Sesso, repressione e negazione
di Andrea R. G. Pedrotti
Don Giovanni alla Bayerische Staatsoper si fa apprezzare soprattutto per la resa musicale. Accanto al protagonista Erwin Schrott, Alex Esposito è un applauditissimo Leporello; apprezzamenti anche per Albina Shagimuratova, Dorothea Röschmann, Pavol Breslik.
MONACO DI BAVIERA, 25 luglio 2016 - Alla Bayerische Staatsoper torna Don Giovanni. Il capolavoro di Wolfgang Amadeus Mozart ottiene un pieno successo, soprattutto per quel che concerne la bella resa musicale. Curiosamente, per il livello cui ci ha abituato l’opera nazionale bavarese, la regia non ci è parsa particolarmente stimolante, poiché piuttosto avara di spunti d'interesse. La scena è formata da un ammassamento di container, dentro i quali si paleseranno i vari ambienti. In alto sulla sinistra un schermo rettangolare manda immagini che parrebbero provenire dalle selve circostanti la città di Monaco. Tuttavia questo schermo è posto in una posizione eccessivamente scentrata e lo si osserva solo di rado. Nella parte alta della costruzione, sulle note dell’Ouverture, un uomo anziano completamente nudo, trema, palesando brividi di freddo, secondo le note di Mozart.
L’intera messa in scena è di ambientazione contemporanea, anche se una decisa caratterizzazione dei personaggi risulta, invero, piuttosto latente. Don Giovanni è un debosciato libertino, ma di poco fascino, non ha una grande interazione con Donna Anna e risulta più audace con Zerlina. È seguito il curioso filo conduttore del libretto, vede il celeberrimo dissoluto andare sempre “in bianco” nel corso dell’opera: la sua sembra più una forma di strana perversione, palesata finale del primo atto, quando strappa l’abito a una fanciulla che gli si era palesemente offerta e, mentre ella si volta per non mostrare le sue grazie al pubblico, egli la ignora bellamente. Il rapporto con Leporello è consono alla trama, con qualche accenno di brutalità marcata, anche in relazione al contesto registico. Il personaggio era interpretato dal basso uruguayano Erwin Schrott, che si conferma un basso di buon livello, grazie a un timbro vocale molto bello e un’emissione naturale. Qualche problema nella tenuta dei fiati - specialmente nei passaggi d’agilità, come nell’aria “Fin ch'han dal vino” - e alcuni dubbi stilistici sorgono nella sua interpretazione del finale, quando l’emissione diviene tropo nasale e gli accenti veristi. Schrott si dimostra ottimo attore, ben calato nella concezione del regista ed è molto bravo a simulare l’infarto che, in questa edizione, lo porterà alla morte, prima afferrandosi il braccio sinistro, poi cadendo a terra comprimendosi il petto con le mani.
Di livello e applauditissimo il commendatore di Ain Anger, ucciso da un colpo di pistola nel primo atto e torna sulla scena, all’interno di uno dei container, fra carcasse di manzi appena macellati. Nel finale riappare vestito da vescovo cattolico a domandare pentimento a Don Giovanni. Qui notiamo una delle maggiori mende registiche, poiché le luci vengono mantenute costantemente fisse e il giungere dell’inquisitore appare poco solenne e senza quel piccolo velo di paura (per il pubblico) che dovrebbe suscitare la scena, con un semplice coro di prelati a pronunziare la condanna.
Donna Anna diviene, in questa produzione, una donna frigida, segnata dal lutto per la morte del padre, in abiti perennemente abbrunati; si nega alle voglie del promesso consorte Don Ottavio, scatenandone, di contro, il furore per l’amplesso costantemente negato. Solo al termine del rondò “Non mi dir, bell'idol mio” pare sciogliersi e concedersi al piacere carnale. Unico problema è stato la notevole difficoltà dell’amato a sciogliersi i polsini della candida camicia indossata, scatenando, così, l’ilarità del pubblico. Albina Shagimuratova interpreta bene il ruolo dell’orfana del Commendatore, ponendo in luce un bel controllo dello strumento e pregevole pasta vocale, soprattutto nel registro centrale, pur tenendo ben presente che l’acuto è ben centrato e raggiunto senza affanni di sorta.
Il suo amante, Don Ottavio, trattiene a stento gli impulsi erotici (anche mediante alcune pasticche che offriva pure a Donna Anna). Tali pulsioni sono represse con tale difficoltà da condurlo quasi a una violenza carnale sul termine dell’aria del II atto: “Il mio tesoro intanto.” Pavol Breslik, interprete del ruolo, non è sicuramente un tenore dallo spiccato accento lirico, ma si inquadra nella tradizione interpretativa di Don Ottavio più leggera e sfumata. Molto belle alcune mezzevoci e le agilità sono affrontate senza difficoltà di sorta. Di livello entrambe le arie, con significative ricerche di colore, specialmente in “Dalla sua pace”.
Donna Elvira era una spigliatissima Dorothea Röschmann. La regia insiste su un lato quasi burlesco del personaggio. Ella entra in scena in abiti che sarebbero degni di una battuta di caccia assieme al ragionier Fantozzi e il ragionier Filini. Vocalmente non ha la brillantezza degli anni migliori, ma le qualità della musicista si notano e la parte viene domata senza difficoltà ad eccezione di qualche impiccio di dizione, certamente dovuto alla scarsa frequentazione dell’Italia, in “Mi tradì quell'alma ingrata”.
Sicuramente l’artista più applaudito del cast è stato il Leporello di Alex Esposito, scenicamente fin troppo esuberante (anche per scelta registica) canta l’intero ruolo con gran classe e notevole sicurezza vocale. Molto ben riuscita l’aria del catalogo, eseguita, curiosamente, in completa solitudine scenica, con Leporello intento a elencare le numerose conquiste di Don Giovanni più al pubblico che a una moglie ferita.
Unica artista della compagnia a destare qualche perplessità è stata Eri Nakamura, Zerlina poco convincente a causa dello scarso carisma scenico e di una vocalità molto flebile, che faticava a manifestarsi appieno nelle scene d’assieme. Bene il Masetto di Brandon Cedel.
Convincente la concertazione di James Gaffigan, il quale punta su un peso drammatico quasi ottocentesco, ma efficace e apprezzabile per intensità. Il rapporto fra buca e palcoscenico è ben gestito, mentre le scelte agogiche e dinamiche sono ampiamente funzionali e condivisibili. L’unico momento in cui si soffre un calo dell’emotività è il terzetto “Don Giovanni a cenar teco”, più a causa di una scelta registica che prevede una luce fissa, senza effetti di sorta, e una camminata del Commendatore dal fondo della scena, che ne anticipa l’ingresso di svariati istanti. Purtroppo, così, si è perso lo stupore dell’inquisitorio morto vivente, giunto per vendicare la dissolutezza del celeberrimo libertino.
Eccezionale, come al solito, l’orchestra della Bayerische Staatsoper, sia musicalmente, sia nella recitazione del finale del primo atto, quando i professori presenti sul palcoscenico si sono esibiti in esercizi tersicorei, tali da oscurare le vezzose, sinuose e provocanti fanciulle presenti con loro sul palcoscenico.
Strepitosi allo stesso modo il coro (diretto da Stellario Fagone), ballerini e figuranti (ebbene, sì, qui hanno anche i figuranti nell’organico del teatro) della Bayerische Staatsoper.
La parte visiva è stata curata dal regista Stephan Kimmig, i costumi da Anja Rabes, le scene da Katja Haβ, le proiezioni video da Benjamin Krieg e le luci da Reinhard Traub.
La drammaturgia dello spettacolo è di Miron Hakenbeck.