Segreti di Mendelssohn
di Alberto Ponti
Dopo la rassegna Rai NuovaMusica, la stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale riprende con l’esecuzione di Ein Sommernachtstraum
TORINO, 24 febbraio 2017 - Se il vero mistero abita in ciò che risplende al sole sotto gli occhi di tutti, piuttosto che nella profondità indistinta della notte, a conferma dell’assioma non potrebbe esistere rappresentazione musicale più efficace delle musiche di scena che Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) concepì per la commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream (Ein Sommernachtstraum nella traduzione tedesca di Ludwig Tieck utilizzata dal compositore).
A cominciare dalla notissima ouverture op. 21 (scritta a diciassette anni nel 1826), la danza di elfi e fate, capace di ispirare due lustri più tardi una pagina terrificante e demoniaca quale il berlioziano Scherzo della Regina Mab, prende l’avvio da una luminosa e scintillante cavalcata di violini e viole, presto destinata a espandersi in tutta l’orchestra con ispirazione miracolosa, in un equilibrio perfetto tra il volo poetico dell’emozione e le ragioni costruttive della forma. Anche nei restanti brani, risalenti al 1842, senza tuttavia far avvertire alcuna cesura stilistica per il tempo trascorso, emerge una leggerezza della strumentazione che non disdegna a tratti una nervosa eleganza, venata di sottile inquietudine. Come in tutti i grandi, anche in Mendelssohn non vi è nulla di didascalico: sulla fonte shakespeariana si innesta una musica di sostanza e valore assoluti, del tutto autonoma al di fuori della scena.
La lettura di Christian Arming direttore austriaco attualmente a capo dell’Orchestre Philarmonique Royal di Liegi, è scattante e vigorosa, sfiorando talvolta una certa ruvidezza, evidente nei passaggi dei violoncelli nello Scherzo o nella parte centrale del sublime Notturno introdotto dai richiami del corno.
Ai musicisti della Rai erano affiancati il coro Maghini di Torino guidato con somma perizia da Claudio Chiavazza e i soprani Bernarda Bobro e Karin Selva, chiamate a intervenire nel Lied con coro e nel Finale. Tra gli squilli della Marcia nuziale e gli accenti marcati dell’Intermezzo e della Danza dei rustici si fa ancora strada, come ombra misteriosa in un’assolata piazza di De Chirico, una malinconia sottile e inconfessabile, ad aumentare lo struggimento per un eden nascosto e primigenio, un altrove presente al confine fra sogno e realtà ma destinato a svanire allo sguardo con il guizzo di un folletto dispettoso, che la partitura sembra segretamente evocare da capo a fine.
Gli applausi entusiasti e prolungati dell’auditorium ‘Toscanini’ sono il coronamento di un concerto, interamente mendelssohniano, che aveva rivelato in precedenza due pagine sacre, poco note in Italia, del compositore tedesco. L’antifona corale Verleih’ uns Frieden (1831) e l’inno Hör mein Bitten, Herr (1844/47) esaltano la compattezza del coro Maghini in una scrittura che, all’interno di una sensibilità già romantica, mostra la filiazione dalla grande produzione bachiana, della cui rinascita ottocentesca Mendelssohn fu uno dei principali paladini.
In apertura si di serata si è anche potuta apprezzare la cantata Meine Seele ist Stille (1831) per soli (oltre alla Bobro ha partecipato anche il mezzosoprano Anna Lucia Nardi), coro e orchestra della sorella maggiore di Felix, Fanny (1805-1847). Compositrice dotata di grande talento e tecnicamente in nulla inferiore ai più celebrati autori suoi contemporanei (come rivela la raffinatissima orchestrazione del pezzo), ebbe la duplice sfortuna di nascere in un’epoca in cui, con l’ovvia eccezione delle cantanti, alle donne in musica erano concessi spazi assai ristretti, oltre di non poter competere, nell’inevitabile confronto, con il genio universale del fratello.