L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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serena Gamberoni

L'enigma e l'inganno dell'amore

 di Suzanne Daumann

Un allestimento sfarzoso e visivamente affascinante lascia, però, i cantanti abbandonati all'iniziativa personale: ne emerge la Liù di Serena Gamberoni, non solo per l'emozionante prova d'interprete, ma anche per una resa vocale di classe superiore.

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Leggi la recensione del cast alternativo (Casolla, Leva, malagnini): Genova, Turandot, 17/06/2017

Genova, 21 giugno 2017 - C'era una volta una principessa bella e gelida, che aveva inventato uno stratagemma per non sposarsi: aveva messo alla prova tutti i suoi pretendenti sfidandoli a risolvere tre enigmi, perdendo la testa (loro) invece di guadagnare la mano (di lei) in caso di fallimento. Molti principi erano già morti per la bella Turandot, quando giunse un principe ignoto che s'innamorò a tal punto di lei da riuscire a sciogliere i tre enigmi. E tuttavia la bella si negò. Il principe, allora, le pose a sua volta un arriva un quesito: se prima dell'alba avesse scoperto il suo nome, egli avrebbe posto la sua vita nelle mani di lei. Ora, non avendo scoperto il nome, ella finì per accettare il suo amore invece della sua vita. Così raccontano le prime versioni della fiaba. Con Puccini e i suoi librettisti, noi troviamo inoltre e soprattutto il personaggio di Liù, la giovane schiava che si occupa del vecchio padre del Principe, di cui è sempre stata segretamente innamorata. Il suo sentimento è tale che preferisce affrontare l tortura e la morte piuttosto che rivelarne il nome. È, insomma, una tipica eroina pucciniana, e come quasi tutte le sue protagoniste femminili incontra una fine tragica.

Al Teatro Carlo Felice di Genova, questa vicenda è narrata in una messa in scena sontuosa, storicamente fedele, firmata Giuliano Montaldo. Una sola scenografia per i tre atti: due vie, affiancate da due rampe di scale, alcune colonne, il tutto nei toni del violetto e del bronzo, i gong cinesi, e il luogo dell'azione è definito, una Cina classica e mitica. Aiutata da costumi eloquenti quanto belli, questa produzione è chiara e musicale:  le dinamiche del primo atto, in cui un gruppo di danzatori con la spada sottolinea la drammaticità del contesto e riflette musicalmente l'isteria collettiva per le esecuzioni, sono assai riuscite. Il regista lascia spazio ai cantanti, senza ricerche particolari per estrarre una verità profonda che bisognerebbe tradurre in movimenti scenici o in una recitazione d'attore consumato. Si confida nella musica e negli interpreti. Peccato che questi ultimi non siano sempre all'altezza di tale fiducia. Rudy Park nel ruolo di Calaf, soprattutto, è un po' deludente: dotato di uno strumento ampio e squillante e di una tecnica impeccabile, sembra compiacersi della sua potenza vocale e si direbbe mancare talvolta d'espressione. Norma Fantini è una Turandot altera e crudele come si conviene, benché un poco stridente, soprattutto all'inizio, e caratterizzata da un vibrato che non piace a tutti. Nel finale, risulta convincente anche come attrice. Serena Gamberoni nel ruolo di Liù salva la situazione e con una voce piena, generosa e dolce, la sua intonazione assolutamente perfetta, al contrario degli altri solisti, incarna a meraviglia questa giovane donna silenziosa e piena di amore autentico. L'accoglienza trionfale che le riserva il pubblico è ben meritata.

Un trio di belle voci - Ping, Vincenzo Taormina, Pang, Blagoj Nacoski, Pong, Marcello Nardis - rende gli interventi delle maschere, piuttosto inutili se non disturbanti dal punto di vista drammatico, piuttosto divertenti. Timur era Mihailo Šljivić, il Mandarino Alessio Cacciamani e Altoum Max René Cosotti. L’orchestra del Teatro Carlo Felice, sotto la bacchetta di Alvise Casellati, sfumata ed energica, è splendida, come i cori dello stesso teatro. 

Una serata tutto sommato piacevole, da cui si esce con la testa piena di melodie e di interrogatovi urgenti: e se il finale, questo scontro drammatico in cui Calaf convince infine Turandot ad amarlo, non fosse che uno stupro sublimato? Il suo amore, che si esprime soprattutto con dei "Io la vogio", non è piuttosto che un semplice desiderio sessuale? Quante storie d'amore conosciamo che potrebbero essere riconsiderate da questa prospettiva?  

Ma cos'è l'amore? O forse è Puccini a essere il più misogino fra gli operisti?

foto Marcello Orselli


Mais qu’est-ce que c’est, l’amour? 

 par Suzanne Daumann

Una mise en scène somptueuse, fidèle et historique fait la belle part aux chanteurs: Serena Gamberoni sauve la mise et incarne à la perfection Liù, jeune femme emplie et mue par l’amour véritable.

Gênes, le 21 juin 2017 - Il était une fois une princesse belle et froide qui avait inventé un stratagème pour ne pas se marier: Elle mit tout prétendant au défi de résoudre trois énigmes, autrement il perdrait sa tête (à lui) au lieu de gagner sa main (à elle). Beaucoup de princes étaient déjà mort pour la belle Turandot, quand arriva un prince inconnu qui entomba tellement amoureux qu’il réussit à résoudre les trois énigmes. Pourtant, la belle se refusa. Le prince lui proposa alors à son tour une énigme: si jusqu’au matin elle trouvât son nom, il lui donnerait alors sa vie. Or, n’ayant pas trouvé son nom, elle finit par accepter son amour au lieu de sa vie. Ainsi racontent les premières sources l’histoire. Chez Puccini et ses librettistes, nous rencontrons aussi et surtout le personnage de Liù, une jeune esclave qui s’occupe de son vieux père et qui a toujours aimé en secret le prince. Son amour est tel qu’elle préfère affronter la torture et la mort plutôt que révéler le nom du prince. Elle est une typique héroïne à la Puccini, dont presque toutes les protagonistes féminines trouvent une fin tragique.

Au Teatro Carlo Felice de Gênes, cette histoire nous est contée ce soir dans une mise en scène somptueuse, fidèle et historique, signée Giuliano Montaldo. Une seule scénographie pour les trois actes: deux estrades, flanqués de deux paires d’escaliers, quelques colonnes, le tout dans des tons entre le violet et le bronze, correspondant aux gongs chinois, et le lieu de l’action est défini. Il s’agit d’une Chine classique et mythique. Aidée par des costumes aussi parlants que beaux, cette mise en scène est musicale et évidente: les dynamiques de l’Acte I, où un groupe de danseurs à l’épée souligne le caractère dramatique de la scène qui recrée musicalement l’hystérie collective lors d’une exécution, sont très réussies. Le metteur en scène fait la part belle aux chanteurs: pas de recherche compliquée pour extraire une vérité profonde qu’il faudrait traduire par des mouvements de scène ou un jeu d’acteur poussé. On fait confiance à la musique et ses interprètes. Dommage que ceux-ci ne soient pas tous dignes de cette confiance. Rudy Park dans le rôle de Calaf surtout est un peu décevant. Doué d’une grande voix claire et d’une technique impeccable, il semble plutôt se complaire dans sa puissance vocale et on dirait qu’il manque parfois d’expression. Norma Fantini campe une Turandot hautaine et cruelle à souhait, pourtant elle est quelque peu stridente, surtout au début, et son vibrato n’est pas au goût de tout le monde. C’est dans le final qu’elle est vocalement aussi convaincante que dans son jeu d’acteur. Serena Gamberoni dans le rôle de Liù sauve la mise. Avec une voix pleine, généreuse et douce, et son intonation absolument parfaite, au contrario des autres solistes, elle incarne à la perfection cette jeune femme emplie et mue par l’amour véritable. Son accueil triomphal par le public est bien mérité. Un trio de belles voix - Ping, Vincenzo Taormina, Pang, Blagoj Nacoski, Pong, Marcello Nardis - rend les interventions de ces trois personnages, plutôt inutiles voire dérangeantes d’un point de vue dramaturgique, assez divertissants. L’orchestre du Teatro Carlo Felice, sous la baguette d’Alvise Casellati, nuancé et énergique, est splendide, tout comme les choeurs du mȇme théâtre.

Une soirée bien divertissante somme toute, dont on sort la tȇte pleine de mélodies, et d’interrogations urgentes: et si le final, ce combat dramatique, quand Calaf convainc enfin Turandot de l’aimer, n’était qu’une apologie bien sublimée du viol? Son amour, qui s’exprime surtout par des „Je la veux!“, n’est-il pas plutôt un simple désir sexuel? Combien d’histoires d’amour connaissons-nous qui seraient à reconsidérer sous cet angle?

Mais qu’est-ce que c’est, l’amour? Ou bien est-ce Puccini qui est le plus misogyne de tous les compositeurs d’opéra? 

foto Marcello Orselli


 

 

 
 
 

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