L'anima oscura
di Roberta Pedrotti
B. Britten
The Rape of Lucretia
Clayton, Royal, Rice, Rock, Rose, Sumuel, Wyn-Rogers, Alder
direttore Leo Hussain
regia Fiona Shaw
London Philharmonic Orchestra
Glindebourne, 9 agosto 2015
DVD OPUS ARTE, OA 1219 D, 2016
Come vuole la leggenda, Roma mal sopporta il governo tirannico dell’etrusco Tarquinio, non a caso detto Superbo, e l’oltraggio del principe alla più casta e virtuosa delle matrone – Lucrezia, sposa di Collatino, suicida dopo lo stupro – è la scintilla che innesca la rivolta e l’istituzione della Repubblica. Così l’archetipo contrappone, in perfetta corrispondenza fra pubblico e privato, libertà e oppressione, virtù e vizio, controllo e istinto. I confini, però, non sono così netti e le sagome idealizzate del mito di fondazione, quando diventano uomini e donne di carne e ossa, scoprono sottintesi e ambiguità, si fanno perturbanti specchi non solo della storia, ma anche delle profondità della psiche.
Rappresentato per la prima volta nel luglio 1946, nemmeno un anno dopo la fine del secondo conflitto mondiale, The Rape of Lucretia è senza dubbio una dolorosa riflessione del pacifista Britten sull’innocenza ferita dalla brutalità della storia, ma nella forma arcaizzante del mito commentato da un uomo e una donna, eredi del coro greco, emerge, come sempre, una più ampia problematica psicologica. Così la vede la regista Fiona Shaw (anche attrice teatrale e cinematografica, nota al grande pubblico forse soprattutto come la zia Petunia della saga di Harry Potter), e mostra il Coro maschie e femminile (Allan Clayton e Kate Royal) come un uomo e una donna del dopoguerra che si aggirano in un paesaggio desolato, una città bombardata ma anche uno spazio interiore dalle cui sabbie nere fanno emergere le figure del mito, dapprima gli uomini, uomini di guerra, gretti, sporchi, brutali e sboccati (e il fatto che Junius, il patrizio scandalizzato dal fatto che sua moglie sia stata sorpresa “with a nigger” sia un cantante di colore, Michael Sumuel, accresce con grottesca ironia l’assurdità della situazione e del possessivo maschilismo esternato). L’oasi serena e candida del gineceo di Lucretia è un rifugio solo apparente, sia perché il fango arriverà a sommergerlo con l’arrivo del giovane Tarquinius, sia perché in sé cela pulsioni represse nelle quali sprofonderà. Lucretia è una donna vera, non è la proiezione del modello di sposa perfetta idealizzato dal pater familias: la sua fedeltà è sincera e consapevole, non è quella di una bambola senza istinti, ma di una donna sensuale, capace di turbamenti ma anche di dignità e controllo, di una laica forza morale che non la rende mai, nemmeno inconsciamente, complice della violenza. In Lucretia il Coro femminile si identifica e si rispecchia, soffrendo con lei, vivendo con lei anche i desideri e i sogni proibiti, esattamente come il Coro maschile si proietta nelle figure virili e si fa via via più aggressivo, possessivo, carnale, ma anche tormentato. Nessuno è del tutto colpevole o innocente, nemmeno Tarquinius, agente scatenante del deflagrare delle tensioni, degli incubi repressi, dei timori e dei desideri sommersi in questa terra nera e cedevole, in quest’aria cupa e umida.
Benché la traduzione corrente riporti ancora un aulico ed edulcorato "ratto", l'oggetto dell'opera è, brutalmente, uno stupro, con tutte le sue connotazioni psicologiche e fisiche, intime e sociale, reali e simboliche; lo spettacolo di Fiona Shaw è struggente e profondo, straordinariamente acuto nello scandagliare abissi psicologici e nell’esprimere con umana compassione e spietata analisi tutta la violenza interiore ed esteriore di un’umanità ferita, che si aggrappa al rinnovarsi del mito nella tradizione cristiana, conferendo un rilievo per nulla sereno e risolutivo agli espliciti richiami del libretto al sacrificio redentore di Gesù. Non per nulla proclamato dal Coro maschile, che ha vissuto in sé la violenza prevaricatrice di Tarquinius, l’ha riflessa in lui e l’ha fatta propria non senza un’intima lacerazione e una consapevolezza anche dolorosa; non per nulla accolto senza convinzione dal Coro femminile, ferito e disincantato, privato d’ogni reale certezza.
Un impegno notevolissimo è richiesto a tutti i cantanti attori e tutti lo assolvono con un’intensità e una verità d’alta scuola, cui la regia video di François Rouissillon rende piena giustizia, sia nello spessore teatrale sia nella forza cinematografica del primo piano. Le belle luci di Paul Anderson, i costumi raffinati di Nicky Gillibrand e l’impianto scenico del grande Michael Levine sono parimenti valorizzate come si conviene.
Non delude la London Philharmonic Orchestra in formazione cameristica sotto la direzione attenta di Leo Hussain e costituisce un altro prezioso tassello nel perfetto equilibrio di quest’opera, né il gesto scenico, anche il più esigente, va mai a discapito del gesto musicale, anzi, con la massima naturalezza ogni interprete recita al meglio con la voce e con il corpo. Senza riserve si lodano la Lucretia forte e complessa di Christine Rice, il Tarquinius energico e sanguigno di Duncan Rock, il Collatinus di Matthew Rose, il citato Junius di Sumuel, la Bianca di Catherine Wyn-Rogers, la Lucia di Louise Alder, i Cori di Clayton e Royal.
Sottotitoli in inglese, francese, tedesco, giapponese e coreano, una bella intervista alla regista nei bonus video e nel curato libretto d’accompagnamento completano un DVD consigliatissimo agli amanti di Britten e del teatro musicale di qualità.