L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Donna Anna in discoteca

 di Federica Fanizza

In un allestimento discotecaro con idee che si perdono per strada, il Don Giovanni genovese con la regia di Rosetta Cucchi è salvato dalle qualità interpretative di un ottimo cast.

GENOVA, 6 febbraio 2016 - Ma donna Anna ci sta? E la domanda che può porsi uno spettatore che assiste al Don Giovanni di Mozart con la regia di Rosetta Cucchi. Lei stessa ci spiega la sua messa in scena: «Ho pensato all’America reaganiana degli anni ’80, ottimista e proiettata verso il futuro, ma dove il moralismo borghese si contrapponeva alla crescente voglia di libertà di una parte della società. Dove le grandi star del rock facevano impazzire i giovani e venivano seguite nelle mode e nei costumi morali e sessuali. Ma anche all’America dove l’ombra dell’AIDS iniziava a prendere forma e c’era chi la giudicava come una giusta punizione divina della corruzione dei costumi. In questo contesto, ho immaginato un Don Giovanni star di uno dei locali alla moda newyorkesi, come poteva essere il mitico Studio 54, amato da tutte le donne e da esse odiato quando stanco e annoiato le rifiuta. Un uomo mito che vive sopra le righe, forse conscio di dover bruciare tutto e subito rifiutando un futuro di decadenza fisica e sperando in una fine spettacolare».

È un allestimento che già collaudato, nato da una coproduzione dell’Opera di Tenerife con i teatri di Lucca, Modena, Piacenza e approdato ora a Genova al Carlo Felice.

Un taxi giallo incombe sulla scena d’inizio, dove, a sipario alzato sulle note dell’Overture, si sovrappongono gli sbattimenti delle portiere (che fanno perdere molto fascino musicale) del mezzo dal quale scende una nervosa Donna Anna con borse e pacchetti, in notevole stato di agitazione per ritrovarsi faccia a faccia con il “gran seduttore” dal quale cerca di svincolarsi, ma senza troppaconvinzione. E questa complicità viene confermata dalle sequenze in video che scorrono al momento dell recitativo che culmina con l’aria ”Ora sai chi l’onore” con la descrizione dettagliata della tentata violenza. Ma qui sta il dubbio che insinua la regia: fino al che punto non è complice anche lei stessa dell’azione tentata di Don Giovanni? Donna Anna viene interpretato come un personaggio algido e scostante, mentre altri, come il poeta E.T. A. Hoffmann nel racconto Don Giovanni (1813), la vedono segretamente innamorata del libertino: un'interpretazione come un’altra, che contrappone al supereroe demoniaco, ribelle contro Dio e la Natura, una creatura celeste, sulla cui anima, nulla il demonio ha potuto.

Il mito del dongiovannismo si adatta benissimo alla contemporaneità, purché l’idea sia perseguita fino in fondo e non risolta soltanto con qualche effetto speciale di luce o costumi. Infatti, in questo caso non si coglieva tutto il fascino della musica mozartiana, coperta a tratti dagli eccessi di rumore che provenivano dal palcoscenico: le idee si perdevano per strada lasciando le scene vuote e libere da qualsiasi accenno alla modernità cercata. Spazio alla musica, quindi, anche perché i motivi di interesse erano incentrati sulle voci, che vedevano intrecciarsi fra le diverse compagnie elementi di interesse egualmente distribuiti per decretare il successo di questo Don Giovanni genovese.

Erwin Schrott è stato protagonista alla prima del 31 gennaio, lasciando poi spazio a Michele Patti e Alessandro Luongo.

Nella rappresentazione alla quale abbiamo assistito il ruolo era affidato al giovane basso genovese Michele Patti (classe 1989) che ha sapientemente condotto in porto il suo personaggio con buoni mezzi vocali (salvo un momento di incertezza, forse dovuta alla scomoda posizione in cui era costretto) e in tutta sicurezza interpretativa, quasi depurandolo dalla simbologia ricercata dalla regia (una morte lenta per dissanguamento).

Alfiya Karimova, con la sua freddezza calcolata, ha saputo delineare una Donna Anna amante complice e vocalmente affascinante, ma ferma nella sua vendetta. Ecco che il Don Ottavio di Patrick Vogel, con ottimo fraseggio e canto di ampio respiro, riesce a essere un autorevole autentico artefice dello smascheramento del delitto di Don Giovanni.

In questa kermesse da discoteca, qua e là accennata con scene realizzate da Andrea De Micheli, costumi curati da Claudia Pernigotti e luci firmate da Luciano Novelli, vagava alla ricerca dell’amore perduto la Donna Elvira del mezzosoprano Raffaella Lupinacci, che si sta imponendo come Donna Elvira, interessante per mezzi vocali, agilità e chiarezza nel fraseggio. È riuscita a svincolarsi dal ruolo di “sfigata” impostole, drogata alla ricerca di mezzi di sussistenza per tirare a campare.

Il Masetto di Roberto Maietta e la Zerlina di Lilia Gamberini erano forse gli unici personaggi che a non essere intrappolati dalla regia, sempre giocosi e briosi nel loro gioco di coppia alle prese con le difficoltà della vita; con degni mezzi vocali il Commendatore di Graeme Broadbent e il Leporello di Luciano Leoni, degno contraltare di Don Giovanni per qualità interpretativa.

La direzione musicale, sostenuta da Pablo Assante (in alternanza con Christoph Poppen) risultava  più che corretta anche se nel corso del primo atto si ha avuto l’impressione che la musica servisse più da colonna sonora all’azione scenica piuttosto che farsi motore di ciò che accadeva in palcoscenico.

Un allestimento comunque volutamente pensato per attirare un pubblico giovanile, che infatti ha affollato il teatro genovese e premiato tutti con grandi applausi.


 

 

 
 
 

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