Sulle ali di Brahms
di Alberto Ponti
La coppia di giovani interpreti dà luogo a una lettura con luci ed ombre, ma non priva di suggestioni, del primo concerto dell'autore tedesco. Nel Ravel di Daphnis et Chloé lo sfoggio di virtuosismo strumentale si coniuga con un'urgenza espressiva intensa e sincera
TORINO, 3 maggio 2019 - Se la musica italiana del Novecento non fosse così negletta, con una manciata di eccezioni, nei programmi internazionali, ci sarebbe un capolavoro che un direttore attivo anche e soprattutto nel repertorio moderno e contemporaneo come il trentaquattrenne Maxime Pascal non dovrebbe lasciarsi sfuggire: il Concerto dell'Albatro di Giorgio Federico Ghedini. Il maestro francese, senza bacchetta, mani lontanissime dal corpo, braccia allargate quasi a voler spiccare il volo, evoca infatti, al debutto sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, l'apertura alare dell'imponente volatile. Paradossalmente il gesto, comunque bellissimo ed elegante a vedersi, si fa più contenuto di fronte all'enorme organico richiesto per i Fragments symphoniques dal balletto Daphnis et Chloé (1911) di Maurice Ravel (1875-1937) eseguiti nella seconda parte del concerto torinese di giovedì 2 e venerdì 3 maggio, che durante l'esecuzione del Concerto n. 1 in re minore op. 15 (1854-58) di Johannes Brahms (1833-1897), presentato in apertura con Beatrice Rana al pianoforte. Questione di stile, e indice di personalità da vendere. Se tuttavia osservassimo per qualche istante un filmato senza audio dell'attacco, in piano, del sublime, metafisico Adagiobrahmsiano verrebbe da pensare al climax di un poema sinfonico di Richard Strauss.
L'occasione di vedere all'opera due interpreti giovani, di indubbio talento e già affermati è sulla carta assai ghiotta, anche se le rispettive idee sulla partitura di Brahms sembrano alla prova dei fatti abbastanza divergenti. La direzione di Pascal è puntuale ma sovente algida, priva di quel pathos romantico che in un pezzo scritto da un compositore poco più che ventenne alla metà dell'Ottocento è un dato di fatto e non una scelta personale. Non aiuta la scelta di un tempo dilatatissimo, in particolare nei primi due movimenti, con il primo (Maestoso) più vicino a un Andante che a un Allegro. La pulizia del timbro di ogni strumento e la precisione degli attacchi dimostrano d'altronde un'ottima capacità analitica, evidente al massimo grado nel fugato a metà del Rondò, dove la resa espressiva e la compenetrazione tra solista e orchestra raggiungono gli esiti migliori dal punto di vista poetico.
Il pianismo di Beatrice Rana, da par suo attento e politropo, diffonde un calore profondo ma si trova talvolta imbrigliato nell'asciuttezza quasi novecentesca della visione di Pascal. A soffrirne non sono gli episodi contrastanti e di maggior potenza sonora, nei quali la Rana sa farsi valere con graduato ma irresistibile virtuosismo, bensì piuttosto i passi in mezza luce, come il magnifico secondo tema (Poco più moderato) del movimento iniziale che pare nascere dal nulla di una giornata nordica dai contorni sfumati dalla nebbia ma, dopo l'esposizione vaporosa e suggestiva del pianoforte, scivola via senza troppo mordente tra la ripresa un po' distaccata dei legni e degli archi a cui nemmeno l'intervento del corno riesce a imprimere il senso di infinito struggimento celato tra le sue note. La musicista pugliese emerge, con sicurezza e libertà interpretativa, nel grandioso sviluppo successivo, che palesa, nel denso intreccio costruttivo, l'originario progetto di una sinfonia portato avanti da Brahms prima del suo abbandono in favore di un concerto solistico. Dopo l'Adagio,ancora caratterizzato dal dissidio tra l'animo espansivo del pianoforte e la centellinata distillazione di suono organizzata dal podio, il Rondò (Allegro non troppo) vede finalmente le due anime dei protagonisti allineate in un discorso brillante e persuasivo, dove il gioco dei rimandi e dei richiami tra solo e tutti si arricchisce in un crescendo emotivo destinato a trovare il naturale culmine nella Cadenza quasi Fantasia e nella stupefacente coda seguita dagli applausi convinti del numeroso pubblico.
Una valutazione a parte va fatta, per il solo Pascal, nella selezione da Daphnis et Chloé, consistente in quelle che sono in genere note come Suite n. 1 e n. 2. Qui il direttore è nel suo elemento naturale, dando prova di una completa padronanza degli amplissimi mezzi sfoderati dalla scrittura di Ravel. La cura del fraseggio in ogni sezione dell'orchestra, lo sfavillare dei colori, il controllo di una varietà ritmica affascinante ma di notevole complessità rivelano, grazie al peraltro ottimo supporto dei professori della Rai, una sensibilità matura, originale e intrigante, in grado di magnetizzare l'attenzione della sala sia nel languore sensuale del Nocturne che nel dinamismo plastico del Lever du jour e della Pantomime, scatenandosi a briglia sciolta nell'ebbrezza orgiastica della Danse guerrière e della Danse générale.
L'entusiastica accoglienza della platea tributa il giusto riconoscimento a due protagonisti delle stagioni concertistiche di oggi, entrambi dotati di grande comunicativa e che sembrano non temere, assecondando la propria marcata personalità, alcuni eccessi o forzature. Da un lato Beatrice Rana, già ospite più volte dell'auditorium di via Rossini, dimostra di saper spaziare con nonchalance da Bach a Prokof'ev , anche se risulta difficile dire in quale repertorio potrebbe diventare un'interprete di riferimento (la tendenza a un'espressività affatto schumanniana, lato Florestan, nel bis dei due studi op. 25 n. 5 e n. 9 di Chopin suggerisce un'inquietudine creativa in corso che potrà riservare sorprese). Dall'altro lato è invece presto per capire se Maxime Pascal saprà raccogliere il testimone della gloriosa tradizione francese dei Prêtre, dei Plasson, dei Boulez. L'elettrizzante lettura raveliana potrebbe suggerirlo, ma forse il bello della musica rimane in una ricerca infinita e mai sazia che fa a meno delle etichette, rinnovandosi ad ogni nuovo ascolto dal vivo.
Foto: Più Luce per Orchestra Rai