L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Michele Mariotti

Le radici e la nostalgia

 di Roberta Pedrotti

La stagione sinfonica del Teatro Comunale si chiude felicemente con Michele Mariotti sul podio per Schubert e Bartók.

BOLOGNA, 30 novembre 2017 - Il Concerto per orchestra di Bela Bartók non si ascolta spesso dal vivo. In primo luogo perché è un pezzo assai impegnativo, ma è difficile non supporre che, fino a pochi anni fa, contribuisse alla reticenza nella programmazione la tutela ancora vigente dei diritti d'autore, che faceva lievitare i costi per le istituzioni: insomma, se ci si doveva sobbarcare l'impegno di un pezzo complesso e insidioso, tanto valeva pescare fra autori più noti al grande pubblico, più frequentati dagli interpreti, e morti da più di settant'anni.

È inevitabile che l'attenzione si accenda nel leggere la locandina del concerto e si appaghi soddisfatta nel constatare che l'Orchestra del Comunale di Bologna è pronta a chiudere senza cedimenti la stagione sinfonica 2017. Concentrati, motivati, i professori non si mostrano intimoriti dal sottile gioco d'incastri della partitura di Bartók, che apparentemente riordina in raffinata forma neoclassica i materiali slavi primordiali cui ha dedicato una vita intera, ma in realtà li fa riemergere rinnovati con guizzi d'ironia e vitalità indomita. Michele Mariotti si trova ben a suo agio in questa scrittura, di cui gestisce con sicurezza gli equilibri formali, ritmici e melodici, fra l'astrazione della forma e la pulsazione delle radici più profonde. Nondimeno, nella prima parte del concerto, aveva ribadito la sua affinità con Schubert, conferendo alla sua Sesta Sinfonia, la Piccola, la giusta mobilità di fraseggio – fra giochi d'eco, dinamiche, botta e risposta – e di colore, senza strattonare avanti o indietro nel tempo lo spirito di questo primo Ottocento. Se in Bartók il suono dell'orchestra deve farsi agile e analitico, qui si ammorbidisce in una dolce leggerezza, duttile e cantabile. Respira l'afflato nostalgico, la Sehnsucht, che Bartók poi filtrerà attraverso una nuova sensibilità novecentesca e in entrambi i casi tutto si consuma in una misura che, forse, non scatenerà il boato istintivo ed epidermico degli applausi, ma è ripagato da prolungati, convinti e meritati consensi.

Appuntamento, allora, alla nuova stagione. Con rinnovata fiducia.


 

 

 
 
 

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