Il decalogo del cantore maffeiano
Maffei, nelle Lettere, discorre di bello e brutto, gradevole e sgradevole e sconveniente, dimostrando non solo un interesse remoto per tali argomenti, ma anche che i temi principali delle sue pagine, cioè la voce e il canto, non si distaccano né dall’etica né dall’estetica. La bellezza è sinonimo di virtù, pertantoil cortigiano dovrà apprendere a modulare la propria voce in maniera esteticamente gradevole, così da porgere un suono degno di essere udito e che ben rispecchi la purezza di un animo nobile.
Nella Lettera sul canto sono enunciate le regole da seguire per riuscire ad educare la propria gola al canto senza l’ausilio di un maestro, ma coadiuvati dall’agilità dei passaggi (la cui rapidità favorisce la precisione).
«La prima dunque regola sia che colui che vuole abbracciar questa virtù debba fuggire, come capital nemica, l’affettatione, percioche tanto é di maggior bruttezza nella musica che nell’altre scienze, quanto con minor pretendimento si deve la musica esercitare. Nè m’occorre sopra ciò addurre altra ragione che l’isperienza istessa, laqual’ ogni giorno ne veggiamo, conciosia cosa che molti per saper cantare quattro notucce con un poco di gratia, mentre cantano, s’invaghiscono tanto di loro stessi che i circostanti se ne fanno beffe; e dopo aver cantato non meno per la città con i piedi passaggiano di quello c’hanno con la gorga passaggiato, e vanno tanto altieri e fumosi che sono da tutti più tosto schivati che riveriti. Or fugga dunque la compiacenza di se stesso, senza dare ad intendere che di ciò faccia o voglia far professione.»
Le regole sono in tutto dieci. Nella prima, Maffei ricorda che chi canta deve rifuggire l’affettazione e non ostentare la propria arte; inoltre, una qualità del cortigiano è anche la sprezzatura, cioè l’agire con disinvoltura. Il cantore non deve dimostrare né fatica né tantomeno autocompiacimento. Secondo Maffei è corretto essere disinvolti, ma non narcisisti (sarebbe uno sbaglio gravissimo, il cui unico risultato è la perdita del controllo su se stessi e sulla propria voce). Chi canta deve avere una veritiera percezione di sé, però ciò non significa commettere lo stesso errore del vanesio Narciso e perdersi nella propria immagine.
«La seconda regola è che l’ora nella quale si deve far questo esercizio sia la mattina, ovvero quattro o cinque ore dopo mangiare, perché nel tempo nel quale lo stomaco è pieno non può la canna della gola esser cosi forbita e netta come si richiede a mandar fuora la voce chiara e serena, la quale più di qualsivoglia altra cosa al cantare di gorga é necesseria. La terza regola è che lo luogo dove si deve far questo esercizio sia in parte nella quale la solitaria Eco risponda, si come sono alcune ombrose valli e cavernosi sassi, ne’ quali, rispondendo ella a chi seco ragiona e cantando con chi seco canta, potrà facilmente dimostrare se buoni o no i passaggi sono, e fare di viva voce ufficio.»
La seconda e la terza regola ci dicono quando e dove è conveniente esercitarsi: il giorno è il momento migliore, a distanza di quattro o cinque ore dai pasti onde evitare eventuali reflussi gastrici, mentre, per quanto riguarda il luogo, l’autore suggerisce di cantare ove vi sia eco. Maffei personifica l’effetto acustico del ritorno del suono identificando nella ninfa Eco una guida per il cantore: secondo la mitologia greca, Eco fu condannata dalla dea Era a ripetere in eterno l’ultima parola dei discorsi che le si rivolgevano; Maffei affida alla ninfa lo studente di canto, il quale, in un ambiente echeggiante, può riudire e valutare la propria voce. Proseguendo nella lettura apprendiamo che, oltre all’autoascolto, è centrale anche il sapersi osservare:
«La quarta è che non abbia far movimento alcuno altra parte del corpo fuor che la detta cartilagine cimbalare, perché se paiono brutti a noi coloro i quali cantano di gorga crollano la testa o tremano con le labbra o muovono le mani o piedi, ci abbiamo a persuadere che noi, facendo il simile, dobbiamo parere brutti agli altri. E di questi ne veggiamo molti, i quali, o per poca fatica tolta nel principio, ovvero perché non si sono accorti del mal’uso, non ponno in modo alcuno, quando cantano, star fermi, ed accioché di cio sia avvertito. La quinta regola è che debbia tenere uno specchio inanzi agli occhi, accioché mirando in esso sia avisato di qualsivoglia accento brutto che quando canta facesse.»
Guardandoci allo specchio non rischiamo di commettere errori: l’unica parte del corpo che deve attivarsi è la cartilagine cimbalare, cioè la glottide, ogni altro movimento risulterebbe visivamente antiestetico e sfavorirebbe una corretta emissione. Grazie all’aiuto dell’eco e all’uso dello specchio è possibile immedesimarsi negli spettatori, uscendo da se stessi: per avere il controllo sulle immagini che trasmettiamo a chi ci guarda e ascolta dobbiamo abituarci ad ascoltarci e ad osservare attentamente il riflesso del nostro atteggiamento corporeo; le parole di Maffei accostano, dunque, voce e immagine, riuniscono, cioè, Eco all’amato Narciso (i due protagonisti delle Metamorfosi di Ovidio che incarnano altrettanti caratteri complementari fra loro) attraverso il canto. Abbiamo già detto che il cantante deve avere una realistica percezione di se stesso senza cedere alla vanità, come accadde, invece, a Narciso. Un giorno, mentre cacciava nei boschi, il bellissimo giovane si fermò ad una fonte per dissetarsi e si specchiò per la prima volta: si innamorò del proprio riflesso, di una chimera senza corpo, come riferisce Ovidio, che, divenendo l’oggetto d’amore di Narciso, si anima; il giovinetto disprezzò virtuose fanciulle, fra cui anche la ninfa Eco, per questo le divinità olimpiche vollero punirlo, facendolo penare e languire fino alla morte per colpa della sua stessa immagine. Narciso si dissocia da sé in un insano delirio: invaghitosi del giovanotto incontrato alla fonte, smette di bere e mangiare. Narciso non conosce il proprio corpo, non ne è padrone, e ne rimane vittima; Maffei incoraggia un uso coscienzioso dello specchio mentre ci si esercita, esso deve essere un valido aiuto per chi canta, in quanto mostra la forma fisica della propria interiorità. La voce dell’universo interiore si dispiegherà nel cantato attraverso un ponderato controllo del corpo, solo così l’immagine del soggetto potrà essere proiettata all’esterno: Eco, voce disincarnata, ama Narciso, che deve abbracciare la ninfa e dimenticare l’ossessivo amore per il proprio riflesso (l’uomo musicale, a differenza di Narciso, non è un trionfo della propria immagine, bensì un accordo fra se stessi e l’esteriorità). Per l’autore dei Discorsi filosofici l’arte canora è armoniosa cooperazione fra anima e corpo, come riconfermato dalle righe seguenti:
«La sesta è che distenda la lingua di modo che la punta arrivi e tocchi le radici de’ denti di sotto. La settima è che tenga la bocca aperta e giusta, non più di quello che si tiene quando si ragiona con gli amici. L’ottava, che spinga appoco appoco con la voce il fiato, e avverta molto che non eschi per il naso, ovvero per lo palato, che l’uno l’altro sarebbe error grandissimo.»
Le regole numero sei, sette e otto dimostrano il rigore con cui Maffei disciplina l’aspirante cantore e si ribadisce nuovamente l’importanza della corporeità. Sono enunciati precetti propedeutici per ottenere una bella emissione: l’aria deve uscire dalla bocca (non dal naso), che deve essere aperta il giusto, ergo né troppo né troppo poco, e la lingua deve orbitare nei pressi degli incisivi inferiori. Appoggiare la punta della lingua alle radici dei denti inferiori fa si che non venga ostruito il passaggio dell’aria.
«La nona, che voglia conversare con quelli che con molta leggiadria cantano di gorga, perch’il sentire lascia nella memoria una certa imagine e idea, la quale porge aiuto non picciolo.»
A questo punto, Maffei ci dice che non dobbiamo ascoltare solo noi stessi, ma anche chi canta correttamente (quindi “di gorga”, cioè producendo la voce attivando esclusivamente la cartilagine cimbalare) e ad essi ispirarci: é necessario aprirsi all’universo circostante, udire le altre voci e ad esse rispondere, come un eco eterno. L’autore, oltre a manifestare l’intenzione di porre il cantante in armonia con la natura, riprende il principio aristotelico di mimesi: sia lo stagirita sia il suo maestro, Platone, ritenevano che la vera arte risultasse dall’imitazione della realtà. Le copie del reale, però, non devono essere sterili riproduzioni, si deve riuscire a intelligere la mano dell’artista (in altre parole la sua soggettività). Il decalogo si chiude con un’ammonizione per coloro che non si dedicano allo studio con impegno e costanza: la pigrizia non paga, per ottenere dei risultati è necessario esercitarsi a lungo. Inoltre, l’autore ripete ancora una volta quanto sia importante munirsi di uno specchio e esercitarsi in un luogo echeggiante:
«La decima è che debba fare quest’esercizio spessissime fiate, senza far com’alcuni fanno, i quali, in una o due volte ch’il loro intento non accapano, subito lasciano e della Natura si dogliono che non abbia loro data l’attezza e dispositione che se ce richiede. Onde attribuendo a lei quello qu’alla pigrizia loro attribuir si deve, fanno (a mio giudizio) grand’errore. Si ch’io mi rendo certissimo ch’il discepolo ammonito da Eco nella voce e avvisato dallo specchio negli accenti e aiutato dal continuo esercitio e parimente dal sentire coloro i quali cantano leggiadramente, acquistarà dispositione tale che potrà facilmente, in ogni sorte di madrigali o mottetti, applicar’ i pasaggi.»
Infine, oltre a riassumere brevemente le suddette dieci regole, Maffei introduce alcuni esercizi su pentagramma: si tratta di esempi musicali sui quali l’allievo può basarsi per attuare le indicazioni fornite da Maffei stesso.
I passaggi predispongono la laringe al canto: la voce cantante (come del resto quella parlata) è plasmata nella laringe, che deve essere educata. Al fine di arrotondare la propria emissione cantata e renderla meno aspra all’ascolto è utile che la bocca assuma la posizione di pronuncia della vocale “O”; inoltre, il cantore deve curare con attenzione l’intonazione, accertandosi, quindi, di star eseguendo e riproponendo con precisione una data melodia, ed è a tal scopo che Maffei propone alcuni esercizi progressivi: è necessario esercitarsi con costanza su tali passaggi per abituare la laringe ad un automatismo nel canto. Maffei precisa che i suddetti esercizi non descrivono le modalità di distribuire i passaggi in un brano: servono semplicemente per “accordare” le corde vocali, allenarsi a emettere suoni intonati. Le regole specificatamente legate all’uso estetico dei passaggi sono espresse in seguito, vediamole nel dettaglio.