L’Ape musicale

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Aureliano in Palmira

Aureliano in Palmira, dramma serio per musica in due atti su libretto di G. Felice Romani, fu rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1813. Interpreti della prima rappresentazione: Luigi Mari (Aureliano), Lorenza Correa (Zenobia), Giovanni Battista Velluti (Arsace), Luigia Sorrentini (Publia), Gaetano Pozzi (Oraspe), Pietro Vasoli (Licinio), Vincenzo Botticelli (Gran sacerdote). L’autografo dell’opera è perduto. Soggetto L’azione trova origine negli avvenimenti del 272 d.C., durante la riconquista da parte dell’imperatore Aureliano dei vasti territori occupati in Oriente da Zenobia, vedova del re di Palmira e da lei governati in nome del figlio. Nel corso della campagna militare i Romani sconfissero più volte i Palmireni e i loro alleati fino ad assediare Palmira e costringere Zenobia alla resa. La regina fu catturata e portata a Roma, nei cui dintorni (Tivoli) condusse poi una prigionia lussuosa. Atto I Nel tempio di Iside, i sacerdoti palmireni cercano di cattivarsi il favore della dea in vista dello scontro coi Romani, ma gli auspici sono funesti. L’ingresso di Arsace, principe di Persia, e di Zenobia, sua amata, riscuote gli animi giacché gli eserciti di entrambi i popoli combatteranno congiuntamente. Giunge nuova che l’esercito di Roma ha passato l’Eufrate; tutti si apprestano alla battaglia. Il Gran Sacerdote d’Iside, rimasto solo, commenta che anche qualora l’esito ne sia nefasto, Arsace si sarà guadagnato gloria imperitura. Dopo una sanguinosa battaglia, i Persiani vengono sgominati e Arsace catturato. Aureliano tenta di convincerlo ad abbandonare la causa di Zenobia, oramai assediata in Palmira, ma inutilmente. La stessa Zenobia si reca a trovare l’imperatore nel suo accampamento per riscattare Arsace. Aureliano si invaghisce della regina, rifiuta i doni con cui ella vorrebbe pagare il riscatto e le chiede di arrendersi; ma Zenobia, nonostante i prigionieri persiani la implorino di cedere, è intenzionata a combattere. Il principe Arsace viene visitato in carcere da Zenobia. Aureliano, sopraggiunto, offre ad Arsace libertà se rinuncerà all’amore della regina. Arsace rifiuta, Zenobia dà appuntamento ad Aureliano sul campo di battaglia. Atto II Zenobia è stata sconfitta e Palmira espugnata. In un rifugio, dove si sono raccolti i grandi del regno di Palmira, fa il suo ingresso la regina, seguita a poca distanza da Aureliano. Ancora una volta egli pone a Zenobia un’alternativa: abbandoni Arsace oppure segua il trionfo romano in Campidoglio. Mentre Aureliano ascolta il rifiuto di Zenobia arriva la notizia che il generale palmireno Oraspe ha liberato Arsace, il quale è in fuga. In un’amena collina alle sponde dell’Eufrate, pastorelle e pastori escono festosi dalle capanne e commentano quanto la loro condizione li tenga al riparo dagli avvenimenti bellici. In questo luogo si apparta Arsace, meditando sulla propria sorte. Viene riconosciuto dai pastori, i quali vorrebbero che il principe rimanesse con loro nella quiete campestre; ma Arsace ribatte che il suo posto è accanto a Zenobia. E quando giunge notizia che Zenobia è in mano di Aureliano, egli riprende le armi per liberarla. Frattanto, in Palmira, Aureliano (sebbene Publia, figlia dell’ex imperatore Valeriano, innamorata di Arsace, gli preannunci che sarà fatica inutile) offre di nuovo pace a Zenobia, e un trono per regnare assieme a lui sull’orbe intero. Licinio, tribuno militare romano, lo avverte però che Arsace, raccolti i vinti che si erano sbandati, sta entrando in Palmira assecondato dal popolo. È dunque necessaria una nuova battaglia, e Aureliano parte. Zenobia apprende poco dopo la disfatta di Arsace e aiutata da Oraspe fugge. In un luogo remoto vicino alla reggia, di notte. Arsace, in preda a pensieri tetri, riesce a ricongiungersi con Zenobia, con la quale intreccia un ultimo dialogo amoroso. Sopraggiungendo Aureliano, Arsace prima pensa di uccidere Zenobia, poi di suicidarsi; ma non vi riesce per l’arrivo dei Romani. Aureliano, pur furente di fronte all’amore indissolubile di Arsace e Zenobia, non può fare a meno di ammirarne la costanza. Publia, rinunciando al suo amore, impetra da Aureliano la salvezza di Arsace. Clemenza chiedono anche i grandi del regno di Palmira. Aureliano, ponderati gli appelli, si decide a indulgere. Se Arsace e Zenobia giureranno a Roma eterna fedeltà, potranno tornare a regnare, liberi. I due amanti giurano e l’opera termina nel tripudio generale.


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