Raccontiamo brevemente la sinossi (invero piuttosto esile), fornendo qualche riferimento musicale utile a connotare la cifra stilistica della partitura; da segnalare come l’allestimento palermitano si conceda molte libertà (in genere migliorative) nella traduzione delle didascalie del libretto. Da un uovo (che nell’allestimento palermitano diventa un gran cono di stoffa bianca) esce la maschera di Pulcinella, al secolo Gennaro Esposito, guida turistica napoletana che, accogliendo il pubblico, si presenta con un monologo parlato; l’orchestra intona un breve Vorspiel atonale e ritroviamo il primo di tre sonetti contemplativi affidati al coro sottoforma di madrigale a cappella, le cui linee di canto procedono prevalentemente per moti paralleli ad intervalli dissonanti (di seconda, in genere). Dopo ci ritroviamo nella stazione di Napoli (tutti i luoghi nell’allestimento palermitano diventano un “non-spazio” metateatrale, una matrioska di sipari), dove giunge un gruppo di turisti tedeschi, tra i quali i giovani Gisela Geldmaier, studentessa di storia dell’arte, e Hans Schluckebier, studente di vulcanologia e suo boyfriend; anche nel successivo incontro con la guida turistica partenopea il discorso musicale non si discosta dallo sprechgesang, sebbene al suo ingresso compaiano in orchestra delle cellule ripetitive (mai associate agli altri personaggi) che possono far pensare a Janáček.
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Un ritornello che certamente riporta alla mente un certo fauvismo dal Sacre di Stravinskij
introduce uno spettacolo al Teatro San Ferdinando (qui un teatrino semovente da piazza) nel quale Gennaro è uno degli attori; segue un terzetto diafano nel quale ognuno dei personaggi principali - a parte - manifesta il proprio rapimento/disagio, incastonato tra un’iniziale citazione della fanfara dall’Orfeo monteverdiano
e un breve ma intenso postludio
Ma non fanno in tempo queste undici battute a ripristinare un orizzonte di sensatezza, che riprende il prosodico procedere frammentario col quale Gisela domanda a Gennaro un appuntamento nel bosco di Capodimonte e Hanspeter, subodorando il tradimento, con un parlato condito da sole percussioni, assolda gli amici Dick, Ed e Dan.
Nel bosco di Capodimonte un malizioso assolo di corno inglese, strumento tipico degli incontri d’amore, dal vertiginoso secondo atto del Tristano al pacchiano duetto del IV atto degli Ugonotti
incornicia un’aria (nominale) di Gisela e il seguente dialogo con Gennaro, chiuso con una tammuriata di percussioni
Il secondo sonetto a cappella conduce la scena nella trattoria “Da Scarlatti” (resa nell’allestimento con un andirivieni di pietanze di cartapesta) aperta da un’arietta di Hanspeter che potrebbe esser presa a prestito dal Pulcinella di Stravinskij
e conclusa dalla fuga di Gisela e Gennaro su di un ostinato melodico che, senza nulla voler togliere al compositore politicamente impegnato, ricorda molte cose del meno impegnato Nino Rota