Tra Bartok e Schubert vince Mariotti
di Federica Fanizza
Programma bipolare tra ‘900 storico e Romanticismo puro, quello presentato mercoledì 13 aprile 2016 a Trento per la consueta stagione dell’Orchestra regionale Haydn di Bolzano e Trento con l’esecuzione del Concerto per due pianoforti e percussioni e orchestra di Bela Bartok, composto nel 1940, e la Sinfonia n. 9 La grande di Franz Schubert, composta tra il 1825 e il 1827, con il direttore Michele Mariotti chiamato a dare coerenza a questi universi musicali distanti nel tempo e nello spazio
TRENTO, 13 aprile 2016 - Bisogna ricordarsi che il pianoforte è uno strumento a percussione nell'accingersi all'ascolto del concerto di Bartok, eseguito nelle parti soliste dal Trio Diaghilev (Mario Totaro, pianoforte – Daniela Ferrati, pianoforte – Ivan Gambini, percussioni). La partitura, infatti, ci presenta accordi ritmicamente incisivi e insistenti, prodotti dalle percussioni in dialogo con i due pianoforti grazie soprattutto alla capacità virtuosistiche del solista chiamato a destreggiarsi tra timpani, xilofono, piatti, grancassa, triangolo, tam-tam e tubi sonori. L’orchestra occupa un ruolo di assoluta marginalità. Del resto questo concerto è una elaborazione che lo stesso Bartok fece della Sonata per due pianoforti e percussioni scritta nel luglio-agosto del 1937. Gli fu commissionata per il decimo anniversario della Società Internazionale di Musica Contemporanea, e venne poi eseguita il 16 gennaio 1938 a Basilea, dallo stesso compositore in coppia con la moglie Ditta Pàsztory. Secondo la testimonianza dell'autore «il tutto suonò abbastanza inusuale, ma comunque il pubblico di Basilea apprezzò, decretando un grande successo». Alla base della composizione si pone il lungo processo di emancipazione delle percussioni, da strumenti marginali in orchestra, a strumenti dotati di una dignità solistica e di un ruolo autonomo. Emigrato negli Stati Uniti nel 1939, Bartok e sua moglie furono costretti ad intensificare le attività concertistiche e a questo scopo predispose la versione per orchestra eseguita nel 1940. Ma sia la composizione originale sia la versione orchestrale risentono pienamente dei ritmi del nuovo mondo, del resto nel 1938 egli stesso scrisse pezzi dedicati al clarinettista jazz Benny Goodmann.
In questa situazione la funzione del direttore svolge un ruolo marginale lasciando campo libero ai tre solisti del Trio Diaghilev che hanno saputo gestire i loro interventi in perfetta sintonia e con notevoli capacità tecniche esecutive, tanto da meritare la richiesta di bis con una dedica a Stravinskij.
Con un salto all’indietro di un secolo, potere solo della macchina del tempo della musica, ecco che il programma rientra nel repertorio sinfonico più consolidato, presentando la Sinfonia n. 9 La grande di Schubert. È qui che Michele Mariotti, e l’orchestra ritornano a essere i protagonisti della serata.
Questa composizione di Schubert ebbe una storia particolare: la partitura fu ritrovata nel 1838 da Schumann in una montagna di manoscritti accatastati in casa del fratello del compositore. La prima esecuzione, un evento memorabile nella storia della musica, avvenne a Lipsia, nel 1839, con Mendelssohn alla direzione dell'orchestra della Gewandhaus.
Nelle composizioni sinfoniche, Franz Schubert si impose per un suo stile che ripercorreva i modelli haydniani e mozartiani del puro classicismo preromantico; di contro, su questa composizione, incombe l’ombra delle ultime creazioni sinfoniche di Ludwig van Beethoven per i continui rimandi al tardo universo musicale del musicista di Francoforte. Qui, Mariotti ha scelto di esaltare le reminiscenze beethoveniane e solo nel secondo movimento ha alleggerito questo approccio dando più respiro alle linee melodiche del Classicismo preromantico di Mozart e Haydn.
A lui il merito di aver saputo gestire con autorità l’organico orchestrale riuscendo nei due brani in programma ad affascinare il pubblico che ha decretato una calorosa accoglienza a uno dei più autorevoli tra i direttori della nuova generazione.