L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rintocchi moderni, radici antiche

di Alberto Ponti

L’Orchestra Filarmonica di Torino diretta da Giampaolo Pretto si cimenta per MITO Settembre Musica in due impegnativi lavori a cavallo tra Novecento storico e repertorio contemporaneo

TORINO, 13 settembre 2024 - Scorrendo il programma di MITO Settembre Musica 2024 ci si accorge di primo acchito come l’odierna edizione sia caratterizzata da un numero di concerti istituzionali più ridotto che in passato, parzialmente compensato dalla rassegna parallela MITO per la città con altri eventi, spesso di respiro abbastanza conciso e all’insegna della contaminazione tra i generi, chiamando alla ribalta giovanissimi studenti accanto a strumentisti già affermati in luoghi dove la musica di solito non arriverebbe. L’iniziativa è coraggiosa e meritoria, e forse la conquista di un pubblico più ampio e trasversale rispetto alla compassata platea delle sale da concerto tradizionali passa anche da qui. Resta il fatto che orchestre e solisti di calibro internazionale sono centellinati con cura tanto a Torino quanto a Milano e gli appuntamenti di rango si riducono in sostanza ad uno al giorno. La filosofia del ‘pochi ma buoni’ può essere d’altronde una strategia vincente in tempi in cui istituzioni e sponsor debbono con le buone o con le cattive far quadrare i bilanci e gli spunti di riflessione squisitamente artistica non mancano. La stessa programmazione appare ispirata a una certa stringatezza, con abolizione degli intervalli, posti talvolta solo in piedi (nelle due serate torinesi di apertura in piazza San Carlo) e durate che di rado eccedono l’ora.

In tale filone si colloca il concerto in Conservatorio di venerdì 13 settembre con due pagine di estremo interesse proposte dall’Orchestra Filarmonica di Torino guidata dal suo direttore principale Giampaolo Pretto. Se volessimo trovare un filo conduttore, potremmo giocare la carta della seduta spiritica, con due fantasmi intenti ad aggirarsi sotto le volte della sala. Il primo è quello di Giacomo Puccini che, nel centenario della morte, è più vivo e presente che mai, non solo nei teatri d’opera. Il brano Dodici rintocchi (in prima esecuzione assoluta) dell’abruzzese Andrea Manzoli, classe 1977, si richiama infatti ai dodici squilli delle campane nel primo atto di Tosca e, per usare le parole del compositore medesimo, ‘è costituito dalla rilettura personale e attenta dei primi tre accordi’ dell’opera: si bemolle maggiore, la bemolle maggiore e mi maggiore. In realtà all’ascolto l’identificazione non è così immediata, dal momento che la scrittura di Manzoli si pone all’insegna di una notevole complessità e raffinatezza, con numerose stratificazioni e sovrapposizioni dell’essenziale materiale tematico di partenza in grado di produrre effetti sonori di grande fascino, attraverso un virtuosismo che è in primo luogo timbrico, ottenuto con un sapiente uso di ogni singola voce. Il movimento incessante dell’orchestra, con un nutrito gruppo di fiati e percussioni utilizzati al limite delle potenzialità espressive, produce un vasto e generoso affresco che oscilla senza un preciso punto di attrazione tra turgidezza edonistica ed angelica rarefazione, sempre rigoroso e privo di qualsivoglia apertura melodica, instillando nell’ascoltatore una sensazione indefinita a metà strada fra l’appagamento quasi fisico di trovarsi inserito nella creazione di una musica di tanta densità e la curiosità di indovinarne gli sviluppi. Concepito come flusso che raggiunge un climax graduale prima di arrestarsi in modo abbastanza repentino in una sorta di sgretolamento sonoro, Dodici rintocchi è la dimostrazione di un’approfondita perizia artigianale e tecnica di un autore, presente in sala e a lungo applaudito, capace di declinare con gusto e inventiva originale le più recenti tendenze della musica europea.

Se il fantasma pucciniano, palesato soprattutto nelle intenzioni di Manzoli, è il pretesto per una pagina di assoluta libertà e priva di timori reverenziali nei confronti del passato, altrettanto non si può dire dello spirito di Gustav Mahler che, sebbene non direttamente evocato, si avverte invece, all’atto concreto, dietro ogni nota della Sinfonietta op. 23 di Alexander von Zemlinsky (1871-1942), tra le estreme prove del maestro austriaco. L’impressione è infatti quella di essere di fronte a un Mahler condensato, nelle scelte stilistiche, nell’impasto timbrico, nei richiami tematici all’interno delle tre sezioni del lavoro che si snodano per poco più di venti minuti. L’interpretazione di Pretto è focosa e brillante, trasmette autorevolezza mediante un gesto preciso e pulito, non concede un attimo di tregua nel primo e nel terzo tempo, entrambi con indicazione Sehr lebhaft, ad incorniciare la centrale e sognante Ballata, tanto apprezzata da Alban Berg al suo apparire, dove l’indicazione nicht schleppend (‘non trascinato’) tradisce una volta ancora la matrice mahleriana fin dalla scelta lessicale. Nonostante il modello ineludibile, Zemlinsky sa trovare una sua voce, meno caratteristica e personale che nella celebre Lyrische Symphonie ma incisiva e di forte impatto. L’Orchestra Filarmonica di Torino non si lascia scoraggiare dalle impegnative difficoltà di cui è intrisa la partitura e riscuote al termine calorosi applausi da parte di un folto pubblico che ha apprezzato questo gustoso antipasto, in attesa, a fine ottobre della partenza della propria stagione ufficiale.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.