Quello strano Stabat Mater tutto d'un fiato
di Alberto Spano
Dopo il concerto pesarese del 2015, l'Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta da Noris Borgogelli ripropone a Bologna la rarità della trascrizione per soli fiati dello Stabat Mater rossiniano curata dal fagottista Giovannì Andrè, fra gli esecutori della prima italiana diretta da Gaetano Donizetti.
Leggi anche l'introduzione di Noris Borgogelli
BOLOGNA, 25 agosto 2016 – L'oscuro oggetto del desiderio musicale dell'estate bolognese 2016 è la fantomatica ma non banale trascrizione per quattordici fiati dello Stabat Mater di Rossini ascoltata all'aperto nel Cortile del Piccolo Teatro del Baraccano durante la rassegna “Atti Sonori”, nell'ambito di Bè Bologna, per le cure dei Fiati dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta da Noris Borgogelli. Si tratta di un pregevole arrangiamento del capolavoro rossiniano, la cui prima italiana ebbe luogo proprio a Bologna in una leggendaria esecuzione del 18 marzo 1842 nel Salone dell'Archiginnasio – che da quel dì si sarebbe chiamato “Sala dello Stabat Mater” – con la direzione nientepopodimeno che di Gaetano Donizetti. Nell'occasione il più giovane collega di Rossini diresse un'orchestra appositamente allestita, nella quale sosteneva la parte del primo fagotto l'eccellente strumentista Giovanni Andrè, accademico filarmonico di Ferrara. Il quale rimase talmente colpito dal nuovo capolavoro sacro con cui Rossini nel 1842 tornava a prodursi dopo un auto esilio dalle scene teatrali di oltre tredici anni dal volerne realizzare una trascrizione per orchestra di soli fiati, come era d'uso al tempo, subito pubblicata da Ricordi. Le cronache raccontano di una altrettanto singolare prima esecuzione bolognese di questa trascrizione in una villa privata fuori Porta Castiglione al cospetto del compositore, al termine di una festa di onomastico in suo onore. Vale la pena rileggere integralmente l'anonima quanto intrigante recensione apparsa sul numero 38 del 18 settembre 1842 della Gazzetta Musicale di Milano: “Domenica 21 scorso agosto, in una amena villa, ad un quarto di miglio da Bologna, fuori di Porta Castiglione, goduta dal Maestro Gioachino Rossini, che pochi giorni prima era stato insignito da S. M. il Re di Prussia del nuovo ordine del merito, alcuni suoi affezionati, per festeggiare il giorno onomastico nelle ore pomeridiane lo sorprendevano con vari trattenimenti. Consistevano questi nell'esecuzione di un gigantesco globo aerostatico e nella accensione di bellissimi fuochi artificiali. Poscia da un eletto numero di professori mediante acconcia riduzione, da stromenti da fiato in giardino eseguivansi le incomparabili melodie colle quali il gran maestro vestì l'Inno – Stabat Mater. Giovanni Andrè, celebrato professore di fagotto, ne è stato il riduttore e quanto bene egli siavi riuscito non è da dirsi, imperciocché sì grande ne fu l'effetto, tanta la precisione, sì ingegnoso l'adattamento delle parti vocali e l'intreccio degli accompagnamenti, che l'illustre autore ne rimase soddisfattissimo e gli ascoltanti, la gran quantità colà accorsi, compresi furono da indescrivibile diletto, e trasportati da entusiasmo più volte proruppero in strepitose acclamazioni ed in prolungati evviva, tutti facendo voti che il genio senza uguali voglia dotare l'Italia di nuovi insuperabili lavori e per lungi anni possa vivere felice”.
Centosettantaquattro anni e tre giorni dopo ecco risuonare questa trascrizione a poche centinaia di metri da quella amena villa, nel bel cortile del Baraccano, in una molle serata di una Bologna ancora mezzo vuota, dopo che la si era ascoltata coi medesimi interpreti al Rossini Opera Festival lo scorso anno, e dopo che nel 1998 ne avevano realizzata una pregevole edizione dal vivo in una chiesa romana – oggi reperibile in DVD – i complessi della Toscanini capeggiati dal virtuoso di clarinetto Corrado Giuffredi.
Non una prima assoluta quindi, ma sicuramente una rarità, visto che è alquanto difficile reperire la partitura a stampa che lo stesso Noris Borgogelli non è ancora riuscito ad ottenere: dubbi musicologici persistono su questo misterioso spartito, un manoscritto del quale è stato di recente scovato all'Accademia Filarmonica di Bologna, mentre le parti staccate si possono trovare – chissà perché? – solo al Conservatorio di Milano e alla Biblioteca Marciana di Venezia.
La domanda sorge spontanea: come suona lo Stabat Mater di Rossini trascritto per una piccola orchestra di soli fiati, cioè un flauto, due oboi, due clarinetti, due fagotti, un controfagotto, due corni, due trombe e due tromboni?
La risposta l'ha data ampiamente il direttore Noris Borgogelli, la cui veramente amorevole dedizione all'impresa ha per prima cosa evitato uno spiacevole quanto temuto “effetto banda”, disponendo di valorosissimi strumentisti a fiato che militano nell'Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro: Fabiola Santi al flauto, Lorenzo Luciani e Manuel Mantovani all'oboe, Marco Torsani e Vanessa Scarano al clarinetto, Paolo Rosetti e Giacomo Petrolati al fagotto, Luca Ridolfi al controfagotto, Enrico Barchetta e Artem Koslov al corno, Mario Bracalente e Riccardo Sabatini alla tromba, Stefano Bellucci e Maurizio Garofalo al trombone.
La trascrizione è bella, raffinata e funzionale, mette alla prova le doti virtuosistiche degli esecutori, tutti sottoposti a uno sforzo veramente notevole (vedi il Quartetto a cappella “Quando corpus morietur” e il successivo “In sempiterna saecula col difficilissimo fugato), ben ripagato dal subitaneo effetto sul pubblico che rivive l'avvincente intonazione rossiniana dell'immortale sequenza di Jacopone da Todi risalente ai primi anni del XIV secolo. Lo spiazzamento uditivo iniziale, ove si conosca bene l'originale per grande orchestra, coro e solisti di canto, sparisce via via grazie alla qualità della trascrizione e alla bravura degli interpreti: l'orecchio si abitua in fretta ad ascoltare l'aria del tenore “Cujus animam gementem” eseguita dal flauto, oppure il Quartetto “Sancta Mater, istud agas”, dove è persino ingigantito l'effetto contrastante fra testo drammatico e una musica scoppiettante e quasi gaia, accentuato dalla lettura prima di ogni brano del testo in italiano (dall'originale latino medievale) da parte dello stesso direttore, che all'uopo sfoggia voce e doti attoriali non indifferenti. Tante altre belle sorprese riserva questa strana partitura pararossiniana che ci auguriamo presto sia disponibile in disco. Al Baraccano i Fiati della Rossini ne davano un'esecuzione molto musicale e di ottima tenuta, ben condotta da Borgogelli, il quale trovava un ammirevole punto d'equilibrio fra stile romantico-drammatico e clarté classicista.
Un atto d’amore
Bologna, 18 marzo 1842, Aula Magna dell’Archiginnasio. Gaetano Donizetti alza la bacchetta per dare avvio alla prima esecuzione in Italia dell’attesissimo Stabat Mater di Gioachino Rossini, il quale fu presente solo alla terza replica grazie alle insistenti ed affettuose preghiere del suo devoto amico che si prestò con entusiasmo alla direzione e all’organizzazione dell’evento.
Giovanni Andrè, stimato docente e Accademico Filarmonico di Ferrara, era il primo fagotto dell’orchestra allestita per l’eccezionale concerto e assieme al suo non meno rinomato collega, Andrea Lelli e a tutti gli altri violoncelli della compagine orchestrale, in un trepidante silenzio intonò le prime, sublimi note dello Stabat.
Sicuramente, fin dalle prime prove di lettura e di studio, Andrè rimase folgorato da questo capolavoro, come i tanti che in varie città d’Europa ascolteranno la nuova composizione di Rossini emersa all’improvviso (anche se la gestazione si protrasse per quasi dieci anni) dal lungo silenzio che dal 1829 lo teneva, con stupore ed incredulità di tutto il mondo musicale, lontano dalle scene teatrali.
Forse proprio quelle prime sommesse, dolenti note che generano l’atmosfera cupa, sgomenta ed impietrita della partitura rossiniana, stuzzicarono la fantasia di Andrè, portandolo a immaginare un adattamento che potesse mettere in evidenza le notevoli doti virtuosistiche sue e dei suoi apprezzati colleghi e insieme rendere omaggio all’imponente lavoro di Rossini che lo colpì così profondamente.
Per tutto l’800, la pratica di trascrivere, variare e adattare opere in circolazione, anche di musica sacra, era assai diffusa e il giro di affari che ne derivava, alimentava un vivace mercato, redditizio soprattutto per gli editori. Ricordi non si lasciò sfuggire l’occasione di pubblicare questa insolita riduzione strumentale che cavalcava l’onda del successo della versione originale, tanto da corredarla di un frontespizio particolarmente elaborato: STABAT MATER/del Celebre Cavaliere/Gioachino Rossini/RIDOTTO PER/1 Flauto, 2 Oboe, 2 Clarinetti, 2 Corni, 2 Trombe, 1 Trombone/2 Fagotti, 1 Officleide e 1 Contra-fagotto/E DEDICATO/All’Illust.e Signor Avvocato/CIPRIANO GHEDINI/Accademico Filarmonico del Liceo di Bologna/DA/GIOVANNI ANDRÈ/Professore di Fagotto ed altri istrumenti.
Oggi, come tante altre trascrizioni del genere, il lavoro è fuori catalogo e dimenticato. Delle parti originali sono reperibili al momento solo due copie, una conservata presso la Biblioteca del Conservatorio di Milano, l’altra presso la Biblioteca Marciana di Venezia. Ancora non è stata rinvenuta la partitura a stampa, sempreché sia stata effettivamente editata; ne esiste soltanto un’ottima copia manoscritta, non so se autografa, custodita presso la Biblioteca dell’Accademia Filarmonica di Bologna.
Quando ragazzino ascoltai per radio la prima volta il poco conosciuto Stabat Mater di Rossini (confesso che ero rimasto fermo a quello di Pergolesi e di Vivaldi), ne rimasi entusiasta e da allora questa partitura è rimasta una delle mie più amate. Pochi anni orsono mi capitò fra le mani un raro DVD con la prima incisione di questa
versione per soli strumenti a fiato, lasciandomi sorpreso e incuriosito; ascoltando più volte con crescente entusiasmo il disco, rimasi colpito dalla cura certosina e dall’amorosa devozione che Andrè riservò a questo suo lavoro. La singolare orchestrazione e l’attenta distribuzione ai vari strumenti delle frasi solistiche e del loro accompagnamento mettono in risalto una rispettosa aderenza all’originale davvero commovente facendoci dimenticare l’assenza delle voci soliste e del coro.
Pochissime le libertà prese dal trascrittore, alcune solo per agevolare gli strumenti traspositori: il Duetto Quis est homo e la Cavatina Fac ut portem sono stati abbassati di mezzo tono, da Mi maggiore a Mi bemolle maggiore e l’Aria Pro peccatis alzata da La minore a Si bemolle minore; una diversa cadenza per la tromba è stata elaborata alla fine della Cavatina, aggiungendosi ad altri dettagli di poco conto.
La riduzione fu sicuramente eseguita più volte; una di queste, data la particolare circostanza, è rimasta attestata in una recensione della Gazzetta Musicale di Milano N. 38 di domenica 18 settembre 1842:
Domenica 21 scorso agosto in una amena villa, ad un quarto di miglio da Bologna, fuori di Porta Castiglione, goduta dal maestro Gioachino Rossini, che pochi giorni prima era stato insignito da S. M. il Re di Prussia del nuovo ordine del merito, alcuni suoi affezionati, per festeggiarne il giorno onomastico nelle ore pomeridiane lo sorprendevano con varj trattenimenti. Consistevano questi nell’ascensione di un gigantesco globo areostatico e nella accensione di bellissimi fuochi artificiali. Poscia da un eletto numero di professori mediante acconcia riduzione, da stromenti da fiato in giardino eseguivansi le incomparabili melodie colle quali il gran maestro vestì l’Inno – Stabat Mater. Giovanni Andrè, celebre professore di fagotto, ne è stato il riduttore, e quanto bene egli siavi riuscito non è a dirsi, imperciocché si grande ne fu l’effetto, tanta la precisione, sì ingegnoso l’adattamento delle parti vocali e l’intreccio degli accompagnamenti, che l’illustre autore ne rimase soddisfattissimo e gli ascoltanti, in gran quantità colà accorsi, compresi furono da indescrivibile diletto, e trasportati da entusiasmo più volte proruppero in strepitose acclamazioni ed in prolungati evviva, tutti facendo voti che il genio senza uguali voglia dotare l’Italia di nuovi insuperabili lavori e per lungi anni possa vivere felice.
Oggi mi sento di condividere pienamente gli apprezzamenti del recensore, la soddisfazione di Gioachino e l’entusiasmo che questa nuova ed elegante veste dello Stabat suscitò negli ascoltanti che applaudirono l’opera somma del Pesarese e l’atto d’amore che Giovanni Andrè gli dedicò.
Pesaro, agosto 2015