Il giro del mondo in diciannove violoncelli
di Roberta Pedrotti
Grande successo a Pesaro per il concerto di Giovanni Sollima con i giovani violoncellisti del Conservatorio Rossini. La serata è stata dedicata a Maurizio Pollini.
PESARO, 25 marzo 2024 - Fra i possibili ensemble omogenei, i gruppi di violoncelli hanno senz'altro il vantaggio di poter abbracciare in un unico taglio un'estensione ragguardevole e una notevole gamma di colori e dinamiche. Resta, comunque, in agguato il rischio di una certa qual eccessiva uniformità, se il repertorio – siano pezzi originali o, più facilmente, arrangiamenti ad hoc – non è selezionato, scritto e adattato nel migliore dei modi. La Rossini Cellos Orchestra degli allievi delle classi di Claudio Casadei e Francesco Fontana del conservatorio pesarese, è davvero di ottima qualità, ben preparata, affiatata e con alcuni elementi di spicco, come Filippo Boldrini, chiamato a duettare con Giovanni Sollima come co-solista in Violoncelles vibrez. Sollima, appunto: se i ragazzi sono davvero bravi e meritevoli, l'ospite d'onore di questo concerto al Teatro Rossini è un formidabile catalizzatore di energie, ma soprattutto un musicista d'altissimo livello. Le due cose, d'altra parte, non possono che andare di pari passo e lo dimostra il pallore epigoni pur'anche istrionici. Diffidare dalle imitazioni: Sollima può permettersi di suonare in piedi camminando – e facendo il verso all'amato Virgil di Prendi i soldi e scappa! – perché le sue mani sulle corde e con l'archetto sono d'oro. E non si tratta solo di tecnica: il programma è scelto con gusto, finezza e curiosità, la pagine composte o arrangiate da Sollima denotano una mano felice anche al di là dell'idiomaticità strumentale.
Ecco allora che la suggestione del tema tradizionale armeno d'apertura, con la sua libera espressione, si abbina subito al barocco di Purcell, sofisticato ed essenziale, popolare e aristocratico. I temi di danza e il richiamo alla natura (il Cold Song) dell'inglese sembrano poi lanciare naturalmente materia ed evanescenza in Terra aria dello stesso Sollima, nata per una coreografia. Due trascrizioni di pagine per violoncello e pianoforte permettono di accostare il nome di Chopin (e del sodale Franchomme) a Niccolò Van Westerhout (1857-1898), compositore pugliese da riscoprire. Fra di loro, passa sui violoncelli anche il chitarristico Cego Aderaldo del brasiliano Egberto Gismonti. Infine, il citato Violoncelles vibrez, intensa dedica allo storico insegnante Antonio Janigro (la prima esecuzione affiancava Sollima al compagno di studi Mario Brunello) apre le porte a una sorta di sonata o suite finale sui temi dei Nirvana. Da Purcell a Chopin a Kurt Cobain il passo non è mai forzato o pretestuoso, se a compierlo è un musicista di questo spessore, oltre che una personalità capace di elettrizzare e trascinare con sé i colleghi sul palco e tutto il teatro fino alla serie dei fuori programma, che ancora giocano fra temi popolari raccolti quasi per caso (ora un canto macedone intercettato in radio durante un viaggio) e il Brasile di Jaques Morelenbaum. Con la direzione di Casadei e Fontane e l'intervento all'occorrenza della batteria di Matteo Benocci, la danza secentesca, il richiamo naturalistico barocco o contemporaneo, il cantabile romantico, la tradizione etnica e il rock storico compongono un mosaico di peculiarità formali ed espressive ben definite, eppure perfettamente armonizzate nel comun denominatore di un'eccellente qualità musicale, una passione esplosiva e una comunicativa irresistibile.