[note a cura di Giada Maria Zanzi]
Il canto dei Servi di Maria
L’Ordine mendicante dei Servi di Maria fu fondato a Firenze nel XIII secolo. La Basilica di Santa Maria dei Servi di Bologna fu edificata nel XIV secolo ed è sempre stata al centro della tradizione musicale del capoluogo emiliano grazie alla sua Cappella Musicale, che designa una struttura formalizzata, composta da cantori e strumentisti, che consente di fare musica, nata per animare le liturgie.
Situata accanto alla sagrestia, la Cappella Musicale è tutt’oggi promotrice di eventi culturali di grande spessore. Inizialmente il canto che si levava dalla Cappella era votato a accompagnare la messa, pertanto si eseguivano prevalentemente canti gregoriani dell’Ordinario (l’insieme degli elementi fissi di un rito romano cattolico,il cui testo rimane sempre immutato, indipendentemente dalla ricorrenza), un Kyrie, un Gloria, un Sanctus ed un Agnus Dei; i canti del Proprio (cioè la parte di una messa il cui testo varia in base alle differenti occasioni liturgiche), erano invece affidati ai frati del Convento annesso alla Basilica, non ai cantori della Cappella.
Nella Chiesa seicentesca erano ospitati quattro organi; oggi, nel braccio sinistro del transetto, vi è il grandioso organo meccanico costruito nel 1968 dalla ditta Tamburini di Crema con la superiore consulenza di Luigi Ferdinando Tagliavini. Inaugurato domenica 1 aprile 1968, il celebre organo consta di tre tastiere di 61 note ciascuna più una pedaliera concavo-radiale di 32 note per un totale di circa 5000 canne suddivise in 60 registri.
Nel 1933, in occasione della celebrazione del settimo centenario dell’Ordine dei Serviti, il Coro della Cappella Musicale viene ad abbracciare le quattro vaci classiche della polifonia, cioè quelle di soprani, contralti, tenori e bassi, assumendo l’odierno assetto.
Nel secondo dopoguerra, la Cappella è guidata prima da Padre Giovanni Catena per poi essere affidata a Pellegrino Cesio Santucci (Montecastello di Mercato Saraceno, 9 gennaio 1921 – Bologna, 24 luglio 2010), che sostituì le voci dei fanciulli con quelle muliebri, integrando inoltre il repertorio del Coro della Cappella Musicale con opere di autori rinascimentali, barocchi e classici, fra cui anche Händel, inaugurando la tradizione del Messiah natalizio ai Servi.
Händel: CENNI BIOGRAFICI
Quanto ci è noto della biografia diHändel lo si deve ai Memoris (1760) di John Mainwaring: le sue opere sono considerate tra le più alte espressioni musicali del Seicento e la sua fama è legata soprattutto alle composizioni sacre, fra cui troneggia il Messiah (eseguito per la prima volta il 13 aprile del 1742 a Dublino).
Il giovane Händel fu spinto dal proprio padre a intraprendere studi giuridici, tuttavia la passione del talentuoso ragazzo per l’arte era incontrastabile e si dedicò anche allo studio della musica sotto la guida dell’organista della Liebfrauenkirche della sua città natale, Friedrich Zachow.
A 17 anni, Händel divenne organista nella Cattedrale di Halle per poi trasferirsi ad Amburgo, ove rimase fino al 1706, dedicandosi al teatro. Nell’estate dello stesso anno fu invitato da Ferdinando de’ Medici a trascorrere un periodo di lavoro in Italia, e fu proprio in Italia, precisamente a Roma, che avvenne la rappresentazione del suo primo oratorio, La Resurrezione.
Il virtuoso barocchista di dedicò per ben 36 anni all’opera italiana: fece proprie le forme che caratterizzavano tale genere, dando grande risalto al canto solistico, componendo maestosi cori e arie col da capo e inserendo nelle sue trame svariati cambi di scena. Nel 1719 assunse la direzione della Royal Academy of Music, il cui scopo era diffondere il modello operistico italiano a Londra; le opere che videro la luce negli anni dell’Academy sono caratterizzate da un tono serioso e i brani sono votati allo svolgimento drammaturgico.
Solo nella terza decade del XVIII secolo Händel ebbe una maggiore libertà di scrivere musica su libretti a sfondo comico, magico e romanzesco, di cui un esempio emblematico è l’Alcina (rappresentata per la prima volta a Londra nel 1735), su libretto anonimo, da L’isola di Alcina musicata dal fratello del Farinelli, il famoso cantante castrato che si spense nel capoluogo felsineo nel 1782, Riccardo Broschi. Il compositore ha finalmente l’occasione di manifestare la sua vena briosa e toccare tematiche che, anche se non ebbe contatti diretti con Johann Sebastian Bach, lo pongono storicamente in una sorta di dualismo antitetico con l’artista di Eisenach. Da un lato, Bach è l’archetipo della vera seriosità, mentre Händel si configura come l’incarnazione della gioia, nonostante, come già ricordato, non abbia scritto esclusivamente musica evocatrice di giocondità.
Händel lavorò a circa quarantadue opere e di quasi tutte si conservano ancora gli autografi, senza contare il patrimonio costituito dalle diverse partiture da lui stesso utilizzate quando dirigeva le proprie composizioni. Si è già enunciato che l’intensità delle sue composizioni sacre le ha rese eterne, ed il Messiah è indubbiamente una delle più celebri.
IL MESSIAH
L’oratorio è una forma musicale sacra che può e deve essere considerata una delle fasi embrionali del teatro d’opera: certo, non dobbiamo aspettarci messe in scena simili a quelle che attualmente vivacizzano i più rinomati palchi, ma abbiamo comunque veri e propri personaggi che danno voce a vizi, virtù, Angeli, Santi, e così via, riproponendo talvolta episodi religiosi che forniscono la trama di un reale svolgimento drammaturgico.
Secondo il manoscritto del Messiah di Händel, l’organico previsto comprende cantanti solisti, coro, violino primo e secondo, viola, violoncello, basso continuo, tromba prima e seconda e timpano. Il testo cantato è costituito daversi biblici estrapolati dall’Antico Testamento e selezionati dal nobile inglese Charles Jennens, amico di Händel nonché librettista di buona parte dei suoi più grandi oratori.
Il Messiah consta di tre parti ed è costituito da sinfonie, recitativi, arie soliste, un duetto per soprano e contralto (He shall feed his flock), cori. Tale oratorio non celebra solo la nascita del Messia, ma racconta anche delle sue morte e resurrezione, affrontando le tematiche teologiche di redenzione e risurrezione dello spirito.
Festeggiare il Natale intonando e ascoltando quest’opera senza tempo proietta nel futuro e il celeberrimo Halleluja diviene un vero canto di speranza: l’attesa della Pasqua può essere interpretato anche come la metafora di un momento di intima riflessione; le difficoltà affrontate con coraggio da ognuno di noi ogni giorno rendono la vita degna di essere vissuta, cercando di darci sempre nuove mete, nuovi obiettivi, e, a suon di musica, il percorso diviene certamente molto più piacevole da percorrere.
Bibliografia
Gelli, Piero (a cura di), Dizionario dell’Opera, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
Mioli, Piero, Storia. La Cappella Musicale, www.musicaiservi.it/la_cappella_musicale_4.html
Surian, Elvidio, Manuale di storia della musica, 4 voll., Milano, Rugginenti, 1991.