L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Luci e nubi sul tramonto 

 di Pietro Gandetto

Ritorna alla Scala il Falstaff di Verdi nell’allestimento diretto da Daniele Gatti con la regia di Robert Carsen. Protagonista un brillante Nicola Alaimo. Salvi alcuni felici spunti, allestimento che lascia perplessi sull’effettiva resa comica dell’opera verdiana.

Milano, 21 ottobre 2015 – Nell’autunnale chiusura milanese di EXPO, il Teatro alla Scala accompagna l’epilogo dell’esposizione universale con Falstaff, simbolo dell’epilogo compositivo verdiano. Una ripresa dell’allestimento ideato nel 2012 da Daniele Gatti e Robert Carsen, coprodotto da ROH, Canadian Opera Company, Metropolitan, Nederlandse Opera e Scala e già portato a Milano due anni fa con la bacchetta di Daniel Harding.

Com’è noto, la trasposizione scenica voluta da Carsen - che sposta l’azione dall’Inghilterra del XV secolo a un hotel degli anni ’50 - è tutt’altro che casuale, ma invero fondata su un parallelismo sociale calzante. Come all’epoca delle Allegre Comari di Windsor di Shakespeare - cui si rifà il libretto di Boito - anche nella Londra degli anni ‘50 si assiste a una rimodulazione della struttura sociale esistente, in cui le eleganti famiglie londinesi sono soppiantate dalla nuova arrichita middle class, che trasforma le antiche dimore nobiliari in improvvisati alberghi.

Parlando del suo Falstaff, Carsen usa spesso la parola “celebration”, per qualificare l’opera come una esaltazione dell’umanità e della joie de vivre. Se il teatro è scambio e comunicazione tra pubblico e palcoscenico, non c’è opera che meglio rappresenti questo concetto, dice Carsen. Si fa inoltre spesso riferimento alle infiltrazioni malinconiche e nostalgiche che questo titolo pur velatamente porta in seno, quasi a contrapporre il tramonto di una classe sociale e di un’epoca (fuor di metafora, il tramonto dell’esistenza stessa di Verdi) con la nascita e l’ascesa di un nuovo modo di vivere e di essere ricchi che, traslato alla fattispecie, rimanda ad un nuovo modo di fare musica (al riguardo, nella partitura non mancano i riferimenti ironici rivolti allo stato corrente dell’opera italiana, che Verdi riteneva essere invasa da contaminazioni straniere, come lo stile sinfonico di Wagner e dei suoi seguaci).

Tuttavia, se queste erano le premesse, la recita di ier sera sembra aver assolto solo il parte a questa mission, sia per un certo appiattimento degli spunti comici del divertissement verdiano, sia per quanto riguarda i passi più drammatici dell’opera. Tutto ha funzionato, sia chiaro, ma con un carattere e un’incisività scenico-teatrale un po’ sotto le aspettative. Regia e scene (di Steinberg) piacevoli e di pregio, ma che poco sapevano di commedia musicale. Carsen punta molto sugli aspetti mangerecci e sulle allusioni erotico-sensuali dei personaggi, ma, salvo alcuni momenti ben riusciti, come la scena della cucina di Alice o quella del banchetto finale, l’effetto non è invero stato così coinvolgente.

Sotto il profilo vocale, parole di elogio vanno riservate al Falstaff di Nicola Alaimo, veterano del ruolo, che ha dato vita a un personaggio credibile e divertente, dotato di voce morbida, pulita e duttile, di un fraseggio chiaro e di una dizione praticamente perfetta. L’Alice di Eva Mei è scenicamente convincente e musicalmente puntuale per proiezione e messa a fuoco. La voce, però, è più belcantistica che verdiana. E ciò si è avvertito soprattutto nella mancanza della dovuta profondità, specialmente ove rapportata alla smagliante Nannetta di Irina Lungu, chiamata, all’ultimo, a sostituire l’indisposta Eva Liebau. Lungu è parsa a suo agio sia vocalmente che scenicamente (nonostante, si crede, le pochissime prove), e ha declinato una Nannetta fresca e innamorata. Marie Nicole Lemieux è ottima attrice, crediamo forse la migliore del cast femminile sotto il profilo della resa scenica; voce adeguata al ruolo e di bel colore, anche se poco presente nel registro grave. Meno smagliante la Meg di Laura Polverelli, buona invero nella caratterizzazione attoriale del personaggio.

Del Ford di Massimo Cavalletti vogliamo segnalare l’iniziale scarsa efficacia, che ha però lasciato spazio a un personaggio via via più credibile nel prosieguo della recita. La voce è parsa potente e malleabile, ben capace di esprimere i sentimenti del marito geloso. Puntuali e divertenti il dott. Cajus di Carlo Bosi, il Pistola di Giovanni Battista Parodi e il Bardolfo di Patrizio Saudelli. Meno convincente Francesco Demuro nel ruolo di Fenton.

La direzione di Daniele è Gatti è parsa sicura ed energica. I numerosi concertati dell’opera sono stati guidati con il dovuto piglio e la corretta precisione ritmica e stilistica. In generale, una direzione ben fusa con la regia e idonea a veicolare con garbo le contrastanti sonorità verdiane, esprimendo ora la giusta verve ora i colori più drammaturgici della partitura verdiana. Buona la prova del coro.

foto Brescia Armisano


 

 

 
 
 

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