Sinfonico melodrammatico
di Luigi Raso
Marco Armiliato, con l'eloquenza connaturata alla sua esperienza operistica, dirige Beethoven, Šostakóvič e Mendelssohn al San Carlo. Ottimi solisti sono Lucas Debargue al pianoforte e Matilda Loyd alla tromba.
NAPOLI, 16 marzo 2024 - Risuonano poderosi e profondi gli accordi iniziali dell’ouverture Egmont di Ludwig van Beethoven che aprono il concerto diretto da Marco Armiliato alla testa dell’Orchestra del Teatro di San Carlo. Tratta dalle musiche di scena composte, tra il 1809 e il 1810, per l’omonima opera teatrale di Johann Wolfgang Goethe,sotto la bacchetta del maestro genovese, corretto e attento a gestire la ordinata e coerente concatenazione dei tempi da Sostenuto, ma non troppo ad Allegro, procede frastagliata da dinamiche ben calibrate che conferiscono forza drammatica, molto “romantica”, alla composizione. Ne risulta un’esecuzione tendenzialmente precisa e sbalzata, una lettura né filologica, né personale, ma che guarda a validissime (e irripetibili) opzioni esecutive del passato. C’è un diffuso senso di “ordinarietà” in ciò che si ascolta ma che comunque non mina la credibilità e la suggestione dell’esecuzione nel suo complesso. Per fortuna un mancato ingresso nel settore dei legni non compromette la tenuta della frase e del dialogo musicale che si apprezza nella parte iniziale della composizione.
Al luminoso e gioioso Allegro finale Marco Armiliato e l’Orchestra del San Carlo giungono dopo aver ben preparato dinamiche e accenti: è una stretta decisa e trionfale, ben evidenziata dal lavoro dei timpani. Sin dalle battute iniziali il complesso partenopeo dà la sensazione di saper rispondere adeguatamente alle sollecitazioni del gesto elegante e chiaro del concertatore (che, per inciso, dirige a memoria durante tutto il concerto). Il suono degli archi è abbellito da un profondo vibrato, quello degli ottoni è caldo, pulito quello dei legni; e, dato non secondario, per tutti i brani in programma stasera, l’organico è composto da un numero adeguato di elementi. In più, l’ascolto si giova, per fortuna, della camera acustica, che ai concerti sinfonici vorremmo vedere sempre troneggiare dietro all’orchestra.
Qualche minuto per portare sul palco il pianoforte e per predisporre un diverso assetto per poi attaccare il Concerto n. 1 in do minore per pianoforte, con accompagnamento di tromba e orchestra d’archi, op. 35 di Dmitri Šostakóvič, composizione, del 1933, dal sapore garbato, scherzoso, perfino, a tratti, scanzonato. Il titolo indica chiaramente l’ordine gerarchico e la preminenza degli strumenti: sul primo gradino, il pianoforte; ex aequo, sul secondo, la tromba e gli archi.
Il giovane pianista Lucas Debargue, dal tocco limpido e dal suono corposo, rotondo e proiettato, dà di questo raffinato divertissement musicale di Šostakóvič una lettura scintillante, molto varia nelle dinamiche: il suo è un approccio, almeno per i tempi estremi Allegro moderato e Allegro con brio, quasi percussivo. Il tocco si fa più leggero e cesellato nel lungo e affascinante Lento del secondo movimento.
Perfetta, per precisione e qualità del suono, è la tromba di Matilda Lloyd: se il compito chw Šostakóvič le assegna nei primi tre movimenti è limitato a sottolineare le inflessioni del discorso musicale, ad accompagnare il pianoforte, con l’irrompere dell’Allegro con brio finale quasi si rovescia il precedente rapporto gerarchico tra i due strumenti. Qui Matilda Lloyd è perfetta nell’esibire tutta la sua perizia tecnica, a sfoggiare un suono caldo e penetrante, a dar risalto allo scintillio della parte affidata alla tromba.
Applausi scroscianti per i due bravissimi concertisti. Regalano un bis, il virtuosistico e brillante Studio da concerto op. 49 per tromba e pianoforte del compositore russo Alexander Goedicke (1877 - 1957).
La seconda parte del concerto è dedicata alla Sinfonian. 4 in la maggiore, op. 90 Italiana (abbozzata nel corso del lungo soggiorno italiano del 1830 - 1831) di Felix Mendelssohn – Bartholdy.
Se la lettura di Armiliato dell’Allegro vivace del primo movimento non appare molto brillante e adeguatamente baciato dalla tersa luce mediterranea, il successivo Andante con moto risuona come un lungo momento di contemplazione, che rimanda, per lo spiccato senso del fraseggio, delle crepuscolari articolazioni melodiche e per il buon equilibrio delle sezioni orchestrali, agli intermezzi operistici, a quella raffinata e complessa articolazione melodica tipica del canto lirico, terreno d’elezione di un direttore esperto, affidabile e talentuoso come Marco Armiliato. È, il secondo movimento, la gemma di questa lettura, che non manca di spunti interessanti. Il terzo, Con modo moderato, funge da perfetta preparazione dell’esplosione di vitalistica e travolgente del Saltarello, Presto, in cui il “romanticismo felice” di Mendelssohn tocca probabilmente la sua acme: qui la bacchetta di Armiliato incendia l’orchestra del San Carlo con un tripudio orgiastico di sonorità scintillanti e ritmo travolgente.
Per Marco Armiliato, l’orchestra del San Carlo e le sue prime parti la sala quasi gremita del San Carlo tributa un meritato e caloroso successo.