Liberté, Égalité, Fraternité
di Stefano Ceccarelli
L’atteso ritorno di Myung-Whun Chung all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è sotto l’egida dell’immortale bellezza della musica di Ludwig van Beethoven: la Leonore, Ouverture n. 2 in do maggiore op. 72a, la Fantasia in do minore per pianoforte, coro e orchestra op. 80 (con Andrea Lucchesini al pianoforte) e la Sinfonia n. 3 “Eroica” in mi bemolle maggiore op. 55. Il concerto, che ha nel leitmotiv della lotta all’oppressione e del trionfo della libertà il suo intimo fil rouge, è occasione per una raccolta fondi dell’UNICEF, di cui Chung è ambasciatore internazionale.
ROMA, 9 marzo 2017 – Ogni volta che Myung-Whun Chung torna in Accademia è sempre una festa: i complessi, come pure gli spettatori abituali ricordano con piacere gli anni in cui era a capo della maggiore orchestra italiana. In questo caso, il concerto è doppiamente felice: una raccolta fondi per l’UNICEF ci rammenta l’indefesso impegno sociale di ambasciatore internazionale di Chung, che propone un concerto tutto beethoveniano, che vede l’Eroica come maggiore attrattiva.
Chung, con la sua orientale compostezza, la grandissima concentrazione, incede e sale sul podio per attaccare il Leonore II (in realtà la prima delle ouverture del Fidelio, quella della première del 1805). Chung legge una ouverture sì scolpita, ma moderatamente: grande è l’attenzione al particolare timbrico. Tiene l’orchestra – filologicamente – a un volume contenuto, persino nello scoppio finale di deflagrante gioia per la riconquistata libertà: tutto è volto alla ricerca di un suono perfetto, di un’indimenticabile sfumatura (soprattutto nella prima sezione). Quindi, almeno in alcuni passaggi, Chung m’è quasi parso mancare di verve, di slancio: in realtà, probabilmente, ricercava proprio la chiave per rendere agogicamente il senso di liberazione dalla melmosa angoscia della prigionia. (Detto in inciso: peccato la stonatura dell’icastica tromba retroscenica). Erano ben ventidue anni che la Leonore II non risuonava nei concerti dell’Accademia (nel 1995 fu Thielemann a portarla in programma): trionfale fa il suo degno ritorno, riscattando l’insuccesso con cui fu accolta (assieme al Fidelio intero) alla sua prima esecuzione, insuccesso che Schumann, e noi con lui, benediceva: «sien grazia a voi, o Viennesi del 1805, ché non vi piacque la prima e così Beethoven in un accesso di rabbia divina ne creò una dopo l’altra ancora tre!».
Già nel 2002 – al pianoforte nientemeno che Maurizio Pollini – Chung aveva diretto la Fantasia corale in apertura dell’allora stagione concertistica. Questa volta è Andrea Lucchesini che suona (l’ha già qui eseguita sette anni fa con Järvi), offrendoci una pregevole esecuzione della rapsodica brillantezza della Fantasia, una di quelle rare opere beethoveniane «che non reca i segni di una imperiosa volontà» (G. Pestelli, dal programma di sala). La direzione di Chung è magnifica – qui sentiamo palpabili gli slanci prima carenti nella Leonore II –, ottima l’interazione fra Lucchesini e orchestra – un Lucchesini che piace per pulizia e precisione, rendendo bene gli «spumeggianti trilli» (Pestelli) –, stupenda la performance del coro finale (peccato per le voci soliste, scelte fra le fila del coro, che a tratti lasciano a desiderare), che ci offre appieno la «casta sonorità corale» (Pestelli) inneggiante a una serena concordia, tipicamente illuministica.
Il secondo tempo è interamente dedicato all’Eroica, la sinfonia della rottura dei «legami con la tradizione haydn-mozartiana», una sinfonia che parla «un discorso alla nazione e all’umanità, messaggio idealmente rivolto ad un pubblico universale in un grandioso abbraccio di edificazione ecumenica» (P. Gallarati, sempre dal ricco programma di sala). L’Accademia di Santa Cecilia può definirsi un tempio della Terza: ivi l’hanno eseguita, nel corso del tempo, Toscanini, Mahler, Mascagni, Busoni, Furtwängler, Klemperer, Votto, Kubelick, Swarowsky, Sawallisch, Bernstein, Gergiev, Prêtre, Pappano. Lo stesso Chung la diresse nel 1999, nel 2000 e nel 2002. Conosce, dunque, perfettamente la partitura, che spagina minutamente, tornando alle attenzioni timbriche profuse nella Leonore II. Dell’Allegro con brio (I) Chung ci fa apprezzare l’attenta tornitura delle frasi, affondando quasi sugli accordi ‘di stasi’, tipicamente beethoveniani, che servono per ingenerare altra tensione ritmica. Lo sviluppo e la conclusione esaltano molto il sentimento epico che informa l’intera sinfonia, che nel finale realizzerà quell’afflato alla libertà che è il tema portante dell’intero concerto. L’orchestra, straordinaria, segue Chung nel suo ragionamento agogico e timbrico. La Marcia funebre (II) è scolpita come un bassorilievo neoclassico, non mancando però di far emergere l’atavico, quasi primordiale, palpitare degli archi bassi che evocano i mortiferi pensieri dell’eroe; belli i contrasti timbrici che Chung esalta quando la partitura si apre a estasi contemplative, che alla fine permetteranno il superamento del pensiero della morte. Fulmineo, vivace, potente lo Scherzo (III). Un vero coup de théâtre l’ironica, aerea apertura del Finale (IV), degna ouverture della neoclassica bellezza del tema de Le creature di Prometeo, cui Chung fa seguire una stupenda esecuzione delle variazioni, «una fantasmagoria di soluzioni diverse» (Gallarati).
Calorosi applausi attestano il sommo gradimento del pubblico per questo concerto che vede l’esecuzione di composizioni dell’inizio del ‘secondo stile’ di Beethoven, accuratamente scelte da Chung per il loro valore eminentemente anti-tirannico, volto alla ricerca della libertà, alla pace universale e alla realizzazione dei più puri ideali illuministici: che appartengono, oggi, al suo ruolo di ambasciatore UNICEF.