L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Distanze ravvicinate

di Roberta Pedrotti

Un ambizioso impaginato accosta Handel, la sua rivisitazione da parte di Mozart, Mendelssohn, Britten e Rossini nel secondo Concerto lirico sinfonico del Rossini Opera Festival.

PESARO, 20 agosto 2024 - Dopo il concerto fuori dagli schemi di Gregory Kunde, l'altro appuntamento lirico sinfonico del Rossini Opera Festival propone un programma che non solo rientra, per così dire, nei ranghi, ma punta anche decisamente in altro, con un impaginato ricco e ambizioso. Forse anche un po' troppo, perché nel 2024 (e in un festival che, per quanto non barocco, ha nello scrupolo musicologico la sua ragion d'essere) ci si aspetta orma un Handel storicamente informato, cosa che non pare troppo nelle corde e nelle abitudini di Jacopo Brusa e dell'Orchestra Sinfonica Rossini, sicché fra l'Alexander's Feast nella versione curata da Mozart, l'Orlando e poi le pagine di Mendelssohn, Britten e Rossini non sembra cambiare moltissimo sul piano stilistico e di prassi esecutiva. Questo fa anche il gioco, bisogna riconoscerlo, dell'impostazione stessa del programma, che sembra voler tracciare una stretta linea di continuità fra il modello handeliano, la sua percezione alla fine del Settecento, il Romanticismo e al Novecento di autori parimenti attentissimi al passato, al Rossini della farsa, dell'opera buffa e dell'opera seria.

Giorgio Caoduro esibisce senza batter ciglio una vera, rapidissima mitragliatrice di note e sillabe. Sia Handel, sia soprattutto l'ardua scrittura di Batone nell'Inganno felice (la prima collaborazione operistica fra Rossini e Filippo Galli), di Dandini nella Cenerentola, di Assur in Semiramide (altro ruolo Galli) o nel bis di Filippo nella Gazzetta, le fitte serie semicrome non sembrano potergli dare il minimo pensiero. Peccato, allora, che i vertici del pentagramma non lo trovino con lo stesso smalto e precisione dei registri centrale e del grave, tanto più che alla fine di un programma senz'altro oneroso l'aria “Deh ti ferma, ti placa, perdona” e la cabaletta “Que' nume furenti” mettono a dura prova l'acuto. Anche senza il guizzo dell'interprete indimenticabile, l'accento è sempre ben curato, chiaro nella pronuncia, attento alla situazione, si tratti di Alessandro Magno, di maghi ariostechi, perfidi consiglieri, scaltri servitori o locandieri, principi babilonesi. Tuttavia, a volte sovviene la favola dell'usignolo dell'imperatore, né la macchina pare sempre infallibile.

Anche sul piano strumentale il programma è assai impegnativo e qualche pagina (le Soirées musicales di Britten, in cui tuttavia le percussioni ben figurano, e la sinfonia di Semiramide soprattutto) risulta un po' troppo ostica all'esecuzione, oltre che piuttosto piatta nei colori e nelle dinamiche. Non manca, comunque, l'affettuosa riconoscenza del pubblico che applaude calorosamente tutto il concerto.


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