L’Ape musicale

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GUIDA ALL’ASCOLTO

Affrontare il teatro di Georg Friedrich Handel comporta un confronto con una serie di problematiche, legate al teatro settecentesco, un mondo affascinante e in continua evoluzione, fatto di varianti testuali e musicali, cantanti, dinamiche contrattuali, ancora più interessanti se l’opera in questione è Rinaldo, che nel 1711 segna il debutto, e il primo grande successo, del compositore tedesco in terra inglese.

Dopo l’apprendistato in Italia, Handel, o il “caro sassone” come era stato soprannominato durante il suo Gran Tour nel Bel paese, era giunto a Londra. Era il 1710, Handel aveva 25 anni e possedeva uno straordinario talento per la melodia e la costruzione musicale, nonché un certo fiuto per gli affari.

All’arrivo nella terra inglese - sua futura patria d’adozione - la musica di Handel non era totalmente sconosciuta al pubblico. Infatti, l’ouverture e le danze del Rodrigo (1707) erano state usate come musiche di scena per la ripresa di The Alchemist del drammaturgo britannico Ben Johnson al Queen’s Theatre nel gennaio del 1710, poi pubblicate dall’editore Walsh come il lavoro di un “maestro italiano”. O ancora, bisogna ricordare che il contralto Francesca Vanini - prima interprete di Goffredo nell’edizione del Rinaldo 1711 - nella ripresa londinese di Pirro e Demetrio aveva inserito l’aria “Ho un non so che nel cor” da Agrippina, che aveva cantato l’anno prima al Teatro San Giovanni Crisostomo di Venezia.

Uomo-chiave del primo grande successo di Handel in Inghilterra era stato Aaron Hill, impresario teatrale giunto all’Heymarket Theatre da Drury Lane, quando il Queen’s Theatre aveva ottenuto il monopolio delle produzioni teatrali. Personaggio eclettico e dotato di grandi abilità impresariali, Hill aveva proposto a Handel un’opera sul personaggio di Rinaldo e ne aveva abbozzato il soggetto, a partire da quello straordinario capolavoro della letteratura italiana che è la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, mentre il libretto era stato scritto in gran velocità dal librettista del teatro, Giacomo Rossi, alla sua prima esperienza di teatro d'opera, il quale più tardi avrebbe scritto che: « […] Mr. Handel, Orfeo del nostro secolo, nel porla in musica, a pena mi diede tempo di scrivere, e viddi, con mio grande stupore, in due sole settimane armonizzata da quel genio sublime, al maggior grado di perfezione un’opera intera».

Secondo Hill, Rinaldo poteva sciogliere un nodo cruciale relativo al rapporto del pubblico inglese con il teatro italiano. A conferma di ciò, nella dedica alla regina nel libretto della prima esecuzione dell’opera, l'impresario esprimeva la speranza di vedere l’opera inglese più splendida della madre - l’opera italiana ça va sans dire - dato che le loro rappresentazioni avevano alcuni limiti: «primo, che erano state composte per gusti e voci ben diversi da quelli che le avrebbero ascoltate o cantate sulla ribalta inglese; secondo, mancando le macchine e le decorazioni che conferiscono al loro aspetto tanta magnificenza, non sono state viste e sentite nelle migliori condizioni». E per porre rimedio a queste mancanze, egli decisi di inquadrare «un’azione drammatica che, attraverso peripezie e passioni, fosse in grado di diversificare l’atmosfera musicale e manifestarne l’eccellenza, colmando l’occhio di prospettive talmente belle da deliziare i due sensi nella stessa misura».

Come è ben noto, il teatro musicale settecentesco esige ritmi serrati. In appena due settimane la musica del Rinaldo era pronta e l’opera, divisa nei canonici tre atti, potè andare in scena il 24 febbraio 1711 al Queen’s Theatre con un cast di tutto rispetto: il castrato Nicolini interpretava Rinaldo, il contralto Francesca Vanini Boschi era Goffredo, mentre Argante era affidato alla voce di Giuseppe Boschi, celebre basso handeliano.

Ascoltando l’opera, molti spettatori dell’epoca avranno riconosciuto alcune melodie note, infatti, com’era prassi per l’epoca, il compositore si affidava alla tecnica tipicamente barocca dell’auto-imprestito. In questo senso, Rinaldo rappresenta un caso emblematico della straordinaria capacità di Handel di dialogare con la propria musica e di rielaborarla: alcuni numeri provenivano totalmente o in parte da opere precedentemente composte, come Almira, La Resurrezione, Agrippina, e altri lavori che risalgono al periodo italiano. Tra gli auto-imprestiti più celebri, bisogna ricordare l’aria-sarabanda “Lascia ch’io pianga”, “Bel piacere”, o “Vo’ far guerra”, l’aria conclusiva del II atto affidata ad Armida, tutte “prese in prestito” da Agrippina.

A metà tra Storia e mondi fantastici, la trama ideata da Hill nacque dalla combinazione di svariati elementi derivati principalmente da La Gerusalemme liberata di Tasso, dall’Orlando furioso di Ariosto, e dal mito di Armida.

Ambientata al tempo delle Crociate, la storia inizia con una promessa: Goffredo di Buglione, a capo della spedizione cristiana in Terra Santa contro i Saraceni, per ottenere l’aiuto del valoroso Rinaldo, gli promette in sposa sua figlia, la bella Almirena, solo quando Gerusalemme sarà conquistata dall’esercito cristiano. Rinaldo e i cristiani occupano la Palestina e assediano il re Argante a Gerusalemme, mentre la maga Armida, amante di quest’ultimo, riesce a imprigionare nel castello incantato Almirena e attirarci anche Rinaldo - di cui si è segretamente invaghita - tentando inutilmente di sedurlo trasformandosi in Almirena. L’intreccio si complica quando, per il gioco delle coppie, Argante si innamora di Almirena, che però lo respinge. Dopo innumerevoli difficoltà e colpi di scena, finalmente giunge Goffredo che libera i due amanti. Il lieto fine è vicino: Rinaldo col suo esercito cristiano conquista Gerusalemme, cattura Argante e Armida, convertendoli al cristianesimo e infine sposa Almirena.

L’opera ha grande successo e nel corso del tempo verrà ripresa dal compositore più volte: nel 1713, 1717 e 1731, solo per citare le edizioni più importanti. Per Handel, straordinario uomo di teatro, punto fermo dell’opera rimane la drammaturgia, ma adeguandosi ai tempi e alle esigenze del teatro, poteva cambiare il registro vocale dei personaggi a seconda dei cantanti che aveva a disposizione, vere e proprie star del teatro barocco contese dai migliori teatri: la composizione poteva subire modifiche, aggiustamenti, aggiunte, cambiamenti di registro per adeguare l’opera al gusto del pubblico o alla presenza nel cast del cantante più in voga in quel momento. Ogni versione può presentare nuove arie e per esempio quella del 1717, ha 4 o 5 nuove arie, mentre quella del 1731 ha altre aggiunte.

Data la straordinaria ricchezza di versioni che caratterizza l’opera, è normale porsi una domanda: quale versione verrà eseguita da Accademia Bizantina diretta dall’esperta bacchetta di Ottavio Dantone?

Una versione nuova. Lavorando come un novello Orfeo del teatro barocco, il M° Dantone ha creato un nuovo Rinaldo a partire dai manoscritti delle versioni del 1711 (normalmente eseguita nei teatri) e del 1731, e dalle voci a sua disposizione, scegliendo gli elementi da mantenere per costruire un’opera che possa piacere e avvincere il pubblico del nostro tempo. In questa nuova versione, seppur prediligendo la versione del 1711, vengono inseriti alcuni elementi del 1731 - come la predilezione per la vocalità del registro basso per il personaggio del mago. Gli interventi più interessanti sono però nella scelta di arie e recitativi del secondo atto: in seguito all’aria di Armida “Lascia ch’io pianga”, il recitativo di Argante “Ah! Sul bel labro Amore” è al posto di “Basta che sol tu chieda”; l’aggiunta nella Scena VII del recitativo a due di una sirena e di Rinaldo “Ah! Rinaldo crudel”, l'inserimento di una sinfonia nella IV scena del III atto.

Valentina Trovato


 

 

 
 
 

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