Stabat Mater di Pasqua
di Giuseppe Guggino
Notevole il concerto di Pasqua del Teatro Massimo di Palermo che propone lo Stabat Mater di Rossini con i propri complessi in buona forma, Gabriele Ferro sul podio e un ottimo quartetto di solisti, su cui spicca la prova del basso Luca Tittoto.
Palermo, 30 marzo 2024 - L’ordinarietà che tipicamente affligge i concerti delle festività cattoliche sembra una volta tanto non lambire minimamente lo Stabat Mater di Rossini che il Teatro Massimo di Palermo propone per il sabato della settimana santa. Nonostante l’indisposizione di Gabriele Ferro che dirige il concerto con un tutore ortopedico a causa di una lussazione alla spalla, la lettura che riesce a imprimere al lavoro della maturità rossiniana – dalla sua prospettiva di direttore rossiniano di lunghissimo corso – è di ampio respiro, volta a sottolinearne con sonorità sontuose gli orditi contrappuntistici e a marcarne la differenza di orizzonti stilistici rispetto ai lavori operistici anche più estremi del Pesarese. Se anche per il Tell Ferro sceglieva nel 2018, sempre nel Massimo Teatro palermitano, sceglieva una prospettiva interpretativa dichiaratamente antiromantica, con lo Stabat Mater sembra invece voler continuamente richiedere un suono granitico, ricorrendo in primo luogo ad organici ben nutriti, tanto in orchestra che nel coro, e ricercando costantemente una drammaticità non immemore della lezione della Missa Solemnis beethoveniana. Nel disegno interpretativo bene lo asseconda il Coro, preparato ottimamente da Salvatore Punturo, e tutto sommato convincente è anche la prova dell’Orchestra, al netto di qualche sbavatura.
Ben assortito è anche il quartetto di solisti, a cominciare dal bellissimo timbro di Francesco Demuro a cui può solamente rimproverarsi un’inerzia di fraseggio nella zona acuta, dall’emissione sempre forte, comunque ben controllata nell’intonazione fino all’impervio re bemolle del Cujus animam.
Equilibrate fra loro risultano Vasilisa Berzhanskaya e Carolina López Moreno, la prima forte di un colore naturalmente scuro e la seconda dotata di uno strumento di ragguardevole grana timbrica e buona ampiezza che nell’Inflammatus è capace di non risultare sommerso dalle masse.
Discorso a parte merita Luca Tittoto, rara vocalità di autentico basso, che sigla un Pro peccatis di vibrante severità nei primi tre versi, seguiti da un morbidissimo cantabile su Vidit suum dulcem Natum, rasentando una compiutezza realizzativa degna del Samuel Ramey degli anni più gloriosi.
Applausi convinti e persistenti sugellano uno dei concerti di maggior rilievo al Massimo palermitano negli ultimi anni.