L’umano aldilà di Brahms
di Pietro Gandetto
Bernard Haitink alla Scala con una lettura profondamente intimistica di Ein deutsches Requiem di Brahms. Eccellente il contributo del coro della Scala.
MILANO, 4 febbraio 2016 - Qual è l’amante di musica corale che non abbia mai desiderato ascoltare Un requiem tedesco come quello dell’altra sera? Quando gli ingredienti sono eccellenti, il risultato non può che superare la qualità dei singoli contributi. E così è avvenuto in questo caso, all’ultima rappresentazione di Ein deutsches Requiem di Brahms, al Teatro alla Scala, con la direzione dal quasi ottantasettenne olandese Bernard Haitink.
“My free time is limited, but it’s my fault” aveva affermato il direttore, con l’umilità e la semplicità tipica dei grandi. E non è difficile credergli, considerata la qualità del contributo che questa leggenda vivente della direzione ancora regala.
Haitink presenta una lettura intimistica e umana della partitura, proponendo un gioco di colori e dinamiche profondamente aderente al messaggio dell’autore. Ricordando il significato che qui assume la parola Requiem, non possiamo non fare riferimento al milieu sociale e culturale cui Brahms stesso offriva la propria musica. Citando un esperto conoscitore di Brahms, Christian M. Schmidt, ci riferiamo a un contesto in cui “la sostanza della religione era assorbita nell’arte. Tale religione dell’arte consentì lo sviluppo di una musica non liturgica, di genere sacro, ma non ecclesiastico”. Dunque, un Requiem umano e laico, ma non religioso. Una composizione molto attuale per l’epoca in cui viviamo, dove il confine tra laico e religioso, tra sacro e profano, tra santità e dannazione è davvero molto labile.
Nell’aldilà ipotizzato da Brahms non assistiamo agli apocalittici stordimenti del Dies Irae di Verdi, né alla tormentata disperazione del Confutatis di Mozart, essendo quella di Brahms una composizione legata alla vita terrena e alla sua caducità, profondamente aderente ai limiti e alle debolezze umane. “Tutti i mortali sono come l’erba e l’erba inaridisce” si legge nel testo del secondo brano Denn alles Fleisch in si bemolle minore, uno dei più coinvolgenti del capolavoro del compositore di Amburgo.
Il clima consolatorio e di divina compostezza viene espresso da Haitnik con registri soffusi, caldi e mai impetuosi, pur conservando la solennità e l’autorevolezza propria di questa musica. Il gesto è composto, essenziale e assertivo. Haitink guida l’orchestra e il coro con l’autorità regale di un monarca; gli attacchi sono puntuali e incisivi e il temperamento riservato del direttore viene riflesso nei colori e nelle tinte dell’orchestra e del coro, che sembravano legati al maestro da un canale comunicativo privilegiato.
Della maiuscola performance del Coro del Teatro alla Scala, segnaliamo la capacità di esprimere con naturalezza e omogeneità timbrica il lessico corale di Brahms, così lontano dal melodramma, la cui essenza caratterizza invece questa formazione. La tinta corale è calda, duttile e funzionale alla rappresentazione delle svariate nuances della partitura. Particolarmente riuscito lo stacco tra il clima di soffusa meditazione del primo tempo Selig sind e le fughe del secondo moviemento Den Alles Fleisch, che contiene, a nostro giudizio, il motivo più struggente dell’opera. Il rombo dei timpani scandisce l’inesorabile scorrere del tempo, in un crescendo di tensione e il coro si fa portavoce di questo messaggio celestiale di spirituale empatia. Buona anche l’atmosfera di beatitudine espressa nel Wie lieablich sind Deine Wohnungen.
Di pregio il contributo orchestrale, soprattutto nella veemenza esplosiva del sesto movimento Denn vir, in cui si scatena con vigore la nota solidità orchestrale di Brahms. Da lodare la ricerca sonora della sezione degli archi che, soprattutto nel primo e nell’ultimo movimento Selig sind, ha saputo modellare la propria linea musicale con un legato di grande pregio.
Quanto ai solisti, il soprano svedese Camilla Tilling è parso a suo agio - pur con qualche sbavatura nell’intonazione - nell’elegiaca aria del V movimento, (“Ihr habt nun Traurigkeit”). Il baritono Hanno Müller–Brachmann, eccettuata un'evidente fissità nel registro acuto, ha ben espresso il senso di tragicità dei motivi affidatigli nel terzo brano, Herr lehre doch mich.
Copiosi applausi a fine concerto, accolti con un cortese inchino di Haitink in segno di ringraziamento al pubblico e al Coro e all’Orchestra del Teatro alla Scala.
foto Brescia Amisano