Fauve e Naïf
di Roberta Pedrotti
Il terzo appuntamento del festival Pianofortissimo vede protagonista Daniel Petrica Ciobanu, giovane dall'estro esuberante nei suoi contrasti e negli effetti, ma ancora in difficoltà nel gestire l'impegno del recital.
BOLOGNA, 27 giugno 2017 - Secondo classificato al concorso Rubinstein di Tel Aviv, dal quale è uscito con un cospicuo bottino di concerti e premi collaterali, Daniel Petrica Ciobanu approda a Bologna annunciato da un curriculum di tutto rispetto per i suoi 25 anni. Esile come un filo d’erba, s’incurva nervoso sulla tastiera, mormora la melodia mentre il volto l’accompagna in sussulti: è subito un personaggio, singolare e inquieto a vedersi così come lo è all’ascolto, non un pianista concentrato su colori, dinamiche, ampie arcate di fraseggio, bensì estremo, irregolare, affascinato dai contrasti. Ciobanu non sembra spaventato all’idea di portarli alle estreme conseguenze, anzi, avanza imperterrito a ogni costo da un Andante spianato dinoccolato e disorientante a una Grande Polonaise brillante in cui il tema è enunciato in modo anche perentorio per poi destrutturarsi e infrangersi con intenti anche interessanti ma esiti al limite della confusione. Poco dopo, passando da Chopin a Beethoven, intuisce alcune sottolineature ritmiche, alcuni rubati originali nell’Appassionata, ma con il procedere dei tre movimenti sembra perder di vista l’obbiettivo e la quadratura generale lanciandosi in una frenetica cavalcata di grande effetto ma sostanza musicale molto minore.
Certo, a Ciobanu la velocità deve piacere, e molto, se sceglie di aprire la seconda parte con il Baccanale di Constantin Silvestri, una manciata di minuti in cui le dita devono rincorrersi sulla tastiera senza curarsi troppo dell’esotismo e dell’erotismo che il titolo prometterebbe. Le aspettative, però, si concentrano sui Quadri di un’esposizione di Musorgskij, pezzo evidentemente assai caro al pianista che già l’aveva proposto nella prima stesura del programma, sentendosi rispondere (giustamente) che già l'aveva inserito Georgy Tchaidze per il concerto inaugurale [leggi la recensione] e in una rassegna di sei serate nell’arco di quindici giorni i doppioni sarebbero stati il più possibile da evitare. L’ammassarsi imprevisto di impegni intorno al concorso Rubinstein avrebbe reso però impossibile preparare i pezzi poi concordati e annunciati di Medtner e Prokof’ev ed ecco, quindi, che il Musorgskij messo alla porta rientra dalla finestra, obtorto collo. Trovandosi, per temperamento e stile, agli antipodi Ciobanu e Tchaidze, in realtà, il confronto ravvicinato non spiace, anzi, si rivela particolarmente eloquente.
Quelli che ascoltiamo stasera sono Quadri fauve, a tinte accese, violente, dalle pennellate rapide e vigorose che non temono di uscire dai margini, ché il disegno pare più una traccia che una priorità. Lo Gnomus è talmente irruente ed enfatico da non evitare qualche inciampo, mentre Il vecchio castello si rifugia in una prudenza un po’ meccanica, le Tuileries evaporano di fronte a un Bydlo dall’incedere particolarmente greve, i pulcini nel guscio han più fretta che ironia e brillantezza, il dialogo fra Samuel Goldenberg e Schmuyle inizia con appropriati contrasti fra sinistra insensibilità e supplica querimoniosa ma ancora una volta finisce per annacquarsi, mentre La grande notizia procede con incedere leggero e sbilenco nel mercato di Limoges e le Catacombe appaiono più luminose, quasi sormontate da alte e ampie campate, di quanto avremmo supposto. In quest’estrosa, spasmodica ricerca del contrasto, dell’effetto, dell’eccesso anche le zampe di gallina su cui poggia la capanna della Baba Yaga sembrano barcollare in un moto troppo irregolare, prima che La grande porta di Kiev appaia, più pedante che maestosa. Se non fosse per l’energia, la partecipazione, quella dose di talento genialoide che Ciobanu esprime qua e là dando una sua singolare vitalità a quest'esposizione fauve, avremmo ben ragione d’esser perplessi, ma in realtà quel che fa pensare non son tanto gli inciampi del pianista che si lascia travolgere dalla sua stessa irruenza, è piuttosto il fatto che, da qualunque lato lo si consideri, non abbia saputo ben considerare e amministrare l’impegno di un recital. Non solo abbiamo visto il programma completamente rivoluzionato rispetto al primo annuncio (pazienza, avrà poca esperienza e non sarà riuscito a gestire la preparazione con il sopraggiungere di altri impegni), non solo abbiamo visto il repertorio e la serata sensibilmente ridotti, ma addirittura, rispetto alle correzioni comunicate dallo stesso direttore artistico Alberto Spano in apertura, ha estemporaneamente deciso di cassare l’ultimo pezzo in programma (Soirée de Vienne di Alfred Grünfeld dal Pipistrello di Strauss) sostituendolo motu proprio con un bis. Sicuramente Tom & Jerry Show di Hiromi Uehara può essere un pezzo simpatico e calza benissimo, con il suo incedere buffo e scattante, al suo estro, ma il modo in cui l’ha presentato al pubblico, concludendo la serata anzitempo e piuttosto bruscamente, non si può dire abbia trasmesso la migliore delle impressioni.
Forse travolto anzitempo dai successi e dall’impegno, Daniel Petrica Ciobanu potrà far tesoro delle esperienze per meglio mettere a frutto estro e talento costruendo con più efficacia i suoi recital. Glielo auguriamo di cuore.
foto Veronica Fornasari