Il viaggio del Viaggio
di Gina Guandalini
Una riflessione sullo spettacolo visto ad Amsterdam, dove è nato, ne 2015, poi attraverso la trasmissione televisiva delle recite romane e alla fine al Teatro Costanzi, per l'ultima di queste. Inevitabile volgere il pensiero anche al ricordo di Philip Gossett.
Leggi anche le recensioni:
Amsterdam, Il viaggio a Reims, 03/02/2015 (di Gina Guandalini)
Roma, Il viaggio a Reims, 20/06/2017 (di Stefano Ceccarelli)
Nel febbraio 2015 un melomane italiano raccomandava ai lettori di un forum di precipitarsi, se appena era possibile, ad Amsterdam per non perdere Il viaggio a Reims messo in scena da Damiano Michieletto: li avvertiva che se ne prevedeva infatti una sola ripresa, nella lontanissima Sydney. E invece questa inventiva, gustosissima produzione rossiniana adesso è approdata anche a Roma. Chi scrive ha assistito a due recite olandesi, poi, la settimana scorsa, alla diretta televisiva di una recita romana e infine all’ultimo Viaggio al Teatro Costanzi, con Bruno de Simone rimasto come faro interpretativo ed evidente perno organizzativo (un interprete quintessenziato, insinuante) in mezzo a cantanti giovani e promettenti. La telecamera, diciamolo subito, non rende giustizia alla concezione scenica del regista veneziano e sembra ridurre il campo visivo dello spettatore; sì che, per esempio, la lentissima e sorprendente trasformazione della scena dell’incoronazione di Carlo X nell’autentica grande tela di François Gérard non “arriva” in tutta la sua efficacia; Corinna, che seduta al proscenio dipana il suo canto, va pure inquadrata singolarmente ogni tanto…
Già, Corinna. Non è un caso che uno dei più celebri ritratti di Giuditta Pasta (citato da Eugenio Gara per descrivere la Callas) sia proprio di Gérard – artista specializzato nel ritrarre le punte di “eccellenza” del primo venticinquennio dell’800. Rintraccio la recensione originale 1825 – non firmata - dell’austero Berliner Allgemeine Musikalische Zeitung; racconta di un piacevolissimo centone di motivi già noti, dalla Cenerentola all’Otello, spesso organizzati – più che altro per far lavorare le gazzette specializzate in anticipazioni sensazionali e per galvanizzare il pubblico - in pezzi d’insieme con un gran numero di esecutori. Madame Pasta, con la sua capacità di improvvisazione musicale e di immedesimazione nel personaggio, risulta in quella cronaca la vera, la unica protagonista. È lei, a pari merito con Rossini, a fornire la teatralizzazione di questa opera-concerto. Ai nostri tempi occorre invece la manovra diversiva della regìa, i virtuosistici miracoli di metamorfosi di Michieletto – e non dimentico le luci di Alessandro Carletti - per intrattenere il pubblico quando Corinna canta in duetto o da sola. Il mio viaggio nel Viaggio serba il ricordo - oltre che della presenza di de Simone quale Trombnonok - della brava Eleonora Buratto ad Amsterdam.
Commovente che poco prima della produzione romana Philip Gossett ci lasci: lui che de Il viaggio a Reims è stato il padre e il ricostruttore. L’instancabile Marilyn Horne, prossima a trasferirsi in California, mi scrive a caldo il suo dispiacere. Lei che quando era in carriera adottava a volte la buffa italianizzazione “Filippo Gossetto”, adesso modifica confidenzialmente il cognome del vecchio compagno di fatiche rossiniane in gussett - toppa per rinforzare un maglione :“Phil Gusset è stato un caro amico e collaboratore… che impulso ha dato alla resurrezione delle opere belcantistiche! e lo stesso ha fatto nella tendenza a correggere tante partiture, e tutte quelle di Verdi nel suo gigantesco progetto verdiano… Siamo stati fortunati ad averlo…mi mancherà moltissimo”.
Bruno de Simone ha conosciuto il musicologo di Chicago al R.O.F. di Pesaro in occasione della Matilde di Shabran. Con lui, napoletano, grande buffo, fine dicitore, esegeta di libretti antichi, il discorso delle revisioni rossiniane si amplia; osserva che la filologia operistica deve ancora affrontare i libretti, il testo, in maniera onnicomprensiva. Bisognerà riparlarne.
Chi scrive si è trovata a discutere e controbattere con Philip Gossett per e-mail a proposito della propria traduzione italiana di un suo articolo per il programma di sala del Falstaff al San Carlo di Napoli. Un onore, in realtà, e anche un divertimento. Come quando nell’estate 1986 assistetti alla sua conferenza di presentazione di Bianca e Falliero al R.O.F. di Pesaro, a metà della quale balzò al pianoforte e attaccò con entusiasmo “O serto beato”, quasi con più slancio della Ricciarelli, con imbarazzo di uno o due dirigenti e gioia di noi spettatori. Anche ricordo la sua straordinaria onnipresenza alla Semiramide del Metropolitan nel 1990; non mi sarei stupita di vederlo parcheggiare la macchina della Anderson o vendere i programmi di sala. Ma prima ancora, Gossett è colui che nel 1976-’77 convinse la Horne a cantare Tancredi. Per questo merito storico-musicale, oltre che per tante altre ricostruzioni e rinascite, ora certamente ascolta cantare gli arcangeli.