L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La trasparenza di Brahms

di Mario Tedeschi Turco

Al Filarmonico di Verona, il ciclo brahmsiano incontra il direttore Christoph-Mathias Mueller e il solista Frank Peter Zimmermann per un Concerto per violino d'alto profilo tecnico e poetico e una Sinfonia n. 2 complessivamente apprezzabile.

VERONA, 12 aprile 2024 - È una primavera all’insegna di Brahms, quella che la Fondazione Arena ha pensato per i concerti sinfonici al Teatro Filarmonico, con quattro serate durante le quali verranno eseguiti tutti i concerti per strumento solista e orchestra e le quattro sinfonie. Venerdì 12 aprile (con replica sabato 13) l’orchestra areniana ha affrontato il Concerto per violino e la Sinfonia n. 2, sotto la direzione di Christoph-Mathias Mueller, con il violino di Frank Peter Zimmermann. L’estro virtuosistico di questo grande interprete si è forse leggermente appannato, con il trascorrere degli anni, così che i fuochi d’artificio possibili nella tela creata da Brahms – i quali avrebbero da intendersi ovviamente non come esibizione, bensì come estensione dell’elaborazione motivico-tematica a tutti gli elementi formali, come ricorda Christian M. Schmidt – sono stati cercati e ottenuti soprattutto nel terzo movimento, la melodia zigana di festoso dinamismo incessante, mentre la quasi insondabile arte dell’invenzione tematica derivativa che informa l’oceanico primo movimento è stata resa da Zimmermann con sobrietà, autocontrollo, assoluta precisione nell’intonazione ma, in perfetta corrispondenza con la direzione di Mueller, cercando quella che W. G. Sebald una volta ha definito, in Brahms, essere «una pressoché totale assenza di peso». Il che significa decorso temporale disteso, escursione dinamica ampia ma non troppo, suono come agglutinato all’interno dell’orchestra stessa, rispetto alla quale non doveva spiccare un gesto eroico individuale, ma al contrario una voce singola alternata alle tante voci del mondo, all’interno delle quali perdersi e ritrovarsi. I modi di attacco del suono, in particolare, fluidi e mai in sforzando, sia di Zimmermann che dell’orchestra, ci sono parsi realizzati esattamente per ottenere quell’effetto smaterializzato, auratico, evocato dallo scrittore tedesco, effetto che evita il monumentale in favore del narrativo, così che persino le seste e le ottave spezzate sulle terzine, appena prima della ripresa orchestrale dei temi secondari già esposti dal violino, sono risuonate pregne di lirismo. Il quale poi è tornato nel suo livello più alto nell’Adagio centrale, quando la melodia dell’oboe armonizzata dagli altri legni isolati viene ripresa dal violino che la espande, elaborandola in modo sempre più complesso: in questo particolare passaggio, che diresti tutto interiore, l’arte di Zimmermann è risuonata al suo meglio, facendo intendere tanto la struttura formale di gemmazione quanto il suo ineffabile contenuto espressivo (amoroso? Nostalgico? Patetico? Si scelga la verbalizzazione preferita, sarà comunque insufficiente a dirne l’incanto). Un’Op. 77 di alto profilo tecnico e poetico, infine, quella offerta da Zimmermann e da Mueller, il quale ultimo ha tratto dall’orchestra areniana precisione d’insieme e dettaglio timbrico (i corni, i legni) in una lettura orientata verso il décadent che può essere discussa, ma che certo è apparsa attenta, rigorosa, accurata e coerente. Il pubblico ha salutato con ovazioni l’esibizione di Zimmermann, che ha offerto come bis un Erlkönig schubertiano nella trascrizione solistica di Heinrich Wilhelm Ernst, reso con lacerante espressionismo, e subito dopo un Bach, la Sarabanda dalla Partita n. 1, risolta invece in elegiaca, trasognata cantabilità.

Nella seconda parte del concerto, Mueller ha diretto la Sinfonia in Re maggiore ancora una volta con gesto ordinato e preciso, ottenendo una sonorità romanticamente marmorizzata nell’insieme, nella quale, se forse si sono persi vari dettagli delle voci interne, si è guadagnato nel disegno d’insieme, nella compattezza, ad onta di un fraseggio che ci è parso decisamente troppo rigido, specie negli archi, i quali, anche a causa di un’eccessiva uniformità dinamica, non hanno forse reso al meglio le fittissime brume nordiche da cui questo capolavoro trae la sua più intima ispirazione. Un’esecuzione complessivamente apprezzabile, tuttavia, salutata dal pubblico (non numeroso, ma attentissimo) ancora con calorosi applausi.


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