Faust in grigio
di Luis Gutierrez
Spiccano le prove eccellenti di Piotr Beczala e Maria Agresta in una produzione teatralmente poco convincente in cui anche il Méphistophéles di Ildar Abdrazakov appare sottotono.
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SALISBURGO, 14 agosto 2016 - Faust è un'opera che ha fatto parte stabilmente del repertorio di teatri come l'Opéra de Paris e il Metropolitan, tuttavia è apparsa per la prima volta quest'anno al Festival di Salisburgo. Suppongo che vi siano diverse ragioni a spiegarlo: non è un titolo "da festival", il libretto è basato sulla prima parte del Faust di Goethe, ragion per cui in Germania e Austria è stato ribattezzato con un certo spregio Gretchen, attorno alla quale la vicenda si sviluppa, e altri motivi che non so immaginare.
Seguendo un altro tipo di ragionamento, direi che le due caratteristiche ricorrenti del Festival di Salisburgo sono il debutto di un'opera contemporanea - o quantomeno di una considerata rara - The Exterminating Angel quest'anno, e la messa in scena non precisamente tradizionale di un'opera del repertorio tradizionale, in questo caso Faust.
Il regista – anche scenografo e costumista – Reinhard von der Thannen ha pubblicato nel programma una descrizione della sua idea che si dilunga per sei pagine. Notandolo mi sono detto “senza alcun dubbio sarà una produzione controversa” e così è stato. Naturalmente ho deciso di non leggere lo scritto di Thannen.
L'azione dell'opera si sviluppa lungo un cerchio temporale che inizia e finisce con la parola Rien; la scena dà l'impressione di essere la coperta di una nave passeggeri, delimitata sul fondo da un'enorme cornice in cui risalta una circonferenza che si espande con un effetto eclisse – ai miei lettori messicani dico che, uando questa immagine a tratti si illumina, è molto simile al logo di un'emittente televisiva che identifico con quanto di più retrogrado ancora esista in Messico.
La scenografia è semplice, le variazioni relativamente ridotte: lo studio di Faust è uno spazio delimitato da fogli di carta circondati da quattro grandi corvi, al che si unisce un grande baule con faretti e specchio come in un camerino teatrale dove Faust si trasforma e Méphistophéles fa ritorno di quando in quando, fra cui una volta per raccogliere i gioielli destinati a Marguerite; la casa della fanciulla è una superficie convessa – dal punto di vista del pubblico – illuminata da una cospicua quantità di faretti. Un elemento d'attrezzeria decisamente notevole è un gigantesco scheletro che scende dall'alto prima del coro dei soldati del quarto atto. Devo dire che il simbolismo di questo scheletro è tanto ovvio da farmi odiare i due intervalli, uno espressamente dedicato all'istallazione di questo immane oggetto, che hanno portato la durata dello spettacolo a quasi quattro ore.
I costumi dei solisti sono quelli tipici di ogni categoria: professore, donzella innocente, suo fratello, il suo innamorato e, naturalmente, il diavolo – cui a un tratto è cresciuta comicamente la coda. Popolo e soldati indossano tute che li fanno somigliare a marionette. Probabilmente questa era la precisa intenzione di Thannen. Il coreografo Giorgio Madia è stato eccezionale nell'evitare scontri fra la moltitudine di coristi assommata a ballerini e mimi. Tuttavia il suo disegno estetico dei movimenti non è stato in assoluto bello, sottolineando come possibile l'idea del regista. Le luci sono parse impeccabili considerata la scelta del grigio e delle sue sfumature come colore base della scena.
Quanto alla partitura, si è tagliata la Nuit de Walpurgis ma si è preservata la seconda aria di Siébel, che non avevo mai ascoltato in teatro.
L'interpretazione musicale è stata assai buona. Piotr Beczala è senza dubbio uno dei tenori più importanti dei nostri tempi e lo ha dimostrato incessantemente in questa recita. Il suo “Salut! Demeure chaste et pure” è stato francamente conmuovente. Ho visto quest'opera con altri cantanti del medesimo livello e posso affermare senza vergogna che Beczala l'ha interpretata come nessun altro.
Colui dal quale si aspettava molto di più è stato Ildar Abdrazakov. Possiede le note e la tecnica ma non la passione maligna per cantare e recitare nei panni di Méphistophéles. Non so se ciò dipendesse dal grigiore della produzione o dall'aver udito pochi istanti prima l'aria di Valentin, ma il fatto è che non ha brillato in “Le veau d’or est toujours debout!” né tantomeno lo ha fatto nel resto dell'opera. Mi è parso come di ascoltare un robot in luogo di Méphistophéles. In effetti mi ha dato l'impressione di riscuotere una fattura impossibile quando reclama l'anima di Faust. Un Méphistophéles più o meno buono è un cattivo Méphistophéles.
Maria Agresta è stata un'eccellente Marguerite conferendo drammaticamente al suo personaggio tutto il carattere dell'innocenza ingannata dai gioielli regalati da Faust, così come il suo amore per il "giovane" e il suo dolore per l'infanticidio. Naturalmente ha fatto questo cantando nel migliore dei modi, segnalandosi nella ballata del Roi de Thule e nell'aria “O Dieu! Que de bijoux!” così come nelle scene della chiesa e della redenzione.
Il mezzosoprano irlandese Tara Erraught ci ha offerto un Siébel tenero e innamorato con la sua voce dolce e sempre intonata. Il baritono Alexey Markov ha cantato “Avant de quitter ces lieux” in maniera formidabile e la sua recitazione, la sua resa vocale nella scena della morte non sono state da meno, il timbro è bello e la sua tecnica impeccabile. Si è posto all'altezza dei personaggi principali.
Marie–Ange Todorovitch e Paolo Rumetz come Marthe e Wagner non hanno sfigurato nel cast.
L'argentino Alejo Pérez ha ottenuto un buon risultato a capo dei Wiener Philharmoniker e del coro Philharmonia di Vienna. Devo dire che l'unica critica si può muovere alle lunghe pause dopo i numeri musicali, pause che non hanno suscitato gli applausi sperati. In Europa la applauso-mania è molto meno virulenta che in America.
Tengo a sottolineare la meravigliosa recitazione del Coro, preparato da Walter Zeh, benché sfruttata in una forma tanto ridicola.
In conclusione, non credo che questo Faust viaggerà per altri teatri, non tnato per la sua concezione quando per il suo grigiore.
foto Monika Ritterhaus
foto Marco Borrelli