ceccarelli
Il Costanzi presenta il terzo concerto della stagione 2023/2024. Michele Mariotti dirige un programma (quasi) tutto dedicato a Giovanni Battista Pergolesi: lo Stabat Mater e Pulcinella, balletto in un atto per piccola orchestra con tre voci soliste su musica di G. B. Pergolesi di Igor Stravinskij. Le voci soliste sono Maria Grazia Schiavo (soprano), Sara Mingardo (mezzosoprano), Cameron Becker (tenore) e Alexandros Stavrakakis (basso).
ROMA, 20 febbraio 2024 – Nell’àmbito del ciclo di concerti proposti nel cartellone del Costanzi a fianco della programmazione operistico/ballettistica, quello odierno spicca per un programma particolarmente accattivante: lo Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi e Pulcinella di Igor Stravinskij. Il fil rouge scelto da Michele Mariotti, dunque, è la musica di Pergolesi, che viene riutilizzata copiosamente in Pulcinella, creando di fatti il prototipo dell’opera neoclassica stravinskiana.
Il primo tempo è occupato dallo Stabat Mater. Michele Mariotti propone una lettura a tratti molto personale, soprattutto se si tiene conto della vulgata sonora nell’orizzonte degli ascoltatori. Per sua stessa ammissione, nell’intervista con Oreste Bossini (dal programma di sala), Mariotti afferma: «cerco un suono crudo, tagliente, spigoloso, perché sono convinto che in questo modo venga fuori in maniera più nitida il pathos e il dolore del testo». In effetti, il risultato è pienamente riuscito: il suono (in particolare degli archi) è scarnito, a tratti gelido, donando un effetto certo non proprio consueto nella resa della partitura dello Stabat. Il problema, a mio avviso, risiede nella scelta di eseguire, con un’orchestra contenuta al minimo, tale partitura in una sala come quella del Costanzi: il suono evapora, senza forse dar giustizia alla ricerca di taluni effetti voluta dal direttore. Se si astrae da questa scelta (magari il tutto si sarà meglio goduto dalla diretta radio), la direzione di Mariotti, ancorché a tratti lievemente monocorde, è espressiva, attenta ai cambi emotivi della scrittura di Pergolesi, donando, quindi, plastica resa alla sequenza dello Stabat: «è una scrittura di una modernità incredibile quella di Pergolesi, una poetica degli affetti semplice ma estremamente espressiva, tutta giocata sul cromatismo, sulle appoggiature, sulle dissonanze. Per ottenere questo clima gelido e tagliente chiedo agli strumenti ad arco di suonare con poco vibrato, alla punta, usando la cosiddetta messa di voce». Maria Grazia Schiavo canta la parte del soprano, giocando molto sui volumi della voce e sull’uso repentino dello squillo, per aumentare il senso di dolore veicolato dalla sequenza medioevale: si pensi al Fac, ut ardeat cor meum, o agli acuti del Vidit suum dulcem natum. In generale, la Schiavo cerca di dare senso alle frasi musicali, risultando in un canto molto carico emotivamente: un esempio è il Cuius animam gementem. Anche i duetti con la Mingardo sono abbastanza riusciti, fra cui merita forse citare la sezione del Sancta Mater istud agas e del vivace Inflammatus et accensus,che chiude il pezzo. Il ruolo del contralto è interpretato da Sara Mingardo. Veterana del ruolo, la Mingardo non si mostra forse al meglio delle sue possibilità: un’emissione molto vibrata, piena sostanzialmente solo nella parte mediana della tessitura (dalla quale cava più di una nota gradevole), risulta un po’ coperta nei bassi e negli acuti, oltre al fatto di opacizzare le fioriture, che paiono tutte impastate. Il fraseggio, che possiede una sua eleganza, pure risulta poco incisivo e sacrificato da questa emissione. Come che sia, nell’Eja mater, fons amoris ricerca soprattutto il contrasto cromatico, mentre il momento per lei più riuscito è il Fac, ut portem Christi mortem, in cui la linea di canto è, in molti punti, apprezzabile. Gli applausi generosi del pubblico in sala suggellano uno Stabat che, però, non convince appieno.
Diverso il caso di Pulcinella di Igor Straviskij. Il fil rouge che lega le due opere è palese: Stravinskij si servì di musica di Giovanni Battista Pergolesi (e di altri autori settecenteschi a lui coevi) per creare un affascinante e riuscito centone di musica ‘antica’, con l’intento di recuperare le sonorità del passato – dando così origine alla sua cosiddetta fase neoclassica. La direzione di Mariotti è brillante, coreutica ma non metronomica, capace di cogliere l’elemento settecentesco ma di mescolarlo magnificamente con la trama di dissonanze, di insoliti cambi di ritmo, di variazioni tonali, di elementi, insomma, semplicemente allotri che costellano la partitura. Le sonorità, cangianti per ethos e natura, brillano nel contrasto. Cameron Becker canta la parte del tenore facendosi notare per un intenso vibrato della voce, anche se la pronuncia italiana, come pure il fraseggio, potrebbero migliorare; tutto sommato, fa comunque bene il suo lavoro (si citi, almeno, «Mentre l’erbetta»). La Schiavo, nel ruolo del soprano, fa assai bene, rinnovando il piglio energico mostrato nello Stabat (brillante la sua «Contenta forse vivere», malinconica «Se tu m’ami, se tu sospiri»). C’è da dire che la rivelazione è il basso, Alexandros Stavrakakis, dotato di una voce piena, squillante, scura ma non opaca; inoltre, il greco mostra facilità di emissione e duttilità nelle fioriture, come dimostra in «Con queste paroline», dove dà un’autentica lezione di fraseggio. I pezzi d’assieme funzionano, tutti, bene e gli applausi finali ripagano il lavoro di tutti, interpreti e maestranze.