L’Ape musicale

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Dopo Lucrezia Borgia

Nonostante l’edizione 1900 del Grove asserisse che nel 1833 la cantante francese si sarebbe ritirata in Spagna e di lei si sarebbe persa ogni traccia, il caso Méric Lalande è tutt’altro che chiuso. Nell’estate del 1834 una interessante stagione “lalandiana” a Perugia ci dà la misura del suo talento. Il censore universale dei teatri è periodico immerso nelle glorie e nelle beghe dell’opera e sa bene le voci che corrono intorno alla protagonista. Per una ripresa della belliniana Straniera rassicura i lettori, menzionando “…animi preoccupati, che diversa da quella del 1829 vorrebbero la grande attrice cantante del 1834. Non è questa forse quella chiarezza, robustezza e delicatezza di voce, quella verità d’espressione, quell’energia di azione e declamazione medesima, che per la Lalande rese memorabile l’Alaide alla Scala? Se v’è chi possa notarne una differenza, la noterà a maggior perfezione di questa commoventissima parte. Arbitra quindi di tutti i cuori, in tutti eccitar seppe quest’ammirabile virtuosa quegli affetti, quelle passioni che incomparabilmente dipinse, e il suo trionfo fu clamorosamente celebrato fra gli applausi del furore”. Per un Barbiere di Siviglia, Il censore universale dei teatri scrive di “cantar leggero, agile e fiorito con tanta franchezza e naturalezza”; e per Semiramide riporta che “Bel raggio lusinghier” è “sublimemente cantato” e che il secondo duetto con il contralto Brigida Lorenzani suscita ““ardente entusiasmo, infiniti plausi e chiamate”.

All’inizio del ’35 la nostra canta alla Fenice una ripresa del suo antico cavallo di battaglia, Il Crociato in Egitto e poi I Capuleti e i Montecchi ambedue con Giuditta Grisi come contralto. Il periodico L’Apatista pubblica una recensione che contiene una notizia strana: “In una parte che non sostenne mai e che dovette imparare in pochi giorni, giacchè ovunque rappresentò I Capuleti le si affidò la parte di Romeo, essa pure” (come Giuditta Grisi) “entusiasmò il pubblico, piacque moltissimo nella sua cavatina e nel duetto con la Grisi; ma nel rondò del secondo atto tutti conobbero in lei la vera maestra del canto, l’attrice perfetta: passione, forza, verità, tutto si ritrovò in essa, tal che dimostrò che anche in una parte di poco conto, quale si è certamente quella di Giulietta, il bravo artista è sempre grande”. Non mi risulta che la Méric Lalande abbia mai cantato il ruolo di Romeo in quest’opera belliniana.

A fine febbraio partecipa per l’ultima volta alla prima assoluta di un’opera: è Leonora di Jork (sic) nel Carlo di Borgogna di Pacini, insieme a Giuditta Grisi e a Donzelli “Questa distinta e animatissima artista ha pienamente conosciuto il personaggio affidatogli”, si legge sull’Apatista. “Sempre somma cantante…I suoi acuti sono nitidi e forti e spiccano grandemente: tali attrici sono ben a ragione la delizia del nostro pubblico”. Nella stessa stagione, a Trieste, vanno elencate Emma d’Antiochia di Mercadante e Otello di Rossini. È evidente che la fama di artista nella fase finale della voce continua a circolare, in quanto L’Apatista ci tiene a mettere le cose in chiaro: “Le prevenzioni a carico della Lalande si dispersero all’esecuzione del primo pezzo, magistralmente eseguito, nel quale tutti fece brillare que’ tanti pregi onde ognuno sa a dovizia esser ella fornita, e che ad onore della verità ne è in pieno possesso. In conclusione essa appagò il pubblico pienamente, tal che ognuno amerebbe di sentirla tutta la stagione esclusivamente, ed in tutte le opere”.

Nella primavera del ’35 il Carignano di Torino vede il debutto di Enrichetta in Norma con Domenico Donzelli. Il bollettino bolognese Cenni storici intorno alle lettere, invenzioni, arti, commercio e spettacolo dedica alla sacerdotessa di Enrichetta Lalande una bella disamina, con tanto di confronti, che voglio qui riportare. “Poche attrici sono da tanto per sollevarsi all’altezza di Norma; e quanto più le attrici sono valenti ed esperte, tanto più riconoscono la difficoltà di rappresentarla e ne risentono il peso. E perciò la Lalande tremava; quella Lalande che fu detta regina della lirica scena e assicurò gli allori di Bellini nel Pirata e nella Straniera, impallidiva sotto la mistica verbena della druidessa. Ma voi la incoraggiaste ed ella si riebbe. La Pasta, per cui fu creato quel personaggio, lo coloriva con tutta l’energia dell’anima e dell’arte; la Malibran lo animava con tutta l’onnipotenza della sua voce; la Lalande lo esprime con tutti i sospiri della passione. Il suo canto non è robusto, concitato, sorprendente come quello di coteste due somme; ma tenero, espressivo, commovente; è druidessa meno severa, ma più amante; è meno severa, ma più afflitta; è meno agitata, ma più gemente; ha una lagrima nel rimprovero, una lagrima nella minaccia; nella vendetta stessa una lagrima. Perciò la patetica preghiera alla luna risuona sovra il suo labbro con un’indicibile mestizia di note, e il Duetto con Adalgisa, e la scena con Pollione nel tempio e l’Aria finale hanno accenti così melanconici e talvolta così laceranti, che se non iscuotono e non colpiscono l’animo fortemente, scendono al cuore con tocchi di tutta soavità….Donna che conosce sì bene tutti i mezzi dell’arte e si giova di tutti gli aiuti dell’esperienza… questa Norma tanto teatrale, per così esprimermi, e tanto tragica…”

Bellini morirà pochi mesi dopo. Ma l’opera lirica va avanti. Nel giugno ’36 Carlo Coccia ripresenta la sua Caterina di Guisa, con Domenico Donzelli. È una riscrittura della versione del febbraio di tre anni prima. Quella che era stata la parte contraltile di Adelaide Tosi passa ora al soprano francese e viene accorciata e addolcita; anche diverse puntature acute spariscono. Coccia amplia anche l’aria di Caterina “E infierir così potete!”. Quella del terzo atto, “Ah, fidar potessi almeno” viene guarnita di acciaccature per una voce meno estesa più espressiva. Gli appelli finali “Lascia in pria” e “Sì, m’uccidi” sono invece più elaborati e vocalmente più estesi, facendo pensare che la Lalande sia una di quelle cantanti che vanno migliorando col trascorrere della serata.

Scopro che a Genova, nel gennaio 1837, Enrichetta canta Francesca da Rimini di Emanuele Borgatta; con lei c’è il basso Ignazio Marini. A fine gennaio 1838 leggiamo su Cosmorama Teatrale: “Palermo. Finalmente la sera del dì 29 dello scorso novembre è andata in iscena la Gemma di Vergy del Maestro Donizetti, dopo una forte indisposizione sofferta dalla Lalande, la quale produsse ulteriore ritardo alla prima rappresentazione, ed in conseguenza di tale indisposizione la prima recita non fece quell’incontro che era sperabile. Nelle rappresentazioni posteriori la cosa è andata altrimenti. La Lalande quasi perfettamente rimessa ha fatto gustare il suo canto accompagnato da quell’arte e da quella maestria propria del suo merito ed è stata applaudita”. Viceversa la Revue et Gazette Musicale de Paris informa che la "Gemma di Rossini" (sic) ha fatto fiasco, e la loro compatriota, in questa occasione, sembra avere perduto la reputazione che si è acquistata su tante scene italiane.

Il 17 febbraio Il barbiere di Siviglia “riportò un incontro strepitoso…Generalmente il pubblico era mal disposto per la stessa (Lalande), ma poi tutti furono sorpresi dalla maniera tutta particolare e difficile con la quale cantò e sostenne quella parte. Maestra, tutti i mezzi seppe adoperare che erano in suo potere, ad a ragione furono incessanti, continuati e strepitosi gli applausi concedutile (sic). A (Guscetti – Figaro) ed alla Lalande applausi sonori e più volte sul proscenio chiamati”. Nelle cronache è prevista con lei anche l’Anna Bolena, di cui nulla ho rinvenuto.

In quel 1838 esce la biografia Madame Malibran, scritta dalla Contessa Merlin e stampata a Bruxelles. Nel capitolo XVI riporta la lettera in cui al debutto a Londra nel Pirata (1830) la Lalande è criticata dalla illustre collega più giovane, più bella, più temperamentale di lei; ma della stessa scuola di canto. Maria de las Mercedes de Santa Cruz y Montsalvo, comtesse Merlin, è una ricchissima spagnola, nata e cresciuta a Cuba. È grande amica e ammiratrice della Malibran, con il cui padre, proprio come la Lalande, ha studiato canto. Il suo salon parigino, dove si esibisce privatamente con le più garndi ugole dell’epoca, è frequentatissimo, i suoi contatti con tutti i Garcìa sono comprovati; probabilmente il libro è ragionevolmente attendibile e ha lo scopo, in gran parte riuscito, di esaltare la Malibran come artista e come donna – o meglio come ragazza, visto che è morta a ventotto anni – e di creare il suo mito. Due anni dopo il libro è tradotto in inglese e in italiano, con aggiunte e varianti. Edgar Allan Poe lo recensisce molto positivamente nel maggio 1840 sul Burton’s Gentleman’s Magazine di Filadelfia. Parla della divina Maria Felicia con entusiasmo, come se l’avesse vista in teatro molte volte. Nel suo racconto The Spectacles svolge la storia di un giovanotto miope che per vanità non vuole portare gli occhiali. All’opera si innamora follemente di una dama in un palco; quando riesce a farsi presentare la ascolta cantare I Capuleti e i Montecchi, Otello di Rossini, La Sonnambula; e Poe cita alla lettera le descrizioni del canto della Malibran contenute nel libro della contessa Merlin. Notare che in quella biografia i due vilains sono Eugene Malibran, il marito, e la rivale francese Lalande; ecco che nel racconto la dama di cui si è innamorato il giovanotto si chiama Eugénie Lalande. La bellissima donna acconsente a sposarlo solo se vince la vanità e mette gli occhiali; a cerimonia conclusa si rivela un’ultraottantenne, e più precisamente la sua bis-bis-bisnonna. Ma la cerimonia era finta, per punirlo della sua vanità. Il giovane sposa la bellissima Stéphanie Lalande, bis-bisnipote della vecchia Eugénie. L’uso del cognome a me non sembra casuale.

Una stagione triestina dell’autunno 1838 la vede impegnata nel Giuramento di Mercadante, Lucrezia Borgia sotto il titolo Alfonso duca di Ferrara) e Roberto Devereux; accanto a lei Giorgio Ronconi, giovane baritono destinato a brillante carriera, e il contralto Marietta Brambilla. La stampa, più che infierire, tace sulle condizioni vocali della primadonna. Ma io voglio ricordare una serata-Lalande di cui il settimanale Il Pirata riferisce questo: “Col secondo atto del Giuramento, colla cavatina del Belisario, che ella cantò fra vere grida d’entusiasmo, e col secondo e terz’atto della Lucrezia Borgia ebbe la Lalande la sua beneficiata. Fra le più belle sere della sua carriera ella deve annoverare anche questa”. Mi piace concludere questo excursus su una nota felice.

Il 4 feb ’39 LA MODA pubblica un breve trafiletto: “la primadonna signora Méric Lalande è disponibile per la prossima primavera”; il 10 aprile 1839 il bollettino teatrale Glisson, N’Appuyons Pas annuncia più esplicitamente “Crediamo che i più accorti impresari sentiranno volentieri che l’egregia signora Enrichetta Méric Lalande, non ha guari felicemente sgravata, si trovi a loro disposizione”. Però dopo le recite a Trieste della carriera di Henriette Méric Lalande non è dato sapere altro. È diventata di nuovo, a quarant’anni, madre; è probabile che, in un ambiente dove un anno di assenza significa scomparire dalla memoria del pubblico, si renda conto che il ritorno è difficile. I più accorti impresari non sembra che si siano fatti vivi.

Non mi è stato possibile rintracciare alcuna informazione su Enrichetta Méric Lalande dopo il 1839. L’estensore della sua voce in Wikipedia tedesca, generalmente dettagliato, dice che a carriera finita è ritornata in patria. Sembra assurdo che non si sappia nulla a proposito di lezioni di canto, di una sua scuola, di qualche ragazza di talento addestrata da lei. Si dovrà scavare più in profondità. Il solo necrologio che ho potuto trovare è sul Watson’s Art Journal, che come unica tappa della sua carriera cita la prima del Crociato in Egitto; segno che in Inghilterra Meyerbeer era sopravvissuto un po’ più a lungo di Bellini e di Donizetti. Dice anche che era “madre del popolare contralto Madame Méric-Lablache”. Ma è una svista. Louise Méric Lablache fu in effetti una cantante molto attiva a Londra e negli Stati Uniti, che sposò un figlio del grande basso Lablache (frequente collega di Enrichetta); ma sua madre era Josèphine Deméric o Deméry o Méric, un soprano di Strasburgo, di Enrichetta coetaneo, che ebbe qualche stagione felice a Parigi e a Londra.

Sappiamo che la morte di Henriette Méric Lalande avviene in Francia, a Chantilly, il 7 settembre 1867. Tre mesi prima di Giovanni Pacini, un anno prima di Rossini.


 

 

 
 
 

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