L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Das Königreich Rücken

Note di regia
di Luigi De Angelis

La tradizione è custodia del fuoco e non culto delle ceneri.
Gustav Mahler

Il Flauto Magico contiene una morale che mi piace:
cioè che l’amore è la cosa più importante
tra gli esseri umani, e la più importante del mondo.
Ingmar Bergman

Mentre viaggiavamo da un posto all’altro, mio fratello
si era inventato un regno proprio, che chiamava
il Reame del Didietro [Das Königreich Rücken].
Questo regno e i suoi abitanti erano forniti di tutto
ciò che ne poteva fare bambini buoni e felici.
Egli era il Re di questa terra, e questa idea pian piano
si radicò così a fondo in lui e lui la spinse tanto
lontano che il nostro servitore, che sapeva disegnare
un pochino, dovette farne una mappa, mentre lui
gli dettava i nomi delle città, delle piazze di mercato e dei paesi.
Maria Anna Mozart


Immaginiamo due bambini, Fanny e Alexander, in un Eden imprecisato, in un tempo indefinito.
Custodiscono un piccolo teatrino. Sono i guardiani dello sguardo. Vivono in un Reame parallelo di cui sono i regnanti. Sono due, forse fratello e sorella? Non ci è dato saperlo. Ci indicano una possibilità, una via. Il loro teatrino giocattolo è una riproduzione fedele di un teatrino dell’opera.
Hanno usato stoffe monocrome per costruire una scenografia stilizzata e ritagliare figure, inventarsi una favola. Immaginiamo di essere spettatori, e di essere contenuti nella sala di quel teatrino, abbonati o avventori che vogliono assistere all’opera. Facciamo parte dello stesso mondo sul quale si affacciano i due bambini, dal loro Reame del didietro. Siamo contenuti nel loro sguardo. Essi ci
appaiono giganti. Ci hanno fatto avere occhiali appositi, grazie ai quali possiamo quasi toccarli e sentirli ancora più vicini, come se volessero coinvolgere ognuno di noi, uno alla volta, come a indicarci che la vicenda cui stiamo assistendo ci riguardasse nel profondo. Dall’esterno aprono e chiudono siparietti, quinte, diaframmi, mutano in continuazione lo spazio scenico, seguendo l’andamento della musica, immettendo al suo interno oggetti fantastici, illusori. Come in ogni Eden che si rispetti c’è un serpente-drago che compare all’inizio. Per i nostri due bambini, le nostre due divinità demiurghe che determinano tutto l’andamento dell’opera, è un giocattolo con cui giocare molto seriamente. È una minaccia, ma senza di esso nulla potrebbe accadere nella vicenda che stanno costruendo. È forse la causa scatenante di tutto. Il serpente-drago ci indica la via dell’ambiguità, la curva sinusoidale, l’impossibilità di stare su una linea retta, la dualità, la via della cedevolezza. Ci indica un’opportunità, il dubbio insito in ogni domanda. Non c’è atto di creazione vitale senza almeno una domanda iniziale. Il Flauto Magico è l’opera dell’ambiguità, dove continuamente ci sono almeno due porte da percorrere, dove la luce è in parte contenuta nella notte e viceversa, dove nulla può essere mai dispiegato, chiarificato fino in fondo, ma tutto appartiene al regno sinuoso, fluido della musica. Alla magia della musica. Non è un caso che il doppio serpente avvolga il bastone di Hermes-Mercurio. E il mercurio è metallo liquido, che cede alle forme in cui viene raccolto. Hermes è la divinità degli incroci, dell’intermediarietà dei piani, delle variabili, che frequenta l’alto e il basso, spesso portando messaggi da una parte e dall’altra, tra la veglia e il sonno, mettendo in connessione mondi apparentemente lontani. Nel Flauto Magico ci sono tantissime figure alchemiche, interconnesse, coppie speculari, simmetriche, complementari: Sarastro e la Regina della Notte, Tamino e Papageno, Tamino e Pamina, Papageno e Papagena, Monostato e Papageno, Pamina e Papageno. Nessuna di queste figure appartiene mai a un aspetto solo del mondo, ma c’è in lei insita il dubbio dell’appartenenza al suo opposto o al suo riflesso simmetrico. Sarastro sarebbe figura di luce, solare, ma all’inizio della vicenda del Flauto Magico ci viene presentato come malvagio; allo stesso modo la Regina della Notte, inizialmente ci viene insinuato il dubbio della sua bontà di madre sofferente. Monostato è nero, attirato dal candore di Pamina... Papageno è speculare a Pamina perché il suo amore è cieco, puro, si innamorano entrambi senza aver visto l’oggetto del loro desiderio... Papageno e Pamino ci mostrano due vie parallele per intraprendere un viaggio iniziatico da due angolature differenti... Il Flauto Magico sembra dirci che non esiste atto di crescita interiore senza un processo alchemico, che riguarda prima di tutto se stessi e la relazione con l’altro e che non si arriva alla sublimazione dell’albedo senza aver attraversato la nigredo, non si può conoscere l’amore senza la potenza fluida della musica. Il Flauto Magico visto da due bambini ci offre un’opportunità: quella di percorrere fino in fondo le traiettorie dello sguardo mercuriale, infantile. E che il diventare adulti deve essere determinato da un corretto equilibrio tra le forze del puer e quelle del senex, senza dimenticare mai le sorgenti da cui scaturiscono e che le determinano. Nel 1974 Ingmar Bergman ha prodotto un Flauto Magico per la televisione svedese, ambientato in un magnifico teatrino barocco. Non è un caso che il Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna Nicola Sani abbia chiesto alla compagnia Fanny & Alexander come prima opera da mettere in scena proprio il Flauto Magico. Per questo abbiamo voluto onorare la discendenza del nostro nome dal maestro svedese, omaggiandolo con un tributo. Le macchine fantastiche del teatro di Drottningholm, la possibilità di mutare le scene in pochissimo tempo da un’ambientazione all’altra con un sistema di moltipliche sono all’origine del nostro progetto scenografico, a partire da una sintesi delle forme e dei colori delle varie ambientazioni (il verde per il bosco, il blu/nero per la notte, il rosso per il palazzo di Sarastro), con l’attivazione di un meccanismo mutevole e fantastico. Molte delle dinamiche sceniche si ispirano alla regia di Ingmar Bergman, con una citazione spesso fedele delle gestualità e coreografie usate nel suo film. La sua insistenza sul dilagare della vicenda anche fuori dalle quinte, in una dimensione meta teatrale sono alla base della trasposizione dell’ambientazione del Palazzo di Sarastro nel teatro stesso in cui l’opera viene rappresentata, per cui Sarastro è nella nostra visione l’Artista creatore, il Sovrintendente del teatro e i suoi sacerdoti il personale del teatro stesso, vestito come le sue maschere, che per l’occasione indossano gli stessi abiti del coro. I costumi sono improntati a un criterio essenziale, infantile e fantastico: è come fossero stati immaginati e disegnati da quei due bambini iniziali, il cui sguardo vigile accompagna e forse contiene tutta la vicenda. Il loro carattere ha un che di elementare, stilizzato e infantile: il principe ha naturalmente un mantello azzurro; la principessa ha vestiti da fanciulla rosa e celesti, in lei s’attenua il blu della notte e il rosso dell’ardente Palazzo; Monostato è un brigante col mantellaccio; Papageno e Papagena sono verdi come il loro bosco, con un solo simbolico attributo di piume e foglie; il manto di Sarastro è vermiglio. Il colore degli abiti, in gran parte pitturati e decorati, allude a quello del disegno ideale di un bambino che dipinga le figure fiabesche del suo album infantile, figurine stilizzate e profonde avviluppate da un senso di puro mistero. Ed è proprio in quel luogo remoto, segreto e invisibile che vien custodito il fantasma d’ogni tema, ogni personaggio, ogni visione, forse ogni nota di questo Flauto: è in quel luogo forse che si apre la nostra video-ouverture, luogo remoto e invisibile in cui ha radice un doppio sguardo, doppio volto infantile, doppio del nostro stesso sguardo, d’artisti di spettatori. La splendida ouverture del film di Bergman, al centro della quale sono posti i volti degli spettatori in ascolto rapito, viene animata attraverso l’utilizzo della tecnica cinematografica dell’anaglifo (3D), una tecnica che mette in risalto il ruolo di testimone attivo di ogni singolo spettatore, aprendo l’esperienza verso un parto di fantasia, l’autentica possibilità di un atto creativo immaginativo.


 

 

 
 
 

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