L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’ultimo Ballo 

di Emanuele Dominioni

Direttamente dal Festival Verdi 2021, Un ballo in maschera arriva al Liceu di Barcellona con due cast di prim’ordine guidati dal serio professionismo di Riccardo Frizza, per quella che fu l’ultima regia pensata da Graham Vick, poi portata sulla scena da Jacopo Spirei.

BARCELLONA, 18 febbraio 2024 - Prima ripresa di questo allestimento che tanto fece discutere a Parma in epoca covid [la recensione: Parma, Un ballo in maschera (Gustavo III), 24/09/2021], Un ballo in maschera firmato Vick/Spirei si caratterizza anzitutto per la grande libertà narrativa e una vitalità teatrale di cui quest’opera è senza dubbio intrinsecamente permeata. L’alternarsi di tragedia e commedia, mai come nel Ballo verdiano (e lo sarà ancor di più nella Forza) è la struttura su cui tutta la vicenda si snoda, attraverso un linguaggio musicale che, pur appartenendo già al Verdi più sofisticato e maturo, è ancora diretto, “semplice” e teatralmente esuberante. Un noto maestro di coro la definì una volta “la Miss Italia” delle opere di Verdi, quella forse più goduriosa, orecchiabile, laddove financo nei momenti più cupi e drammatici, emergono comunque una cantabilità e una vitalità melodica senza pari. Tale concezione in effetti ben si sposa anzitutto col carattere estroverso e carismatico del suo protagonista.

A Barcellona viene proposto il testo d'ambientazione americana, quello, cioè, nata con l’intervento dalla censura, portato in scena da Verdi e consolidato nella tradizione, nonostante lo spettacolo nato del 2021 fosse palesemente ispirato, concepito e plasmato sul primo libretto "svedese".

Gustavo III di Svezia, che ricordiamo fu assassinato nel 1792 in quanto sovrano illuminato, principe fuori dagli schemi (e apertamente omosessuale) rivive in questo spettacolo esattamente in questa dimensione, circondandosi di cortigiani dalla spiccata ambiguità gender che popolano quasi tutte le scene. La regia di Vick/Spirei ci catapulta infatti in una corte senza tempo in cui il tema della libertà sessuale è preminente. In questo senso anche l’antro di Urica perde ogni connotazione mistica o stregonesca, per diventare invece luogo di depravazione popolato da marinai e prostitute, in cui la maga stessa assume i panni di una maîtresse che gioca col destino dei suoi avventori. A tutto fa da presenza sovrastante la Morte, rappresentata attraverso la monumentale statua funeraria del re, resa ancor più tetra dal contrasto con la scatola scenica gialla che inamovibile incornicia tutto lo spettacolo.

La ripresa spagnola ha senza dubbio il vantaggio di muoversi in un contesto di maggiore libertà rispetto al debutto parmense di tre anni fa, in cui le restrizioni covid giocarono comunque un ruolo nell’assetto scenico. Ad esempio, il coro (mirabilmente diretto da Pablo Assante), benché sempre spettatore di quanto succede e trincerato in una nera galleria, ha qui maggiore dinamismo nei movimenti e quindi più incisività teatrale.

Il cast ascoltato nella recita del 18 febbraio vede come protagonista Arturo Chacón-Cruz, tenore dalla tecnica molto ferrata in cui si apprezzano soprattutto un registro acuto sicuro e facile e possibilità di fiato notevoli. Il physique du rôle adatto gli permette di costruire un personaggio carismatico e baldanzoso che rimane solo parzialmente irrisolto scenicamente nel finale dell’opera.

Accanto a lui Saioa Hernandez torna ad Amelia facendo sfoggio della consueta sontuosità e bellezza di uno strumento da autentico soprano drammatico, mirabile per quanto riguarda l’omogenità dei registri e l’assoluto controllo tecnico. Ci si dispiace, perciò, di una genericità di fraseggio da cui emergeva inevitabilmente un certo distacco dai tormenti del personaggio. Molte note belle, ma un’interprete poco fantasiosa.

Pregevole anche la prova di Ernesto Petti quale Renato, che, nonostante un certo affaticamento nella seconda aria, mostra un timbro virile e una pregnanza interpretativa da vero baritono verdiano.

Corretta la linea di canto di Okka von der Damerau, la quale però con Ulrica poco ha a che fare. Il timbro chiaro e un peso vocale davvero troppo irrisorio inficiano inevitabilmente la sua performance, non compensata nemmeno da quel temperamento che tale personaggio esige e che qui rimaneva invece solo nelle intenzioni.

Vera trionfatrice della serata è stata Sara Blanch quale Oscar, che si è trovata a sostenere tutte le recite in sostituzione di una collega prevista nell’altro cast. Perfetta nel fraseggio e dalla grande abilità tecnica ha saputo disegnare perfettamente la figura dell’esuberante paggio/spalla di Riccardo. 

Valeriano Lanchas e Luis Lopez Navarro differenziano bene Samuel e Tom, Nauzet Valeron è il primo giudice, Xavier Marrínez il servo di Amelia, David Oller il marinaio Silvano.

Riccardo Frizza dirige con grande maestria tecnica, costantemente attento alle esigenze d’insieme e del canto. Sono mancate talvolta una costante tensione drammaturgica e un maggiore trasporto narrativo, soprattutto laddove (finale I e finale ultimo) la scrittura musicale e teatrale si fa più densa.

Il pubblico del Liceu , gremito in ogni suo ordine, apprezza tributando molti applausi a tutti gli interpreti.


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