Anime allo specchio
di Andrea R. G. Pedrotti
Raffinato recital di Monica Bacelli e Pietro De Maria al Rossini Opera Festival. In programma Rossini e Schubert.
PESARO, 17 agosto 2016 - Monica Bacelli torna a essere interprete al Rossini Opera Festival dopo ben ventun anni dalla sua ultima apparizione al festival rossiniano, nel 1995 come Hedwige nel Guillame Tell e solista nella Messa di Gloria. Un ritorno felice il suo, come felice è stato il ritorno di Pietro Spagnoli, protagonista dell’altro concerto di belcanto di pochi giorni fa, sempre all’auditorium Pedrotti, e nei panni di Prosdocimo nel Turco in Italia.
La signora Monica Bacelli si è ripresentata innanzi al pubblico del Rof con un programma di gran gusto e interesse, che poneva a confronto, ma non in contrapposizione, Lieder di Franz Schubert e arie da camera del genius loci, Gioachino Rossini. La felice riuscita del concerto è stata, senz’ombra di dubbio, anche merito dell’eccellente pianista Pietro De Maria, il quale, come vedremo, ha saputo affrontare ottimamente due brani solistici a lui affidati.
Si tratta di due autori che esprimono in modo differente la loro interiorità. Rossini, nella prima parte della sua carriera, non ne ebbe molte opportunità, poiché lavorare per il teatro e su commissione lo portava inevitabilmente a narrare, secondo le sue modalità espressive, gli aspetti umani della sua epoca e dei personaggi che il mondo in cui viveva poneva in essere attraverso la letteratura. I suoi sono come ricordi, scritti fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del XIX secolo. Franz Schubert, al contrario, racconta un tormento meno carnalmente passionale (d’altra parte non era latino, mentre Rossini, sì), ma più nevrotico. Quelli di Rossini sono canti della vecchiaia, mentre quelli di Schubert, che morì ben prima che Rossini scrivesse uno solo dei brani ascoltati nel pomeriggio pesarese, vengono dall'intimo di un giovane uomo e condividono i fermenti tipici del Romanticismo tedesco, privo di spensieratezza e con un aleggiante e continuo presagio di morte.
Monica Bacelli parte da inizio al suo concerto proprio con Franz Schubert e immediatamente è possibile riscontrare quanto abbiamo poc’anzi affermato. I primi tre Lieder sono scritti in italiano. La passionalità interpretativa e la precisione musicale del mezzosoprano fanno, tuttavia comprendere come l'intonazione dei tre brani sia stata palesemente pensata per quel testo, ma si evince con pari evidenza un effetto di traduzione (quindi di tradimento semantico) nel pensiero di Schubert. La scrittura vocale, infatti, ha meno intensità della pura idea musicale, che è lingua internazionale. Il non utilizzare un testo che fosse della madrelingua del compositore (il tedesco, ovviamente) priva la commistione comunicativa di musica e parole della travolgente intensità che l'artista viennese ha saputo trasmettere al mondo intero. La scrittura rossiniana è, senz’ombra di dubbio, meno intensamente nevrotica, ma più affine al bilinguismo, seppur fra due lingue neolatine come francese e italiano. I tre Lieder schubertiani eseguiti per primi sono stati: Vedi quanto t’adoro in Mi bem. magg., D. 510; Da quel sembiante appresi in Si bem. magg., D. 688, III; Mio ben ricordati in Si bem. magg., D 688, IV.
In questa sorta di introduzione sono da lodare la passionalità e il fraseggio di entrambi gli interpreti, che, con un’interpretazione raffinata e mai avara di adeguata accentazione e sfumature, soddisfa ampiamente.
Molto intelligente anche la scelta del brano successivo, questa volta composto dalla mano di Gioachino Rossini, che il pianista Pietro De Maria ha saputo leggere con precisione e notevole abilità nel rendere la varietà di colori del testo, grazie, inoltre, a un ottimo uso del pedale. Un caresse à ma femme per pianoforte solo, da Péchés de vieillesse, Vol. VII, Album des enfants dégourdis, è un brano ideale per introdurre alcune arie da camera di Rossini, perché in esso sono contenuti numerosi temi che riscontreremo in altri lavori di questo genere composti dal pesarese. I temi sono cangianti, dall’euforia alla melanconia. Se Schubert era ampiamente rappresentato dalle sue composizioni, non si può dire il contrario di Rossini; uomo che, da solo, annoverava una serie incredibile di disturbi dell’umore.
Torna sul palco dell’auditorium Monica Bacelli e si riparte con L’orpheline du Tyrol. Ballade-élégie da Péchés de vieillesse, Vol. II, Album français e Ariette à l’ancienne da Péchés de vieillesse, Vol. III, Morceaux réservés.
“Ballata” ed “elegia”: un connubio che si sposa benissimo nella scrittura rossiniana, con i monti e i paesaggi alpini narrati in modo molto diverso da come Schubert l’intendeva: un infinito che non si perde nella disperazione. Apprezzabile anche l’aria successiva, che non ci rammenta una tristezza sconfortata, ma, semmai, un senso di rimpianto in una vita che volge al termine secondo il suo naturale decorso, al contrario di quella che fu di Schubert. È un concetto di nostalgia più legato all’elegia e all’Arcadia nell’orbita d’un panismo molto diverso dal romanticismo tedesco, in cui la nostalgia si fa rimpianto doloroso e il tormento si fa struggente e dirompente, tanto da diventare fatale a molti grandi, che fecero dei tomenti di Werther una rappresentazione di loro stessi.
L’interessante programma prosegue con due fra i tanti “Mi lagnerò tacendo” musicati da Rossini. Quello che ci è apparso più coinvolgente è stato, senz’ombra di dubbio il primo, sottotitolato Il risentimento, perché in esso sono state eseguite, e ovviamente musicate, ulteriori strofe oltre quelle solitamente intonate. La vicenda prosegue e il rimpianto si fa rimprovero. È sempre un monologo, ma la lagnanza nei confronti dell’amata perduta non si ferma al solito domandarsi “in che cosa ho sbagliato”, ma il rapporto viene presentato quasi fosse un concorso di colpe. Molto brava, ancora una volta, la Bacelli nella lettura della parola, nel fraseggio, nel legato e nella fine eleganza interpretativa. Il secondo “Mi lagnerò tacendo” eseguito era quello sottotitolato Sorzico, che faceva da buon seguito al precedente e ottima introduzione all’ultima aria da camera rossiniana nel programma regolare, cioè la Chanson de Zora. La petite bohémienne da Péchés de vieillesse, Vol. II, Album français. Probabilmente miglior chiusa non si poteva dare: un animo bohémien fa, infatti, da corollario a quanto ascoltato prima.
Un programma comprendente Franz Schubert non poteva assolutamente esimersi dall’esecuzione di un pezzo squisitamente pianistico del compositore viennese. Abbiamo ascoltato con piacere Pietro De Maria eseguire il Klavierstücke in Mi bem. magg., D. 946, II. Bravissimo il pianista, esattamente come nel brano solistico precedente. È sempre piacevole sentir emergere con impeto, ma con discrezione e senza prepotenza, l’animo di Schubert, con le sue variazioni di intensità e vibrazioni affidate con pari dignità a entrambe le mani. Di livello, ancora una volta, il fraseggio e l’espressione del pianista.
Gli ultimi tre brani sono un omaggio all’opera che sarebbe stata rappresentata la sera stessa a Pesaro, ossia La donna del lago. Tre canti di Elena; i primi due a Giacomo V, mentre l’ultimo è una preghiera prima della battaglia, la famosa “Ave Maria” di Schubert.
Nel dettaglio abbiamo ascoltato: Ellens Gesang I in Re bem. magg., D. 837; Ellens Gesang II in Mi bem. magg., D. 838 e Ellens Gesang III in Mi bem. magg., D. 839.
Qui dobbiamo lodare la finezza interpretativa della Bacelli che, grazie a un’eccellente dizione tedesca, ha saputo rendere al meglio la commistione fra testo musicale e letterario: un’unione semantica questa volta perfetta, proveniente da Schubert e autentica espressione della sua anima.
Al termine pianista e mezzosoprano hanno ottenuto un franco quanto meritato successo, al quale sono seguiti due bis, entrambi dedicati agli autori protagonisti del pomeriggio, ma, questa volta, a temi invertiti, con una “Ave Maria” per Rossini e un Lied di Schubert dedicato ai paesaggi alpini.
foto Amati Bacciardi