Femminilità a confronto
di Giulia Vannoni
A Darmstadt una nuova produzione di Tannhäuser affidata alla bacchetta di Will Humburg e alla regia dell’iraniano Amir Reza Koohestani
DARMSTADT, 14 maggio 2017 – La femmina sensuale capace di accendere il desiderio e la donna angelicata oggetto solo di amore platonico: due poli attorno ai quali ruota una sterminata letteratura e che, nel teatro musicale, hanno trovato in Tannhäuser la loro rappresentazione più esemplare. Se questa dicotomia nella società occidentale potrebbe oggi apparire superata, da quando le donne – almeno teoricamente – hanno conquistato la libertà di comportarsi nei modi a loro più congeniali, in quella mediorientale tocca invece più di un nervo scoperto.
Chiamato a cimentarsi con il capolavoro di Wagner per la sua prima regia operistica, il trentottenne iraniano Amir Reza Koohestani (che in Italia ha ottenuto un grande successo lo scorso anno al Festival di Santarcangelo) ha scelto di fare riferimento alla condizione femminile di un ipotetico oriente mentale, proiettato verso la modernità. Nel nuovo allestimento dello Staatstheater di Darmstadt – città dell’Assia, tra le più significative nella geografia musicale del secondo novecento – si serve di pochi elementi essenziali per mettere a fuoco figure di donne dalle molte sfaccettature, senza fermarsi ai consueti e rigidi stereotipi. Così la sensualissima Venere, nel terzo atto riappare nelle vesti di amante tradita e disperata; Elisabeth, invece, non vagheggia solo platonicamente Tannhäuser ma è una donna che, pur velata e vestita in modo castigato (nasconde però trasgressivi jeans sotto l’ampia tunica), aspira a un amore completo.
Le scene di Mitra Nadjmabaldi e i costumi di Gabriele Rupprecht – d’ispirazione moderna – delineano una cornice spartana, capace di esaltare alcune poetiche intuizioni. Il Venusberg è simboleggiato da un enorme letto con baldacchino, animato da qualche rapido flash di proiezioni cinematografiche; telecamere piazzate fuori scena riprendono l’ingresso dei Minnesänger durante il certame letterario, mentre la Vartburg è una struttura girevole. Ma, soprattutto, a dare consistenza alla lettura registica è il contributo degli interpreti. Unico anello relativamente debole il protagonista, più preoccupato di venire a capo della scrittura da Heldentenor di Tannhäuser che di rendere credibile il personaggio. Nonostante qualche oscillazione e cedimento, va tuttavia dato atto al turco Deniz Yilmaz di essere riuscito ad affrontare il massacrante terzo atto senza gravi cadute. Emergono invece con intensità i profili delle protagoniste femminili: due bravissimi soprani, un lirico e un drammatico, impegnati in un’affascinante dialettica vocale che diventa anche psicologica. L’altoatesina Edith Haller ha disegnato un’appassionata Elisabeth che affida la propria sensualità a un’emissione morbida, capace di mantenersi tale anche quando l’orchestra s’ispessisce. Appartiene alla compagnia stabile del teatro di Darmstadt, invece, Katrin Gerstenberger, cantante che può fregiarsi del prestigioso titolo di Kammersängerin: la sua è una Venere incisiva sul piano vocale e splendida fisicamente (nel primo atto canta con indosso una sola giacca da pigiama e nel terzo è fasciata da un sinuoso abito rosso). Altro interprete di ottime qualità, sempre appartenente alla compagnia del teatro, il non più giovane basso Martin Snell, nei panni di un espressivo Langravio: voce omogenea, compatta e timbratissima. Forse più tenore che baritono il Wolfram di David Pichlmaier, rivale in amore del protagonista, dalla linea di canto però fluida e precisa. Accanto a lui si potevano apprezzare il tenore Minseok Kim, nei panni del personaggio storico di Walther von der Vogelweide, e il basso-baritono Nicolas Legoux in quelli di Biterolf: i due Minnesänger “di contorno” messi ben a fuoco dalla musica. Più defilati gli altri due bardi, Heinrich e Reinmar, rispettivamente i corretti Musa Nkuma e Thomas Mehnert.
Sul podio, Will Humburg ha guidato la Staatsorchester Darmstadt, di cui è direttore musicale, facendo avvertire fin dalla sinfonia l’intreccio dei temi con estrema chiarezza e ponendo grande cura nella ricerca sonora. Anche se la sala dello Staatstheater non è quella di Bayreuth si aveva così la sensazione di suoni avvolgenti, come se provenissero da diversi punti dello spazio scenico (particolarmente suggestivi gli effetti di allontanamento ottenuti con il coro dei pellegrini al ritorno da Roma). Giungendo assai vicino a quelli che erano i desiderata wagneriani.
foto Wolfgang Runkel