L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Riccardo Fassi, Hasmik Torosyan, Raffaella Lupinacci

Mozart in purezza

 di Antonino Trotta

Grandi apprezzamenti per l’ultima recita de Le Nozze di Figaro al Teatro Filarmonico di Verona. Nella ripresa dell’allestimento napoletano di Mario Martone, la brillante concertazione di Sesto Quatrini e la freschezza del cast vocale consacrano al successo il capolavoro mozartiano. Spiccano su tutti Riccardo Fassi e Hasmik Torosyan.

Verona, 8 Aprile 2018 – Nelle vorticose elucubrazioni che oggi più che mai avvolgono il cosiddetto “teatro di regia”, Mozart è tra gli autori maggiormente vittimizzato dal genio aguzzino di alcuni registi che sembrano guardare di cattivo occhio la spontaneità del linguaggio mozartiano (ricordo con orrore, ad esempio, un allestimento del Flauto magico in cui la Regina della notte appare e scompare da un frigorifero). In Italia, dove il teatro di tradizione è saldamente radicato nel gusto degli appassionati (sorvolando sulle implicazioni del paradigma “di tradizione”), si ha la fortuna di assistere a spettacolo più fedeli a quanto originariamente concepito dal compositore. Esempio di questo aderenza è la produzione delle Nozze di Figaro firmata da Mario Martone e in scena al Teatro Filarmonico di Verona.

Lo spettacolo di Martone, ripreso da Raffaele Di Florio e dettagliatamente descritto nella recensione del primo cast [leggi], propone la macchina scenica mozartiana in tutta la sua lineare praticità. Pochi elementi decorativi richiamanti le ambientazioni di libretto; costumi d’epoca dal colori tenui; nel semplice apparato scenografico il rapporto dialogico che Mozart instaura con l’ascoltatore assume una posizione centrale nello scioglimento dell’intreccio drammatico e a esso si affida tutta la responsabilità dell’opera.

Alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona, Sesto Quatrini sfoglia le pagine del testo mozartiano con estrema perizia e intavola un’esecuzione che predilige tempi esuberanti e brillantezza nei vividi colori, come espresso subito dall’ouverture, ma è altresì attenta tanto all’equilibrio buca-palcoscenico quanto alle necessità dei solisti, diligentemente seguiti durante ogni intervento. Punto di forza dell’intera concertazione è l’enfasi con cui Quatrini demarca l’accentazione degli innesti strumentali, intessendo spesso nel manto orchestrale un controcanto che per freschezza e arguzia suona come nuovo anche a orecchie rodate. Ammirevole la leggiadria dell’Orchestra, rotonda nel suono, reattiva alla modellazione plastica del giovane direttore romano, costantemente alle prese con le contrastanti pulsioni annidate nella partitura. Distensioni ritmiche e variegature dinamiche restituiscono immediatezza all’efficace linguaggio musicale, ulteriormente impreziosito nei recitativi dai raffinati inserti clavicembalistici del maestro Maria Cristina Orsolato. Meritevole di apprezzamento è anche la scelta di eseguire l’opera nella sua integrità.

Nel ruolo del titolo Riccardo Fassi porta a casa gli applausi più entusiasti della serata. Il basso milanese non si limita a confermare le ottime impressioni della Norma genovese [leggi] ma supera ogni aspettativa con una lettura del personaggio accurata su ogni fronte. Sul piano vocale si apprezzano la bellezza del granitico timbro, la robustezza della voluminosa emissione, la limpidezza del fraseggio e l’incisività degli accenti, sempre equilibrati e coerenti al momento drammaturgico. Il tutto coadiuvato da una vivacità scenica che ben si piega ai giochi e alle dinamiche della commedia. Il personaggio che nella sua interezza ne consegue monopolizza la scena e meritatamente guadagna la devozione del pubblico in sala.

Alla bonomia del protagonista si contrappone Christian Senn che invece tratteggia un conte protervo e calcolatore. La possente vocalità del baritono cileno sostiene il marcato tratteggio dell’antieroe mozartiano con buona efficacia di fraseggio ma mostra smottamenti nell’emissione che appare poco appoggiata negli estremi inferiori.

Alle donne, principale motore della macchina teatrale mozartiana, va riservata calorosa ammirazione per la genuinità con cui le intime inflessioni dell’universo femmineo sono affrescate in quest’opera dalle tonalità squisitamente rosa. Con Hasmik Torosyan, Susanna guadagna sfumature di incredibile bellezza. Il soprano armeno coglie l’essenza della sfaccettata promessa sposa e dà vita a un personaggio che nelle sue svariate declinazioni è garante di un’invidiabile resa scenica e vocale. La sua Susanna non si risolve esclusivamente nell’amenità del timbro, che pur giova, ad esempio, alla seducente voluttà che copiosa trasuda dall’aria del quarto atto, ma fa del dovizioso legato, della malleabilità dell’emissione (pregna di smorzature), della precisione nell’intrigante linea di canto e della perentorietà nei recitativi una combinazione vincente nella decodifica di una figura dai lineamenti di una maliziosa silfide. Lodevole anche la pronuncia italiana.

Nel gineceo mozartiano la Contessa di Almaviva rifrange luce e proietta ombre. E delle donne incarna la più materna e pura delle qualità, il senso del sacrificio. Sacrificio – in questo caso – vissuto come una condanna alla quale la contessa di Francesca Sassu sottostà inerme e offesa. Statica nella sua aristocratica avvenenza, la nobildonna spagnola si concede poche tregue e la resa vocale della complessa parte manca di quella stessa aristocrazia che invece è preponderante sulla scena. Non ci sono sfumature nella tessitura acuta e gli attacchi sono spesso poco puliti, in particolar modo nella prima aria.

Sebbene vesta – almeno all’inizio – abiti maschili, Raffaella Lupinacci non dismette la fascinosa veste femminile nel drappeggio del sensuale paggio. Una sensualità che si rifletta nella voce squisitamente timbrata, luminosa in acuto e corposa nella tessitura bassa. Delicatissima nel celebre «Voi che sapete» del secondo atto, dove rotonde torniture vocali contribuiscono a un’esecuzione morbida, nell’aria di sortita Raffaella Lupinacci dà prova di un’ottima preparazione tecnica (anticipata già dai suoi personaggi donizettiani o rossiniani).

Finalmente a Marcellina non è negata la possibilità di mettersi in gioco. Opportunità offerta non solo ammettendo l’aria «Il capro e la capretta», generalmente tagliata, ma sottraendo il personaggio a quella consuetudine registica che vuole la governante come una vecchia zitella. Siamo qui dinnanzi a una donna di mezz’età, ancora piacente, che tanto ha ancora da dire, da insegnare e da divertirsi nell’intricato mondo delle relazioni. Francesca Paola Geretto raccoglie con successo la sfida regalando freschezza ed energia alla sua Marcellina. La voce è voluminosa e ben amalgamata a quella di Susanna nel duetto. La generosità dell’emissione tuttavia è spesso eccessivamente fragorosa e nell’aria si avvertono durezze e imprecisioni nelle agilità. Lo stesso dicasi per Bruno Lazzaretti nei panni di Don Curzio, valido scenicamente ma meno a fuoco nella resa musicale. L’aria «In quegli anni in cui val poco» conferma la presenza di forzature in acuto che si ha modo di notare anche nel concertato finale. Costa molto ammettere le mende vocali di Bruno Praticò perché il suo Bartolo vanta un’irresistibile verve comica che non trova parallelismo nel canto, ormai logoro e poco percettibile, come testimonia la cavatina, nonostante il rassicurante supporto di Quatrini. Dall’aggraziata Barbarina di Lara Lagni traspare tutta l’ingenuità della donna acerba e questa semplicità vede corrispondenza nella voce adamantina. Corretti Paolo Antognetti (Don Curzio) e Dario Giorgelè (Antonio). Ottima la prova del coro preparato dal maestro Vito Lombardi.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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