Le dolci Goldberg
di Stefano Ceccarelli
Ottimo concerto di Beatrice Rana, che interpreta le sue amate Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach con quel tocco di dolcezza che è la sua firma autentica. Profonda, tecnicamente ineccepibile, la Rana si isola, quasi, in una dimensione introspettiva che tenta di sondare nel più profondo i segreti della musica di Bach.
ROMA, 15 marzo 2017 – Quando a far bene è l’eccellenza italiana, ne siamo tutti più contenti: Beatrice Rana è – lei e, speriamo, altri certo – il futuro del pianoforte in Italia, ad altissimi livelli. Dopo il suo debutto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia circa due anni fa (il Primo di Čajkovskij), la Rana torna ora con un suo cavallo di battaglia, se così si possono, in effetti, definire le Variazioni Goldberg BWV 988, che fanno tremar le vene e i polsi di qualunque interprete coscienzioso. Così è anche per Beatrice Rana, che pur le ha incise (recentissimamente uscite – febbraio 2017 – per la Warner) e che le porta ora in concerto, qui in Accademia e altrove. Molto interessante, per comprendere il Bach della Rana, le note dell’intervista di A. Penna inserita nel programma di sala: Beatrice ci parla di problemi tecnici, timbrici, esecutivi, di buon gusto interpretativo, della difficoltà di suonare per così lungo tempo senza soluzione di continuità. Stupisce la chiarezza e la competenza delle risposte, soprattutto per una ragazza così giovane.
Nella più raccolta sala Sinopoli, certo maggiormente adatta a accogliere un programma come questo, per quasi un’ora e mezza una ragazza di soli ventiquattr’anni, concentratissima, evidentemente tesa (specialmente all’inizio), crea una magia. Silenzio sacro di fronte alla musica di Bach, resa con un calore inconsueto, con una dolcezza quasi ignota alle austere esecuzioni delle Goldberg. Di sperimentalismi interpretativi su Bach se ne sono fatti molti: Rana, mentre legge lo spartito, pare quasi raccontarci delle pagine del suo diario segreto, si mette in certo senso a nudo, la sua anima è a nudo, al servizio della musica di Bach. L’Aria, infatti, brilla di naturalezza, pulizia, riflessività, pacatezza, di un timbro caldissimo, quasi sentimentale, come raramente si ascolta nelle Goldberg. Un uso pacatissimo della pedaliera, prontezza d’esecuzione virtuosistica, sgranatura dei cromatismi e degli abbellimenti: queste le doti precipue della Rana. La disinvoltura nelle agilità la vediamo già operante nella Variatio I, ma si fa certo più ardua nelle variazioni del secondo gruppo (per esempio la XVII, XX, la XXVIII). Il senso profondo della musicalità bachiana prorompe in diverse delle sue esecuzioni: a me sono rimaste impresse l’incantevole Variatio III, la delicata VII, l’elaborata, ampia e pomposa XVI(Ouverture). Per far capire la sua perizia tecnica, basti qui notare la fluidità e al contempo la precisione della Variatio X (Fughetta), soprattutto dei suoi gruppetti e trilli. La Rana sa essere anche estremamente introspettiva e intensa, come nella celebre ‘perla nera’ (R. Tureck), la Variatio XXV, quasi un’anticipazione di nuance prettamente romantiche. E dopo trenta variazioni si arriva alla ripetizione dell’Aria da capo: dopo un viaggio in tutte le possibilità espressive dell’allora clavicembalo a due tastiere, la Rana appare eterea, certo diversa da come ha incominciato, quasi più consapevole e più profonda: nuova, in una parola. I tanti applausi, Beatrice Rana ci mette più di un attimo per goderseli appieno: il volto è ancora contratto per lo sforzo fisico e mentale, puramente tecnico ed anche psicologico/interpretativo. Ma poi ci regala un bellissimo sorriso.