Argentini turbamenti
di Alberto Ponti
L'enfant terrible Emmanuel Ceysson rivela la bellezza misteriosa dell'arpa
TORINO, 10 marzo 2017 - Senti la parola arpa e pensi ad atmosfere delicate, morbidi arpeggi, sensuali cascate di note. Nulla di tutto questo invece racchiude il Concerto op. 25, pagina inquietante ed enigmatica che Alberto Ginastera (1916-1983), compositore argentino tra i più significativi della sua generazione, scrisse per lo strumento nel 1956. Una tensione tagliente e continua impronta tutto l'Allegro giusto iniziale, dal deciso ritmo ternario oscillante tra 3/4 e 6/8, per trovare una calma surreale verso la fine del movimento, preludio all'esteso e drammatico Molto moderato, di spettrale asciuttezza, degno di essere annoverato per profondità di espressione tra i vertici del Novecento latinoamericano, con esiti ben superiori a tutti i tempi lenti dei più celebrati Chávez o Villa-Lobos. L'unica concessione al colore si trova nel Liberamente capriccioso – Vivace che conclude l'opera con gesto rapinoso. Il brano ha trovato un solista di eccezione, giovedì 9 e venerdì 10 marzo, in Emmanuel Ceysson. Nato nel 1984, il musicista francese può già vantare un curriculum impressionante che lo ha portato a tenere concerti in tutte le più importanti sale del mondo, nonché a ricoprire attualmente il ruolo di prima arpa al Metropolitan Opera House di New York, dopo la precedente esperienza all'Opéra parigina. Un suono capace di evocare tutte le sfumature della gamma dinamica, con limpidezza e controllo esemplari, dai pianissimo più striscianti ad esplosioni quasi incontenibili, non disgiunto da una bellezza che ha un qualcosa di fisico nel suo trasmettersi dalle dita di Ceysson allo sguardo rapito dei presenti, caratterizza un'esecuzione di assoluto riferimento anche per la superba prestazione del direttore giapponese Eiji Oue, uno dei più interessanti che abbiamo avuto modo di ascoltare all'auditorium Toscanini in questa stagione. Gli studi con Leonard Bernstein, di cui è stata eseguita in apertura la scintillante ouverture da Candide (1956), hanno lasciato traccia in un gesto fortemente comunicativo, di un'esuberanza trascinante ma mai gratuita. Ogni sezione dell'Orchestra Rai viene valorizzata con il giusto rilievo, all'interno di una lettura che non perde mai, soprattutto nel concerto di Ginastera, il senso unitario della composizione. Il nutrito gruppo delle percussioni assurge così in primo piano con una chiarezza e trasparenza di rara efficacia, allo stesso modo degli archi, chiamati ad essere unici protagonisti nel magnifico poema Verklärte Nacht op. 4 (1899) di Arnold Schoenberg (1874-1951). Il lavoro di scavo di Oue all'interno della densissima partitura si fa sentire fin dall'esordio, con il suo tema sognante, quasi irreale, che varia senza soluzione di continuità fra timbri contigui pur rimanendo sempre se stesso, in una concertazione di mirabile eleganza, in grado di rendere giustizia a un capolavoro affrontato da troppi direttori con piglio disordinato, come se la materia incandescente che lo permea dalla prima all'ultima nota richiedesse una guida sommaria e farraginosa. La trascrizione dello stesso Schoenberg per orchestra d'archi amplifica gli echi brahmsiani e wagneriani dell'originario sestetto, destinato a chiudere, e non solo per motivi anagrafici, quell'Ottocento romantico apertosi tre quarti secoli di secolo prima con il meraviglioso ottetto di Mendelssohn. Da Berlioz a Wagner, il secolo musicale per eccellenza vede crescere gli organici a dismisura ma ha l'alfa e l'omega tra le sonorità materne di violini, viole e violoncelli. Dopo prenderà avvio l'incredibile parabola del Novecento musicale, aperto dalla sublime illusione di un Richard Strauss che col fragore di Salome ed Elektra (e un dispiegamento di mezzi orchestrali inaudito) arriverà ad un passo dall'abbattere le ultime barriere tonali, salvo tirarsi subito indietro dopo aver realizzato (almeno così ci piace pensare) che il compito non poteva che spettare all'autore di Verklärte Nacht.
La seconda serie di frammenti sinfonici dal balletto Daphnis et Chloé (1913) di Maurice Ravel (1875-1937) eseguita al termine della serata vede l'orchestra tornare a dimensioni ragguardevoli. Anche in questo caso il maestro giapponese esalta la qualità di tutte le singole voci: le sonorità liquide dei legni nel Lever du jour raggiungono livelli di vero edonismo, e il loro palpitare tranquillo si tramuta poco a poco nell'orgia trascinante della Danse générale con una naturalezza tanto più stupefacente quanto più tremenda si fa la difficoltà della scrittura raveliana, che esige solo interpreti di prim'ordine.
Un successo entusiasta arride a tutti i pezzi del programma, compresi i due bis di Ceysson (la Sonata in fa minore K 466 di Domenico Scarlatti e Les Barricades Mystèrieuses di Couperin) in un concerto di alto livello quale, al di fuori di Torino, sarebbe concepibile solo in una grande capitale.