Cristallo di rocca
di Roberta Pedrotti
Elisa Tomellini esordisce a Bologna con un recital composito che ben ne esprime la personalità artistica sfaccettata, solida e concreta quanto brillante e originale.
BOLOGNA, 22 giugno 2017 - Scarlatti, poi Chopin e Liszt, poi Rachmaninov, infine Gershwin e Piazzolla. Un programma così variegato, quasi una sintesi a mo’ di Bignami di tre secoli di musica per tastiera, può lasciare sulla carta un po’ disorientati e far presagire le insidie di un eclettismo ammiccante, buono per tutte le stagioni. Invece c’è sostanza, la sostanza di un’esperienza concreta, stratificata, che si rispecchia dal barocco all’Ottocento salottiero o concertistico, borghese o virtuoso, dall’apoteosi del pianismo russo agli aromi del jazz e del tango. Ogni pezzo in programma pare una diversa prospettiva, un diverso punto di luce per osservare quella singolarissima formazione cristallina che è l’arte di Elisa Tomellini.
Ben lungi dall’apparire come un’esplosione di forza monolitica, essa è tuttavia materica, fisica, tridimensionale; il frutto concreto di un percorso che, da una prima fase di studi e concerti già lanciata fra i più promettenti giovani talenti della sua generazione, si sospende clamorosamente per dodici anni, dedicati soprattutto a viaggi e alla passione per l’alpinismo. Tornare al piano, poi, è come ripartire da zero, ma nel terreno solido e fertile delle prime esperienze, rinnovato nell’arricchimento personale del rapporto con la natura, dell’incontro con uomini e culture. Lo si avverte nell’assoluta serenità, e nel contempo nel controllo concentratissimo, con cui affronta ogni pagina. Sia che si tratti del procedere adamantino delle sonate di Scarlatti (segnatamente la K 54 e la K 141), sia ancora di variare con agilissima fantasia Libertango di Piazzolla (per non parlare, nei bis, di Maria de Buenos Aires), emerge la quieta saggezza di una visione musicale pur brillante e originale, cangiante secondo le peculiarità di ogni pezzo ma sempre riconoscibilissima, preziosa quando permette di apprezzare le opere dell’argentino (in particolare dei rarissimi 3 Préludes pour Piano, senza dimenticare anche Adiòs Nonino e Obliviòn) o i Preludi di Gershwin non solo con la giusta elasticità ritmica, ma anche con la classe autentica della grande concertista, rara da godere in pezzi come questi.
Mobile e iridescente come un ruscello scorre lo Chopin della Berceuse in re bemolle maggiore op. 57 e della Fantaisie-Impromptu in do diesis minore op. 66. La parete di sesto grado del Grand étude de Paganini n. 6 in La minore S 140 “Tema e variazioni” di Liszt è la cartina di tornasole di una tecnica immacolata; percorso con la debita attenzione e la giusta sensibilità, anche un pezzo considerato quasi scolastico come lo Studio da Concerto n. 2 in fa minore S 144 “La leggierezza” dello stesso ungherese può essere un sentiero dagli scorci insospettati e suggestivi. E questa “Leggierezza” che dà il titolo al concerto è l’emblema, solo apparentemente paradossale, della sostanza materica del pianismo di Elisa Tomellini, un pianismo in cui si sono depositate e stratificate esperienze che la vita e la musica liberano nelle loro forme e consistenze rivelando vene e gemme di cristallo purissimo, lo stesso che scintilla in questo suo fraseggio così singolare, frastagliato, tattile e schietto, luminoso, pacifico e indomito allo stesso tempo. Forse proprio coerentemente con questa eloquenza sostanziata di composito equilibrio, Elisa tende a suonare il suo programma tutto d’un fiato, fermandosi fra un brano e l’altro solo quando gli applausi riescono a interromperla. E, alla fine, lei li ripaga tutti, sorridente, con due bis: oltre al Piazzolla già citato, l’amato Rachmaninov dei Momenti musicali, a riprendere il filo dei due pezzi (Elégie dai Morceaux de Fantasie op. 3 e Presto dagli stessi Momenti Musicali op. 16) che avevano chiuso, splendidamente, la prima parte del concerto.
La medaglia d’oro offerta dalla Fondazione Forense Bolognese suggella la serata con il miglior auspicio per la prossima impresa di Elisa Tomellini: un concerto sul Monte Rosa, a 4.600 metri, per raccogliere fondi per una casa famiglia in Nepal. In confronto la brezza benevola del cortile dell’Archiginnasio non è nulla.
foto Veronica Fornasari