La massima espressione neoclassica
di Michele Olivieri
Con una serata inaugurale ad inviti alla Scala è partita la sessantesima edizione del Salone del Mobile di Milano. Per gli ospiti presenti in teatro la Filarmonica della Scala diretta da Frédéric Chaslin ha eseguito la Sinfonia n. 38 in Re maggiore di Mozart e Apollon musagète di Stravinskij sulle cui note hanno danzato l’étoile Roberto Bolle nel ruolo di Apollo e le prime ballerine Nicoletta Manni, Martina Arduino e Virna Toppi in quello delle tre muse. Lo spettacolo si è potuto seguire in forma gratuita online sui canali e dal sito della Scala e del Salone.
MILANO – Ad apertura di sipario sul podio, per i saluti di rito, Maria Porro, la prima donna nominata presidente del Salone del Mobile, ha ricordato con emozione i momenti di chiusura a causa del lockdown, sia alla Scala sia al Salone, poi accomunati come veicolo di ripresa dell’eccellenza e del Made in Italy nel mondo. Ha altresì ricordato i suoi trascorsi teatrali in giovanissima età e come portafortuna ha mostrato una brocchetta presa ai suoi tempi dalle tavole di un palcoscenico. Come ha spiegato, la brocchetta è un chiodo usato per il fissaggio delle stoffe al legno, utilizzato ben appunto in ambito teatrale, adatto a bloccare le tele sui telai scenografici o sui palcoscenici in maniera stabile per poter essere tese e decorate. Ha chiuso con un doveroso omaggio, seguito da un minuto di silenzio, per Gastone Faraoni, deceduto il giorno prima dell’inaugurazione all’interno della Fiera di Rho, storica figura specializzata nella progettazione e realizzazione di stand. A seguire si è accomodata in palco la Filarmonica scaligera con il maestro Frédéric Chaslin che ha diretto la Sinfonia n. 38 in Re maggiore K 504 Praga di W.A. Mozart (sorvoliamo sugli applausi tra un movimento e l’altro) e poi Apollon musagète di Stravinskij, sulle cui note hanno danzato con trasporto e molteplici applausi Roberto Bolle nel ruolo di Apollo e Nicoletta Manni, Martina Arduino e Virginia Toppi in quello delle tre muse (nella ripresa coreografica a cura di Laura Contardi con la supervisione di Patricia Neary).
Un legame, quello tra la Scala e il Salone, nato dalla volontà di coniugare valori comuni con il duplice obiettivo di promuovere e valorizzare il talento della Filarmonica e, al contempo, offrire al mondo del design l’occasione di vivere un’esperienza unica. Nello specifico parliamo del balletto, che rappresenta l’emblema poetico dell’arte coreutica, incarnato dalle tre muse e da Apollo - il dio del sole, dell’intelletto, dell’armonia e della profezia - che su tutte sovrintende. Apollo la divinità per antonomasia, dio della bellezza e delle cose attraenti, portava anche il nome di Febo e cioè di colui che illumina, come lo è sempre stato anche Roberto Bolle in questo ruolo che lo aveva già visto in scena in altre occasioni alla Scala. Lo ricordiamo inoltre nel 2018 all’Auditorium Rai Arturo Toscanini di Torino in cui per la prima volta un concerto sinfonico dell’Orchestra Rai diventava anche uno spettacolo di danza. La scultorea e apollinea fisicità di Bolle ben si presta a interpretare il protagonista maschile del balletto. Certamente Apollo fu anche un dio bellicoso, non solo di rose fu disseminato il suo cammino, ma è curioso ricordare che tra gli animali a lui sacri spiccava il cigno, che in qualche modo ci ricollega all’arte della danza.
Quando si pensa a questo balletto è naturale connetterlo a Balanchine, ma ancor prima di lui - il 27 aprile 1928 a Washington - il coreografo Adolph Bolm montò la prima mondiale. Successivamente venne ripreso da Balanchine per i Ballets Russes di Diaghilev nella versione definitiva che tutti ben conosciamo, in scena in prima europea il 12 giugno 1928, con eccezionalmente lo stesso Stravinskij alla direzione d’orchestra, presso il Théâtre Sarah Bernhardt. Leggendari gli interpreti: Serge Lifar (Apollo), Alice Nikitina (sostituita nelle recite successive da Alexandra Danilova), Lubov Pavlova Tchernicheva, Felia Doubrovska. Come riportato dallo stesso Stravinskij nelle sue memorie Chroniques de ma vie, la Library of Congress di Washington gli commissionò un balletto per il Festival di Musica Contemporanea finanziato dalla Fondazione della mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge. Al musicista si richiedeva una composizione della durata di circa mezz’ora e per un ristretto numero di esecutori poiché il locale destinato alla rappresentazione era di piccole dimensioni; la scelta del soggetto era lasciata a Stravinskij. Il lavoro fu composto a Nizza fra il mese di luglio del 1927 e il 20 gennaio 1928. La rappresentazione di Adolph Bolm con le scene di Nicholas Remistoff vedeva in scena lo stesso Adolph Bolm, con Ruth Page, Elise Reiman, Berenice Holmes. Ma di questa coreografia a livello storico e di notazione non c’è traccia, nemmeno Stravinskij ebbe mai l’occasione di ammirarla.
Balanchine combinò liberamente numerosi degli elementi del linguaggio classico, rispettando le esigenze derivanti dalle posizioni codificate e dalle sue necessità funzionali. Al contempo diede vita al neoclassico (stile già accennato da Bronislava Nijinsky - sorella del leggendario Vaslav - e poi proseguito in Francia da Serge Lifar), mutando l’estetica dell’accademismo puro. Sotto questo profilo, in particolare, lo si può considerare un architetto-coreografo grazie alla minuziosa ricerca delle proporzioni armoniche, e a quel disegno delle forme eleganti basate sulla semplicità, talvolta austere e solenni, supportate da una serenità compositiva. La razionalità delle linee ha anticipato molte altre soluzioni moderne giunte ai giorni nostri. La coreografia risulta assai originale, perché, nonostante sia rispettosa di base alle regole degli ordini classici, interpreta la classicità in maniera nuova, con sentori vicini alla danza contemporanea. Balanchine ha inventato inediti criteri e soluzioni per combinare forme ed elementi propri dell’idea classica, fondendoli con le reali esigenze di efficienza. L’insieme risulta arioso e leggero grazie a un equilibrio tra figure monumentali e naturalezza, donando allo spettatore suggestioni pittoriche. Si colgono appieno i valori espressivi che sono fortemente collegati alla narrazione, nonché fondamentali della cura scrupolosa del proprio lavoro. Le svariate versioni nel tempo furono sempre eseguite su quella aggraziata firmata da Balanchine; il prologo, riguardante il parto di Leto, venne eliminato successivamente e il titolo Apollon musagète modificato in Apollo.
Storicamente, alla prima di Washington ebbe così tanto successo che il debutto al Théâtre de l’Opéra di Parigi avvenne a pochi mesi di distanza, per la precisione il 24 dicembre 1928, sempre con i Ballets russes di Diaghilev, nell’interpretazione di Alicia Markova (Tersicore), Lubov Tchernicheva (Calliope), Felia Doubrovka (Polimnia), Dora Vadimova ed Henriette Maikerska (due dee), Sonia Orlova (Léto) e Serge Lifar (Apollo), direttore d’Orchestra Roger Desormiere. Per poi essere ripreso sempre al Palais Garnier il 21 maggio del 1947 con Michel Renault, Maria Tallchief e altri nomi dell’epoca.
In Italia il balletto fu rappresentato per la prima volta nel settembre 1950 al Teatro La Fenice di Venezia in occasione del Festival di Musica Contemporanea. La coreografia di Balanchine ha girato tutto il mondo, solo per citare alcune tappe: nel 1931 al Royal Danish Ballet, nel 1937 American Ballet Théâtre, nello stesso anno si vide a Rio de Janeiro e a Buenos Aires, nel 1951 al New York City Ballet, nel 1966 il Royal Ballet di Londra lo propose con interpreti Donald MacLeary, Vyvyan Lorraine, Monica Mason e Georgina Parkinson, nel 1991 all’Australian Ballet, nel 2003 al Birmingham Royal Ballet. Il ruolo di Apollo fu danzato anche da Mikhail Baryshnikov nel 1979. Si ricordano inoltre le coreografie riviste firmate da Aurel Miloss con Marcel Fenchel, Lore Jentsch, Renata Di Legge, Luciana Bertolli (13 aprile 1941 al Teatro delle Arti di Roma), e quelle di Tatiana Gsovska, Yvonne Georgi, Charles Lisner, Virgilio Sieni e l’Apollon Musagéte per il Teatro dell’Opera di Roma, su coreografia di Luca Veggetti, con le scenografie tratte da Giorgio De Chirico, nel 2008. Nel novembre 2020 venne proposto anche dalla Compañía Nacional de Danza sotto la direzione di Joaquín De Luz. Certamente nessun’altra nuova coreografia è riuscita a competere con quella di Balanchine.
Alla Scala si rammentano diverse riprese con grandi interpreti, negli anni settanta e ottanta troviamo nel ruolo di Apollo Maurizio Vanadia, in alternanza a Vittorio D’Amato e Matteo Buongiorno con Piera Pedretti, Flavia Vallone, Silvia Scrivano ai tempi della direzione di Robert de Warren (nella ripresa coreografica di John Clifford), oppure nell’interpretazione di Robert Hill con Isabel Seabra, Anita Magyari, Elisabetta Armiato. Si ricorda anche il passo a due di Apollo estratto dalla coreografia di Balanchine, andato in scena sul palcoscenico del Piermarini con Denys Ganio e Carla Fracci nella ripresa coreografica di Patricia Neary per la regia di Beppe Menegatti, nella serata intitolata Dalla Taglioni a Diaghilev (aprile 1983). Senza tralasciare l’Apollo di Paolo Bortoluzzi (in alternanza ad Angelo Moretto), con le muse Anna Razzi, Vera Karpenko, Vittoria Minucci (1975).
Come non menzionare inoltre il Dutch National Ballet che nel 1969 al Teatro Sadler’s Wells di Londra ospitò Rudolf Nureyev nella performance della compagnia in Apollon Musagète di George Balanchine? Il tartaro volante interpretava la parte di Apollo al fianco delle ballerine Olga De Haas, Sonja Marchiolli, ed Helene Pex. Nureyev non smise mai di ballarlo dal 1967 (data del suo debutto nel ruolo alla Wiener Staatsoper) fino al 1991 per il suo ultimo tour dei gala Nureyev and Friends in Australia.
Storica anche la versione con in scena Peter Martins, Suzanne Farrell, Marnee Morris e Karin von Aroldingen. In tempi recenti da segnalare il primo ballerino Sergio Bernal (del Ballet Nacional de España) in coppia con Ashley Bouder (del New York City Ballet) interpreti d’eccezione nel pas de deux, sempre con la trionfale coreografia apollinea di George Balanchine.
La simbologia adottata dal coreografo georgiano è la giusta percezione che deve suscitare un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile. Così nella variazione di Calliope, la musa riceve in dono da Apollo le tavole, simbolo della poesia e della metrica. Nella variazione di Polimnia, la musa riceve in dono una maschera, simbolo dell’arte mimica. Nella variazione di Tersicore, la musa riceve in omaggio una lira assumendo il posto d’onore al fianco di Apollo e rappresentando la danza. Il balletto si chiude con l’Apothéose in cui il dio conduce le muse, con Tersicore in testa, verso il monte Parnaso, il luogo che diventerà la loro dimora. La struttura contempla nel primo quadro il prologo Naissance d’Apollon, nel secondo quadro la variazione di Apollo, il pas d’action, le già tre citate variazioni delle muse, un’altra variazione di Apollo, il pas de deux tra Apollo e Tersicore, la coda, e ben appunto l’apoteosi.
In molti si sono domandati come mai le muse in scena siano solo tre e non nove. Ciò è da ricondurre alla commissione del balletto a Stravinskij che non durasse più di trenta minuti: a seguito di tale richiesta il compositore russo ridusse il numero a tre, scegliendo Calliope, Polimnia, e Tersicore.
Da sottolineare le doti necessarie per interpretare al meglio il balletto. Doti che hanno dimostrato appieno i quattro nostri interpreti (Bolle, Manni, Toppi, Arduino) anche grazie all’attenta regia televisiva di Ella Gallieni. Innanzitutto la musicalità assoluta; lo spettatore deve, secondo le parole stesse di Balanchine, poter vedere la musica e ascoltare la danza. A seguire la totale assenza di sentimentalismo, inteso come l’accentuare in modo patetico le manifestazioni affettive. Necessita di elevato dinamismo e, per concludere, gambe e braccia devono muoversi su traiettorie tracciate precisamente (come fossero un compasso) a partire dalla linea centrale del corpo, valorizzando l’animazione e la qualità incisiva delle dinamiche.
Nel finale alla Scala gli applausi hanno risuonato con entusiasmo per i quattro danzatori, per il direttore e gli orchestrali, con ripetute chiamate alla ribalta, sottolineando se mai ce ne fosse ancora bisogno la lungimirante libertà creativa, la sobrietà e la fantasia nel rigore di Balanchine e del suo Apollo.