La seconda parte dell’opera presenta Gisela e Gennaro appena arrivati alla Stazione di Oberhausen; ma non c’è neanche il tempo per lo sviluppo della situazione, che interviene il terzo ed ultimo tedioso sonetto a cappella. Gennaro canta una canzone napoletana (in realtà una composizione da camera dello stesso Henze datata 1956) proposta in duplice versione, una più acuta (che tocca il si bemolle) ed una trasportata una terza sotto (a Palermo si esegue la prima opzione)
prima che i due si addormentino. Qui l’opera si trasforma in pantomima, giacché Gisela fa tre sogni in sequenza, caratterizzati da un progressivo accrescimento di tensione; nel primo i due sono felici ed Henze ricorre ad una trascrizione, optando non già per Pergolesi come forse l’omaggio all’Italia avrebbe potuto suggerire, ma per l’Orgelsonate BWV 525 di Bach, orchestrata con celesta e vibrafono. Le suggestioni timbriche di questi strumenti peculiari, con l’aggiunta dell’arpa, ritornano nel secondo sogno, trascrizione dell’Orgelsonate BWV 529; infine il terzo momento onirico, con le connotazioni dell’incubo, presenta la morte personificata che si aggira tra personaggi delle fiabe dei fratelli Grimm su musica originale di Henze articolata quasi esclusivamente su ribattuti e ostinati
Al termine dell’incubo gli amici assoldati da Hanspeter acciuffano Gennaro e, sulle sciabolate ritmiche di un “Ritornello 2” (così segnato in partitura, ma identico a Ritornello 1, cfr. esempio precedente), con un ritorno a Napoli drammaturgicamente non molto comprensibile (incongruenza attenuata dall’allestimento), i due sfidanti si battono e l’italiano ha la meglio sul tedesco, costretto ad allontanarsi esibendo disinteresse per Gisela, alla maniera un po’ del figlio di papà perdente. Un brevissimo corale, assieme all’improvvisa eruzione del Vesuvio, suggella la libertà e la felicità conquistata.