L’Ape musicale

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L’approccio didattico di Maffei

Secondo l’autore dei Discorsi filosofici, la natura abbisogna di nozioni che la regolino, e a ciò provvede l’arte. Il maestro è colui che plasma la materia vocale del proprio discepolo, appurando il verificarsi di determinate condizioni e seguendo precetti particolari. Maffei ritiene che non basti essere musici per educare una voce, è necessario essere anche artisti del sanare, quindi medici (per conoscere a fondo il proprio strumento), nonché filosofi (in quanto la sola anatomia non consente di comprendere e gestire le vocalità, che non sono esclusivamente connesse alla corporeità, ma anche allo spirito, all’interiorità del soggetto). L’illustre solofrano riunisce in se stesso tutte queste figure professionali, che gli conferiscono l’autorità per trasmettere dei precetti utili a chiunque desideri accostarsi all’arte canora: egli, nella Lettera sul canto,si presenta come un primo maestro, che successivamente lascia che sia l’allievo stesso ad autovalutarsi e prepararsi. Infatti, grazie alle regole formalizzate da Maffei chiunque può divenire maestro-artefice di se stesso ed essere autonomo.

Tanto nell’antica Grecia quanto nel Rinascimento, la musica e il canto monodico hanno una forte valenza educativa: in epoca classica erano considerati fattori estetico-morali, e, a partire dal Medioevo, le scuole e le realtà ecclesiastiche ne incoraggiano lo studio a complemento dell’educazione cavalleresca. Maffei è certamente influenzato da questo quadro storico: il medico, musico e filosofo di Solofra rientra perfettamente nella tradizione dell’insegnamento musicale cortese, anche se sviluppa una personale tecnica canora. Si autodefinisce addirittura innovatore, ma lo è davvero?

Nella prefazione a Le nuove musiche, una raccolta di brani per voce solista e basso continuo, il musicista e compositore Giulio Caccini (Roma, 8 ottobre 1551 – Firenze, 10 dicembre 1618) esprime il suo punto di vista estetico a proposito dell’interpretazione canora: le emozioni non sono suscitate tanto dalla voce in sé quanto dal testo che pronuncia e i passaggi virtuosistici rischiano di distrarre l’ascoltatore dal significato delle parole, pertanto è bene evitare di abusarne. Lodovico Zacconi (Trebbiantico, 11 giugno 1555 – Pesaro, 23 marzo 1627), compositore contemporaneo di Caccini, concorda con quest’ultimo a proposito dei virtuosismi: è vero che i passaggi dimostrano l’abilità del cantante, ma un loro uso eccessivo può tediare il pubblico; tuttavia, il passaggio, derivante da diminuzioni ritmiche della linea vocale originale, costituisce senza dubbio uno dei principali elementi per lo studio della tecnica vocale tra i secoli XVI e XIX. Alla luce di ciò, risulta evidente che la peculiarità di Maffei non risiede nell’impiegare i passaggi, bensì nella concezione “estetica” che egli ha dei medesimi e del canto. Siamo di fronte ad una filosofia del canto, non mera didattica.

Una voce flessibile, che scaturisce da un apparato ad essa congeniale, può eseguire passaggi. I virtuosismi evidenziano i tratti individuali della vocalità stessa, consentendo, dunque, al soggetto di proiettarsi all’esterno di se stesso; educarsi al canto non equivale solamente ad imparare a dilettare gli altri, è un cammino che porta l’uomo musicale a emergere: affinché il nostro modo di cantare risulti gradevole dobbiamo accordarci, come ogni strumento, ma anche in qualità di individui che provano e trasmettono emozioni.


 

 

 
 
 

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