Amore, rabbia e mambo
di Roberta Pedrotti
Buon successo per la nuova produzione del capolavoro di Bernstein al Comunale di Bologna in collaborazione con la Bernstein School.
BOLOGNA, 12 luglio 2018 - Fin da quando il primo ominide ha alzato lo sguardo ergendosi da quadrupede a bipede, la nostra specie è stata una specie in cammino. Fra i primi fossili, con femori, crani e bacini, stanno orme impresse nel terreno da popolazioni in movimento. Nessuno, sulla terra, può dirsi autoctono, perché nelle radici più o meno remote di ciascuno, anche quando si tende a dimenticarlo, c'è una storia di migrazioni.
Se lo dimenticano i caucasici Jets, che pur – come buona parte degli statunitensi – di varie e non troppo lontane origini europee rivendicano una primogenitura americana sugli ispanici Sharks, nella maggior parte trasferitisi di recente dalla natìa Porto Rico. La guerra fra poveri, fra ragazzi sbandati senz'arte né parte, vite vuote senz'altro interesse che sentirsi un branco, trovare un nemico ed eccitarsi nella mischia è tremendamente attuale nell'intelligenza somma con cui Bernstein (e i suoi librettisti Laurents e Sondheim) la mettono in scena in West Side Story. Lo è nella salace parodia di “Gee officer Krupke” in cui i ragazzi passano in rassegna e sbeffeggiano tutti i fallimentari sistemi di controllo e recupero degli emarginati (polizia, giustizia, psicologia, servizi sociali, lavoro). O, viceversa nel drammatico duetto in cui Anita rimprovera a Maria di amare l'assassino di Bernardo prima di unirsi nel canto di una dolente solidarietà sentimentale femminile.
Se ci fosse bisogno di una conferma che Leonard Bernstein sia stato uno dei più grandi geni della musica del '900, un Re Mida capace di trasformare in oro qualunque nota, sia che scrivesse, sia che impugnasse la bacchetta o che, semplicemente, ne parlasse, ogni ascolto di West Side Story è una nuova conferma. Il linguaggio teatrale del musical mostra tutta la sua maturità e indipendenza ai massimi livelli, senza trasformarsi in una sorta di pseudo-opera, giocare (o cadere nel tranello) della sofisticheria intellettuale: viceversa, esplode con la sua energia, rilegge con un ritmo e una verve irrefrenabili la commistione di commedia e tragedia che da Shakespeare sedusse e turbò i secoli successivi, lo fa con una scrittura finissima, colta, sì, profonda, sì, ma d'una freschezza impareggiabile, che non sente minimamente i suoi oltre sessant'anni d'età. Nemmeno in quella sorta di lieto fine che rende Tony quasi una vittima sacrificale e salva Maria, affinché si faccia luce di speranza per un futuro migliore di pace fra uomini in cammino. Possiamo ancora noi credere a questa speranza? Sarebbe bello pensare, e almeno qui con Bernstein possimo farlo, che possa davvero esistere un mondo meno oscuro di quello in cui stiamo vivendo oggi.
Poiché tutti gli aspetti più problematici del testo risiedono proprio nel modo aproblematico con cui il dramma è vissuto dalle due bande finché non esplode la tragedia, nel contrasto fra l'ironia e la brillantezza con cui sventatamente si giunge sull'orlo del precipizio. Così, funziona benissimo l'agile impianto dell'allestimento bolognese realizzato per il centenario della nascita del compositore in collaborazione fra il Comunale e la Bernstein School diretta da Shawna Farrell. Proiezioni e pannelli mobili delineano l'azione con rapidi ed efficaci cambi (scene di Giada Abiendi), i costumi di Massimo Carlotto sono ben caratterizzati, così come funzionano perfettamente le coreografie di Gillian Elizabeth Bruce nel disegno registico esperto di Gianni Marras. Sul podio Timothy Brock può contare sulla duttilità dell'Orchestra del Comunale nell'affrontare diversi linguaggi novecenteschi e conferisce uno slancio fisico coinvolgente allo spettacolo. Ciò è possibile grazie anche alla solida preparazione di un cast giovane quanto già ben disinvolto sotto il profilo musicale, tersicoreo e attoriale. In particolare colpisce il carisma della coppia Bernardo-Anita, con i bravissimi Massimiliano Carulli e Francesca Ciavaglia, cui fanno da contraltare il Tony di Timothy Pagani dalla perfetta aria da bravo ragazzo e la Maria fresca e intensa di Caterina Gabrieli. Ottimo, comunque, tutto il folto cast in cui vanno citati almeno lo spavaldo Riff di Alessio Ruaro, l'energica Anybody's di Elisa Gobbi, il Chino di un Mattia Cavallari assai convincente nella metamorfosi da innocuo giovanotto ad assassino, il disincantato Doc di Domenico Nappi, il corrotto e razzista Schrank Andrea Rodi, il Krupke di Luca Asioli e, soprattutto, la toccante e applauditissima Francesca Marsi, interprete di Somewhere.
Buona risposta di pubblico per queste recite estive e grandi applausi per un riuscito omaggio a Bernstein che prosegue la felice consuetudine del musical al Comunale.
foto rocco Casaluci