Se, invece, si vuole passare da un documento all'eccellenza e apprezzare una registazione che sappia eternare nel migliore dei modi Die Fledermaus, non ci si può sottrarre dalla visione del DVD, edito dalla Opus Arte, della rappresentazione di Glyndebourne del 27 luglio 2003. La vicenda viene trasposta una ventina d'anni oltre il 1874, quindi quando la grande depressione volgeva al termine. La regia di Stephen Lawless, assistito da Titus Hollweg, è bellissima e priva di punti deboli, così come la musica Johann Strauss. La casa di Gabriel von Eisestein è più semplice, ma adeguata e tutto il primo atto è una serie senza fine di trovate divertenti e spensierate, ma mai eccessive e sempre intelligenti. Alfred e l'influenza erotica del suo canto su Rosalinde, vengono caratterizzati con simpatia mai volgare; il terzetto fra Eisestein, la moglie di quest'ultimo e la cameriera Adele è musicalmente strepitoso e l'abilità, nonché la disinvoltura degli interpreti aiuta il pubblico a essere partecipe di una infinita serie di gag irresistibili. Il vero capolavoro registico, però, è il secondo atto. Nel corso della festa nel palazzo del principe Orlofsky, il libretto è seguito alla prefezione in un crescendo emotivo di rara efficacia, partendo dall'incontro fra il ricco russo e il Doctor Falke, sino a giungere a un effluvio di equivoci, eros e alcool, sempre gioiosi e perversamente spensierati. L'esplosione del grande baccanale orgiastico, che fa da chiusa all'atto centrale, con un apice di lieta trasgressione di ben sette ore, come viene sottolineato dall'ingresso di orologi sulla scena, a ricordare che il trascorrere cronologico, nella gioia del vizio, pare volare via. Il terzo e ultimo atto, abientato nelle prigioni viennesi, altro non è che la risoluzione dell'intreccio: tutto viene disvelato e la vendetta di Falke, per l'umiliante scherzo subito ha suo compimento. Accanto a uno spettacolo sì perfetto, non poteva porsi altro che una compagnia vocale di egual qualità. Pär Lindskog è un Alfred ammiccante e disinvolto. Lyubov Petrova è perfetta nel ruolo di Adele, precisa nelle agilità, svettante nei sovracuti: abilissimia attrice, dà una caratura differente dal consueto all'aria del secondo atto "Mein herr Marquis”, donando un tono di preoccupazione più marcato, nel timore di essere scoperta nel suo travestimento, che, anche cromaticamente (bianco su nero), potrebbe rammentare la divisa di una cameriera. Pamela Armstrong è una Rosalinde spiritosa e smaliziata, completamente avvinta nei suoi freni inibitori dal canto di Alfred, gelosa e impertinente con il marito. Prevedibile la prova di Thomas Allen, che non tradisce le più rosee attese; il suo Gabriel von Eisestein è irresistibile, ingannatore, ma sciocco - senza essere stupido - nel cadere nella trama di inganni subiti, vittima delle dobelezze scatenate dal richiamo dell'ebrezza. Allo stesso modo il principe Orlofsky di Malena Ernman è quanto di meglio si possa desiderare in questo ruolo: impressionanti le variazioni di timbro e di espressione nella recitazione, ottima la resa vocale in tutte le sue parti. Vermente un'interprete irrinunciabile per qualità e capacità. Håkan Hagegå (Doctor Falke) è autentico deus ex machina dell'intero intreccio; tutte le frenetiche vicende di questa folle serata portano la sua firma, unico personaggio posato e riflessivo, spesso controlla dall'alto che i suoi propositi di vendetta dalla burla subita abbiano totale compimento. Il cast è completato da Artur Korn, eccellente Frank e da un'altrettanto eccellente Renée Schüttengruber, ottima cantante, attrice e ballerina. Il doctor Blind è Ragnar Ulfung, le belle scene girevoli sono di Benoit Dugardyn, i costumi di Ingeborg Bernerth e le luci di Paul Pyant. Nota di merito alla coreografia di Nicola Bowie, splendida nelle rappresentazioni di musiche tipiche del cosmopolitismo dell'austro-ungheria e magistralmente celate dall'impiano scenico, quasi a intuirne l'evoluzione all'interno del salotto. Unica danza apertamente visibile al pubblico è una straordinaria Tritsch-Tratsch-Polka, eseguita all'unisono da quattro avvenenti ballerine, Ida, Eisestein e Frank. Sapiente quanto lo fu l'Austria felix, la direzione di Vladimir Jurowski, che giunge all'ideale platonico dell'interpretazione musicale straussiana. Il direttore russo coglie appieno lo spirito dell'operetta viennese, con dinamiche perfette e splendido equilibrio fra le sezioni d'una sempre impeccabile London Philarmonic Orchestra, condotta, nel finale da Udo Samel (che interpretava anche il ruolo del carceriere Frosch), accompagnando gli scroscianti e meritati applausi al suono di una coinvolgente Radetzky-Marsch. Il Glyndebourne Chorus è diretto da Bernard McDonald e preparato da Martin Fitzpatrick. Di ottima fattura la veste grafica del DVD, il saggio di Tom Sutcliffe e le note di regia di Stephen Lawless. Unica pecca l'assenza di sottotitoli in lingua originale. Quando un'operetta viene eseguita con perizia e pertinenza, con la collaborazione di registi abili, efficaci coreografie e cantanti-attori capaci di cimentarsi con difficoltà tali da superare ampiamente quello del teatro lirico di tradizione, ebbene, si giunge allo scopo che i padri di questo genere vollero trasmettere. Nei momenti di crisi l'operetta ebbe la sua esplosione, come rappresentazione non di grandi vicende storiche, ma delle intime passioni umane, con i loro pregi e difetti, ponendo lo spettatore davanti al suo intimo, consentendo di sfogare passivamente le sue tensioni e liberando la mente dalle proprie scorie: essa funge da autentica medicina dell'anima. Un farmaco che la Vienna felix seppe produrre nella sua forma più alta, grazie alla sua straordinaria e ineguagliata levatura intellettuale e culturale, fatta dall'eterogeneo incontro di popoli e culture, tipiche dell'impero che, nella diversità seppero arricchirsi e ancora seguitano ad arricchire tutti noi, senza avvertire i segni del tempo. Questo perché quale mirabile fanciulla, la Vienna che fu, faceva mostra di sé, colta, raffinata e smaliziata; tuttavia fu, purtroppo, stroncata nel fiore degli anni dall'immutabile trascorrere del tempo e dalla parte peggiore dell'uomo, ma grazie all'eterno splendore delle musiche di Johann Strauss o di Franz Lehár, riappare a noi, più magnifica e lucente che mai.
Speciale Die Fledermaus - pag 2
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