L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Emanuela Abbagnato

Le Parc o dell’amore

 di Stefano Ceccarelli

Approda a Roma Le Parc del francese Angelin Preljocaj, che ebbe la sua première all’Opéra parigina nel 1994. I suoi ventidue anni, a ben pensare, non li dimostra affatto: la forza icastica della coreografia è ancora vivida e risulta quanto mai attuale nella tematica eminentemente erotica su cui s’impernia. Nell’allestimento del Teatro alla Scala, Le Parc arriva a Roma ripreso coreograficamente da Laurent Hilaire (che fu il protagonista maschile del battesimo parigino) e Noémie Perlov. David Garforth dirige l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma in un florilegio di musiche di Wolfgang Amadeus Mozart intervallate da inserti elettronici di Goran Vejvoda. Le scene di Thierry Leproust, dal gusto metafisico/surrealistico, sono gradevoli e ben strutturate, giocate sull’alternanza di elementi didascalici (come i giganteschi alberi nel II atto) inseriti all’interno di atmosfere surrealistiche. I costumi (Hervé Pierre) sono classici, eccetto quelli dei giardinieri, che ricordano più dei supereroi Marvel. Il corpo di ballo dell’Opera di Roma regala una performance stupenda: spiccano i due protagonisti, Eleonora Abbagnato e Claudio Cocino. Lo spettacolo è dedicato all’ideatore della scenografia luminosa, Jaques Chatelet, scomparso del 2015.

ROMA, 10 maggio 2016 – Tendenzialmente la programmazione di balletto del Teatro dell’Opera di Roma non prevede più di un titolo contemporaneo per stagione. Ma la corrente stagione fa, evidentemente, eccezione: piacevolmente eccezione, vorrei aggiungere. Dopo la serata dei grandi coreografi, che ha visto un mélange di belle coreografie di Balanchine, Forsythe, Nureyev e Millepied, il maggior teatro romano porta in scena Angelin Preljocaj con Le Parc e la sua singolare visione della danza. Mercé, soprattutto, l’intelligente programmazione dell’instancabile Eleonora Abbagnato, che di Le Parc è anche la protagonista.

Il teatro è pieno e il pubblico romano – non certo all’avanguardia in fatto di gusto di danza – pare apprezzare grandemente il complesso e eterogeneo balletto, creazione eminentemente novecentesca; probabilmente l’insistenza annuale dell’Opera di Roma sulle tematiche della danza contemporanea ha giovato alla creazione di un pubblico se non proprio di intenditori, almeno di appassionati – addetti al mestiere esclusi, s’intende. Le Parc è una complessa allegoria dell’amore, che sull’immagine erotica estremamente codificata a cavallo fra ‘600 e ‘700.

Per sua stessa ammissione, Preljocaj ha giocato su immagini di un eros stucchevolmente prevedibile, appunto, che, però, a mano a mano si libera dal suo incatenato galateo per acquisire una sincerità universale, quindi per diventare anche ipso facto contemporaneo. Una coppia vive una sorta di educazione sentimentale, guidata dall’intervento ex machina di quattro figure allegoriche di giardinieri/cupidi, veri demiurghi dell’innamoramento e dell’affrancamento del sentimento erotico dalle stringenti codificazioni della società. Preljocaj inserisce, nell’impianto figurativo della coreografia, elementi classici e barocchi – come i quattro giardinieri che null’altro sono se non un’allegoria degli angioletti/putti barocchi (figli degli amorini/eroti di tanta arte greco-romana – si pensi al quarto stile pompeiano) trasfigurati in eroi da fumetto – e li filtra nell’atmosfera di un’atemporale modernità, che deve molto, scenograficamente, a scorci e visioni metafisico/surrealistiche (De Chirico e Dalí).

La creazione è complessivamente piacevole, anche se a lungo andare può apparire in taluni punti monotona, ripetitiva, volutamente concettosa. Le musiche di Wolfgang Amadeus Mozart rendono ancor più marcato lo scarto fra la classica compostezza delle armonie e l’indefessa, ripetitiva ruvidezza di molte figurazioni ostinate del bagaglio coreutico di Preljocaj: bagaglio che è piacevolmente eclettico, spaziando dalla danza classica a forme di street dance (danze sociali) come il voguing e passando, chiaramente, per il linguaggio eminentemente eclettico della danza colta contemporanea. «Le Parc è un quesito sull’arte di amare» (S. Schoonejans) cui Preljocaj non dà una risposta: anzi, apre a infinite spirali di risposte, soprattutto con le interlocutorie danze dei quattro giardinieri che aprono e chiudono la composizione, in una Ringkomposition che ha il sapore di un eros eternamente vivido.

Eleonora Abbagnato e Claudio Cocino danzano i ruoli dei due protagonisti. Nei pas de deux sulle note dei movimenti lenti dei concerti per pianoforte di Mozart, alla fine di ogni atto, v’è una climax di erotismo che vieppiù cresce: dalla serie di passi ostinati, che sclerotizzano ogni possibile contatto fra i due corpi (I atto, l’Incontro) si passa a una coreografia meno rigida, culminante in un bacio, nel finale II (sull’Andante del Concerto K 450) e si termina, nel finale III, sulle note dell’Adagio del celebre Concerto K 488, dove i due danzatori, oramai svestiti della loro funzione sociale, sono anime e corpi che s’intrecciano e si baciano in una toccante e famosa presa vorticante, in cui Cocino fa volteggiare la Abbagnato. I due ballerini danzano ottimamente: il carisma della Abbagnato, che incarna perfettamente la realizzazione del carattere della protagonista de La princesse de Clèves di Madame de La Fayette (cui Preljocaj dichiaratamente s’ispira), è palpabile e regge tutto lo spettacolo: ricordo qui, exempli gratia, la bella e complessa coreografia con i quattro giardinieri (III atto), dove la Abbagnato viene capovolta più volte all’interno di un’atmosfera sospesa in una dimensione onirica. Cocino, da parte sua, staglia un’ottima performance personale.

Il corpo di ballo dell’Opera di Roma risulta eccellente nelle varie coreografie. La difficoltà di interpretare Preljocaj non risiede solo nella necessaria pulizia delle linee, ma anche e soprattutto nella puntualità maniacale dei tempi e degli staccati. Sovente il coreografo impone movimenti differenti fra le compagini di ballerini, che si inseriscono in un discorso coreutico che deve avere la stringente precisione di una fuga bachiana (si pensi alla coreografia che mima, appunto, la fuga, nel I atto, sull’Adagio e fuga K 546). La difficoltà delle coreografie si complica ulteriormente per l’alto grado di ironia con cui Preljocaj tratta talune scene, a tal punto sottile che i ballerini devono trasformarsi anche in eccellenti attori: si pensi agli approcci e maldestri corteggiamenti sulla musica delle Sei danze tedesche K 571; agli amorosi deliqui delle dame nel giardino del II atto, cui segue una gustosa coreografia dove ragazzi e ragazze si nascondono dietro i tronchi di imponenti alberi di legno. Eccellente il lavoro di tutto il corpo di ballo, dunque; lode alla Abbagnato per la preparazione della coreografia. Immancabile la presenza, alla testa dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, di David Garforth, direttore ospite del maggior teatro romano e riconosciuto esperto di repertorio ballettistico (ha ricoperto la stessa carica al Teatro alla Scala): le composizioni di Mozart scorrono frizzanti, leggere e lievi quanto basta per imperniare di senso le coreografie di Preljocaj. Il successo di Le Parc è sugellato da fragorosi applausi del pubblico in sala.

foto Yasuko Kageyama


 

 

 
 
 

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