L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

michael spyres

La rivincita di Nourrit

 di Roberta Pedrotti

Michael Spyres rende omaggio ad Adolphe Nourrit e ripercorre alcuni ruoli del suo repertorio in un programma elettrizzante quanto intelligente, che entusiasma il pubblico e rievoca la personalità storica del tenore ottocentesco tragicamente sconfitto dal mutare del gusto.

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PESARO, 18 agosto 2016 - “Chiedo scusa alla favola antica | se non mi piace l’avara formica. | Io sto dalla parte della cicala | che il più bel canto non vende, regala.” Non è la versione moralista della fiaba di La Fontaine, che contrappone spreco dissennato a oculata laboriosità, quella che si affaccia alla mente pensando a Michael Spyres, bensì la squisita quartina di Gianni Rodari, in cui la cicala è emblema della gioia generosa dell'artista che ama “il più bel canto” e ne gode insieme con chi l'ascolta. Non una creatura scialacquona dalla vita breve, bensì entusiasta, energica, innamorata della musica e desiderosa di condividerla con il prossimo: questo è Michael Spyres, capace di interpretare una sera Rodrigo nella Donna del lago, di sostenere nel pomeriggio seguente un concerto di due ore in omaggio ad Adolphe Nourrit in attesa, l'indomani, di partecipare al gala Florez 20. Un tour de force non da poco, tanto più se si considera che Nozzari, per cui è stata scritta la parte di Rodrigo, era un baritenore rievocato da Spyres con una fenomenale ampiezza nel registro grave e, viceversa, un'ascesa all'acuto più sottile, mentre Nourrit fu l'ultimo vero grande haute-contre francese, tenore acutissimo, eroico ed araldico ma uso a far ricorso a emissioni di testa poi spazzate via dal gusto romantico. Con intelligentissima duttilità tecnica, Spyres sposta il baricentro della sua emissione e si appresta ora a rendere omaggio alla vocalità di Nourrit muovendosi con disinvoltura nella scrittura per questi concepita. Si rifà chiaramente ai principi d'estetica vocale enunciati da Manuel Garcia e alterna, a seconda dell'andamento melodico ed espressivo d'ogni frase, ascese all'acuto in “colore scuro” (più brillante e corposo) e in “colore chiaro” (più sottile, chiaro, con maggior estensione in alto). Concretizza così uno studio attento dello stile del primo Ottocento italiano e francese, ma senza che ciò si tramuti in un saggio asettico. Al contrario, Spyres è e resta un cantante elettrizzante e la sua intelligenza, la sua raffinatezza dimostrano che l'estasi del pubblico più giungere anche senza gesti vocali eclatanti ed esuberanti, come nella sublime Cavatine di Masaniello dalla Muette de Portici, unanimemente salutata come perla del concerto e uno dei momenti indimenticabili di questo Rof. Tessitura acutissima, tutto legato, tutto a mezzavoce, con un gioco più che sottile di nuances espressive: la sala gremita del Teatro Rossini è con il fiato sospeso, completamente assorbita dal canto di Spyres prima di prorompere in un uragano di applausi.

Nondimeno, naturalmente, il tenore statunitense dispiega con pari efficacia i diversi caratteri dell'arte di Nourrit, il campione della vecchia scuola francese che morì suicida prima di poter tenere a battesimo il Poliuto che Donizetti aveva scritto per lui, in crisi artistica e professionale per l'avanzata dei tenori romantici “di forza” capeggiati da Gilbert Duprez.

Il concerto ha inizio con la Romance di Nadir dall'Alì Babà di Cherubini e prosegue con lo spirito del Comte Ory rossiniano. La Cavatine dal Gustave III di Auber costituisce, nell'omaggio a Nourrit, un ulteriore motivo d'interesse nel proporre il diretto antecedente del Ballo in maschera verdiano (il brano in questione corrisponde alla sortita di Riccardo “Amici miei, soldati... La rivedrà nell'estasi”), esattamente come Le philtre dello stesso autore è la fonte dell'Elisir d'amore e l'aria di Guillaume “Philtre divin!”, interpretata con elegante arguzia, è l'equivalente di “Caro elisir, sei mio!” di Nemorino.

Toni più seri e canto più imponente richiedono le pagine seguenti da Guillaume Tell, La juive Poliuto. Nel primo, in particolare, l'arte declamatoria della scuola tragica di Nourrit si dispiega in un fraseggio incisivo e in una cura minuziosa di dinamiche, colori, legature, mentre la scelta dell'emissione in “colore chiaro” degli acuti della cabaletta – tutti ben a fuoco e ben proiettati in sala – lascia intendere in filigrana lo iato nascente fra lo stile dell'ultimo haute-contre e quello dei rampanti tenori romantici. Un'interpretazione che accende giustamente il pubblico, ma che suggerisce anche spunti di riflessione non scontati.

Nella Juive abbiamo la pienezza, l'austerità di Eléazar, il carattere riflessivo di “Rachel, quand du Seigneur”, cavallo di battaglia della maturità di tanti storici tenori, dipanato con arte sopraffina e coronato dal vigore della cabaletta troppo spesso soppressa dalla tradizione.

L'unico brano in italiano in programma è tratto dall'ultima opera composta per Nourrit, Poliuto: “Fu macchiato l'onor mio... Sfolgorò divino raggio” è intonato da Spyres con la disinvolutra del moderno belcantista e la scolpitezza che si attende da un coturnato condottiero ferito nell'onore e illuminato nella fede, differenziando a dovere le tenebre della vendetta dall'esaltazione religiosa, l'ambito francese di Nourrit e il suo incontro con l'opera italiana.

Non sarà, però, l'opera che il dedicatario del concerto non poté mai cantare (con delicatezza Spyres dirà al pubblico “voi sapete perché”) a chiudere questo splendido pomeriggio, bensì l'ultima che effettivamente portò sulle scene, lo Stradella di Niedermeyer, con la scanzonata Barcarolle “Voyageur à qui Venise”, che saltella in una danza brillante fra i registri dando modo a Spyres di mostrare con leggiadra ironia e il meglio di sé: affondi nel grave, dolci e penetranti stilettate acute, cantabilità accattivante, legato impeccabile.

Si ripete, ovviamente, l'interminabile turbinio di applausi che aveva scandito il pomeriggio dopo pressoché ogni brano. Dopo tanto programma, in un calendario festivaliero intensissimo, non si può certo lamentare l'assenza di bis: la generosità di Spyres è fuori discussione, fuori discussione il suo quasi sfrontato dominio della voce, sì da affrontare, a suo piacimento, tessiture quasi baritonali o ruoli spinti agli estremi acuti (è uno dei non numerosissimi tenori in attività a eseguire dal vivo il fa sovracuto).

Unici momenti di riposo sono state le ghiotte occasioni di ascoltare le rare ouverture da Le philtre di Auber e Stella di Napoli di Pacini, in cui la bacchetta di David Parry si pone in meritata evidenza. Il valore di una vita dedicata al repertorio, anche più che raro, italiano e francese del primo Ottocento s'impone sia nell'affiatamento con il temperamento e lo stile di Spyres sia nei risultati ottenuti dall'orchestra Sinfonica G. Rossini, che, certo, non può trasformarsi d'incanto nei Berliner (non manca qualche intemperanza negli ottoni o qualche intervento un po' sfocato dei legni), ma offre una prova di livello ben superiore a quanto ascoltato per i Duetti amorosi fra Yende e Wakizono.

Impossibile non uscire felici dal Teatro Rossini, felici di aver ascoltato “il più bel canto” dell'intelligente e appassionata cicala, per la quale facciamo anche noi il tifo come il saggio Gianni Rodari.

foto Amati Bacciardi


 

 

 
 
 

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