Una polka per Lady Macbeth
di Alberto Ponti
Conlon ricrea il capolavoro teatrale di Šostakovič nel concerto di chiusura della stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale
TORINO, 13 maggio 2016 - Pochi compositori, anche tra i più grandi, hanno saputo raggiungere una maturità d’espressione così precoce come Dmitrij Šostakovič (1906-1975).
L’opera Lady Macbeth del Distretto di Mtsensk op. 29, iniziata nel 1930 dal musicista ventiquattrenne, terminata due anni dopo ed eseguita per la prima volta a Leningrado nel gennaio 1934 rivela, fulminea, le straordinarie doti di un genio già compiuto e rimane il lavoro teatrale russo più importante del Novecento, superando, nel suo vortice di tragicità e ironia, anche i notevoli traguardi in campo operistico di Prokof’ev e Stravinskij.
La presentazione in forma di suite sinfonica che ne ha dato James Conlon alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai il 12 e 13 maggio, nell’ultimo concerto della stagione 2015/2016, pur comprimendo l’ampio lavoro in poco più di 40 minuti di musica, ne mantiene intatte molte caratteristiche. La partitura è stata realizzata dallo stesso Conlon, il cui intervento, preservando integralmente la scrittura originale, si è limitato ad affidare le parti vocali principali ad oboe, clarinetto e tromba. Prendono così vita, in una sorta di palcoscenico immaginario, le vicende di Katerina Izmajlova che, sposata a un marito benestante ma grezzo ed importunata dal suocero, uccide entrambi con l’aiuto del garzone-amante Sergej, illudendosi di trovare una via di uscita alla propria disperazione per poi morire durante la marcia di deportazione in Siberia, dopo la condanna seguita alla scoperta dei delitti. La musica di Šostakovič accompagna, con intensità dostoevskiana, tutte le sfumature psicologiche delle persone del dramma, ricorrendo a una feroce satira ogni qualvolta la situazione rischi di avvicinarsi troppo ai cliché operistici.
L’incontro in camera da letto fra Katerina e Sergej è improntato a un crescendo di sensualità che pare richiamare celebri scene d’amore wagneriane e straussiane (da Tristan a Guntram, l’elenco sarebbe lungo) ma, nel momento in cui il servo seduce la padrona, ecco subentrare il gesto ironico del trombone in glissando. A sottolineare il tormento e il rimorso della protagonista per aver avvelenato il suocero, emerge dalla profondità dei bassi una grandiosa passacaglia (analogamente a quanto avviene nel primo atto di Wozzeck di Alban Berg) che trascolora dai violenti interventi degli ottoni alle sonorità inafferrabili degli archi acuti e delle due arpe.
La direzione di Conlon è estremamente duttile e ben si addice alle molteplici sfaccettature di ritmo e di timbro attraverso cui si snoda il pezzo. Si passa dalla voluta sguaiataggine della scena della delazione e dell’arresto della coppia di omicidi (sottolineata da una polka calcata con sonorità al limite del rumorismo) agli interventi di sapore mahleriano, nei due interludi, di violino solista (il bravo Roberto Ranfaldi), ottavino, corno inglese.
La compagine orchestrale, chiamata agli straordinari in molti passi di notevole difficoltà, segue con sicurezza le indicazioni rapide, e a volte rapinose, che provengono dal podio, dando l’impressione di prenderci gusto e di avere cementato una solida intesa (ci auguriamo destinata a crescere ancora) con colui che sarà il direttore principale della prossima stagione.
Al termine del brano le prolungate ovazioni decretano la piena riuscita per tutti i protagonisti di un concerto che si era aperto con l’esecuzione della sinfonia n. 8 in si minore D759 di Franz Schubert (1797-1828), la celebre Incompiuta (1822), capolavoro di cui si è apprezzata una volta di più la prorompente visionarietà, nonostante qualche sbavatura dei corni nel sublime Andante con moto.