Il convitato in vestaglia
La ripresa della produzione di Don Giovanni firmata da Jean-Louis Martinoty conferma un'impostazione frammentaria, compensata dal passo incalzante della concertazione di Antonello Manacorda. Luci e ombre nel cast per un'applaudita serata di repertorio.
VIENNA, 17 marzo 2019 - Nella stagione che celebra i centocinquanta anni dall’inaugurazione dell’attuale Wiener Staatsoper, torna, come spesso è accaduto, sul palcoscenico del massimo teatro viennese la prima opera che in assoluto fu qui rappresentata: Don Giovanni.
Qualche tempo fa avevamo già auto ventura di assistere all’allestimento di Jean-Louis Martinoty, che sicuramente desidera puntare su un concetto di irreale, con delle scene destrutturate e dei costumi assai poco uniformi per caratterizzazione; tuttavia l'intuizione appare, anche vedendo la produzione una seconda volta, un’incompiuta, con molte idee già viste e poco legate fra loro. La recitazione dei cantanti è affidata, al contrario, a una sostanziale tradizione, con poche trovate originali. L’unico appunto relativo ai movimenti si può attribuire all’ingresso del Commendatore nel finale. Lo spettro del padre di Donna Anna non è inquietante, opprimente; la manifestazione di un perturbante che tormenta Don Giovanni fin dal duello iniziale: è un signore in vestaglia che esce dalla tomba in vestaglia e discende goffamente sulla tavola del libertino. Poco altro da aggiungere su uno spettacolo assai noto e che presto verrà sostituito dalla dirigenza viennese.
La concertazione di Antonello Manacorda aiuta a conferire fluidità a uno spettacolo che, sul piano registico, ne avrebbe poca. I numeri si susseguono incalzanti con un’agogica assai serrata: l’orchestra risponde bene e teatralmente la linea scelta dal direttore funziona. L’insieme dell’opera ne guadagna, perlomeno in questo contesto. Buone le dinamiche, più tradizionali, ma conformi alla scelta interpretativa.
Peter Mattei è un buon Don Giovanni, molto disinvolto nella recitazione e sicuro vocalmente. Dispiace solo per qualche piccola difficoltà nel seguire i tempi del concertatore (qui effettivamente fin troppo celeri) in “Fin c’han dal vino”.
Jinxu Xiahou (Don Ottavio) ha una bella voce e discreta musicalità. Il fraseggio è corretto nell’accentazione e così l’emissione nei pianissimi, come nell’impeto. Peccato per numerosi inciampi nella pronuncia del testo di Da Ponte, specialmente in “Dalla sua pace”, musicalmente ben eseguita.
Bene la Donna Elvira di Véronique Gens, brava attrice, canta adeguatamente e fraseggia con gusto. Migliore del cast è il Leporello di Adam Plachetka (che avevamo visto come Don Giovanni nella scorsa edizione), a suo agio nella tessitura mozartiana, attore spigliato e sicuro musicista. Di lui, nonostante non canti molto in Italia, è da sottolineare la precisione nella dizione.
Delude la Donna Anna di Olga Peretyatko, che sopperisce a un peso vocale assai esile con un’accentazione che la porta lontana dallo stile mozartiano. Talvolta alcuni suoni risultano gonfiati e l’intonazione non è sempre precisa. Nell’aria del secondo atto trova grande difficoltà nella gestione dei fiati e nell’esecuzione di agilità che sovente vengono aspirate.
Parimenti la Zerlina di Daniela Fally risulta cantante non adatta a spazi ampi come quelli della Wiener Staatsoper a causa di un peso vocale insufficiente e, seppur musicalmente è corretta, non riesce a spandere il suono per l’intero ambiente.
Completavano il cast il bravo Masetto di Peter Kellner e il Commendatore dell’esperto Dan Paul Dumitrescu.
Bene il coro della Staatsoper, diretto nell’occasione da Martin Schebesta.
Per la parte visiva, oltre al regista Jean-Louis Martinoty, ricordiamo le scene di Hans Schavernoch e i costumi di Yan Tax. Le luci erano di Fabrice Kebour.
Al termine la serata riscuote un buon successo da parte di un pubblico principalmente composto da turisti, assai divertiti dalle vicende Burlador di Siviglia raccontato da Mozart e Da Ponte.
foto © Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn