La fantasia in trionfo
di Roberta Pedrotti
Fresca, giocosa, godibilissima: debutta fra gli applausi La Cenerentola della Rete Lirica delle Marche in collaborazione con l'Accademia rossiniana di Pesaro e l'Accademia De Muro di Tempio Pausania. Sul podio Andrea Foti, regia di Matteo Anselmi, protagonisti Chiara Tirotta, Pietro Adaini, Matteo Mancini. Giuseppe Toia, Giacomo Nanni, Patricia Calvache e Tamar Ugrekhelidze.
FANO, 3 febbraio 2024 - Cosa c'è di più complesso e profondo di una fiaba? Un intreccio di livelli e chiavi di lettura, di dilettevoli intrattenimenti, sogni, simboli psicanalitici, archetipi, riferimenti politici e sociali. Una fiaba messa in musica, e per di più da un genio sfaccettato come quello rossiniano, lo sarà ancor di più, con tutti i possibili sottintesi dei linguaggi non verbali. Le opposte tensioni armoniche di Cenerentola e Don Magnifico nel momento in cui questo annuncia la morte di quella, l'uso della coloratura come parodia o affermazione di regalità, le delicate patine sentimentali vanno di pari passo con le arguzie del libretto di Jacopo Ferretti, alcune delle quali eterne, altre oggi meno immediate (quanti ricordano che la Longara citata da Dandini era la sede di un manicomio romano? Quanto siamo più sensibili al latinorum o ai superlativi irregolari sciorinati da falso principe e tronfio barone?). Di meraviglie La cenerentola è un vero pozzo, “più se ne cava più ne resta a cavar”, e forse proprio per questo, a fronte di tanta profondità, ci si gode una produzione leggera, colorata, surreale come quella nel cartellone della Rete lirica delle Marche, realizzata in collaborazione con l'Accademia rossiniana di Pesaro e l'Accademia Bernardo De Muro di Tempio Pausania.
Se la scena di Lorenzo Maria Mazzoletti è quasi neutra, con le sue pareti di libri a far da quinte e fondali nell'illuminazione di Silvia Vacca, i costumi di Viola Santoretto sono un'esplosione di fantasia, sgargianti e allegramente disparati nelle ispirazioni. Alidoro è un saggio cinese e l'abito del ballo di Cenerentola una nuvola rosa luccicante che subito accende i ricordi d'infanzia di chi negli anni '80 ha ricevuto da Santa Lucia (o chi per essa) una Barbie Luci di Stelle. Le sorellastre fanno pensare al mondo di Jem e le Holograms e l'amarcord per una generazione è completo, per le altre non mancano comunque vivacità e divertimento. La regia di Matteo Anselmi gioca con leggerezza, ma crea pure una cornice narrativa in cui una moderna Cenerentola da un mondo di specchi e di corpi perfetti come manichini si immerge in una dimensione di libri e sogni. Proprio come quella beata di un'opera che ancora sa stordire con la sua bellezza per tutte le tre ore di durata.
Merito di un bel gioco di squadra che vince i limiti possibili in una produzione itinerante da provare velocemente per adattarsi a diversi palcoscenici. Se l'azione scenica, infatti, è ben congegnata, in buca, alla guida dell'Orchestra Sinfonica Rossini, la bacchetta di Andrea Foti si conferma quella di un giovane degno di attenzione: preciso, sicuro, mostra una confortante attenzione per un'articolazione agogica che non sia solo esuberante frenesia, ma sensata adesione alle ragioni della musica, del canto, del testo. Difatti, non c'è parola che vada persa, com'è giusto che sia anche per mere questioni di emissione vocale.
Il cast già ascoltato nell'anteprima pesarese di novembre conferma qualità già consolidate o molto promettenti in prospettiva d'un prossimo futuro: in ogni caso risulta sempre ben preparato e affiatato. Si impone Chiara Tirotta, protagonista giovane ma già sufficientemente esperta per proporre un'Angelina dolce e tenera, toccante nel candore, brillante e morbida nella coloratura. L'altro “giovane veterano” della compagnia è Pietro Adaini, la cui evidente confidenza con la parte di Don Ramiro gli permette di gestire in maniera più efficace le sue doti naturali. L'innata propensione per l'acuto anche estremo, che in passato era parsa più faticosa sul piano tecnico, è risultata più libera e controllata (sembra un ossimoro, ma non lo è) sulla via di un incoraggiante miglioramento, a vantaggio anche di un fraseggio schietto e comunicativo.
Matteo Mancini, Dandini, si conferma un baritono del massimo interesse, teatrale e sicuro; i limiti sembrano solo quelli connaturati alla giovane età e il fatto che non forzi mai là dove la voce appare ancora in maturazione non fa che confortare sulla saggezza con cui amministra i propri mezzi. Un discorso simile si può fare per il Don Magnifico di Giuseppe Toia, del quale continuiamo ad ammirare il canto timbrato e nitidissimo nello sciorinare i sillabati, tanto più che, rispetto al concerto dello scorso autunno, le intenzioni appaiono migliorate, le piccole pecche già corrette. Giacomo Nanni completa il trio delle voci gravi e viene a capo dell'ostica, maestosa aria di Alidoro con disinvoltura, espressione simpatica e ispirata. Simpatiche sono anche le due sorellastre, Patricia Calvache (Clorinda) e Tamar Ugrekhelidze (Tisbe): la stessa contrapposizione fisica fra una più piccina e formosa e una più alta e snella è funzionale nella scena all'idea di due potenziali belle ragazze rese sgraziate dal “misto d'insolenza, di capriccio e vanità”.
È chiaro che di fronte a un'opera tanto esigente con ogni parte ci siano per tutti margini di crescita e miglioramento, ma ancor più si apprezza la capacità di non nascondere le difficoltà, superandole semmai con altri pregi. Sono questi che ci fanno vivere la recita con un sorriso beato sulle labbra, pensando solo alla fortuna di poter vivere in un mondo in cui esiste La Cenerentola di Rossini. L'attenzione e le acclamazioni del pubblico di giovanissimi nell'anteprima a loro dedicata (e nemmeno sufficiente ad soddisfare tutte le adesioni, tant'è vero che gli artisti si sono resi disponibili ad accogliere a una prova i ragazzi esclusi), il caldo successo alla prima lo confermano e premiano tutti gli interpreti e gli artefici dello spettacolo, fra i quali non bisogna dimenticare il Coro del Teatro della Fortuna con la sua direttrice Mirca Rosciani e la maestra al cembalo Claudia Foresi.