Schubert intorno al fuoco
di Antonino Trotta
All’Unione Musicale di Torino il recital di Lilya Zilberstein e dei figli Daniel e Anton Gerzenberg riscuote un caloroso successo.
Torino, 15 gennaio 2020 – L’auditorio del conservatorio Giuseppe Verdi di Torino come il salotto di casa, madre e figli riuniti intorno al pianoforte come fosse il focolare domestico. E il sorriso della pianista russa, smagliante d’orgoglio, quand’ella entra in scena stringendo per mano le sue due creature, definisce con inequivocabile tenerezza l’atmosfera della serata. Insieme suonano il Rondeau brillante op. 227 per pianoforte a sei mani di Carl Czerny – nella seconda parte –, opera dal carattere marziale e pomposetto che vuole celebrare un momento di allegra convivialità. Da qui in poi, i fratelli Gerzenberg devono cavarsela da sola. E lo fanno benissimo.
In un concerto a quattro mani Schubert è tappa obbligata. Del resto il salotto musicale della Vienna di inizio Ottocento è quello del quattro mani pianistico, profondo simbolo di amicizia, affabilità, ma anche esternazione di una necessità anzitutto spirituale. Spiritualità che Schubert riversa appieno Rondo in la maggiore D. 951, componimento dell’ultima maturità – se così possiamo scandire una vita purtroppo breve – che Daniel e Anton Gerzenberg affrontano in un clima di vibrante armonia. Ne risulta allora un’esecuzione che vuole sì esaltare la vena prepotentemente lirica dei temi, spesso sognanti, senza però tralasciare, né porre in secondo piano, la serenità della condivisione della tastiera. I Morceaux op. 11 appartengono invece al periodo giovanile di Rachmaninov: sono il laboratorio di un compositore che si sta facendo le ossa, un esercizio di stile che in parte già anticipa alcune caratteristiche della scrittura pianistica futura, specialmente quella dei preludi e degli studi. E in queste sei pagine che esigono la spesa di risorse più espressive che tecniche, i fratelli Gerzenberg esibiscono una raffinata proprietà di linguaggio – buon sangue non mente! –, una cantabilità pronunciata e un grande affiatamento che si riflette nel perfetto equilibrio della parti.
Della prima parte del concerto protagonista assoluta è Lilya Zilberstein che, dismesse le vesti di madre e insegnante, impone e espone tutto il suo pianismo di razza. Se le 24 Variazioni in re maggiore sopra l’arietta «Venni Amore» di Vincenzo Righini per pianoforte WoO 65 di Beethoven le offrono l’occasione per fare sfoggio di tecnicismo d’alta scuola, di un controllo assoluto dello strumento e in generale di un virtuosismo in punta di fioretto, con i 6 Momens musicals per pianoforte D. 780 op. 94 di Schubert l’interprete svetta ai massimi livelli. Zilberstein domina l’interminabilità del discorso schubertiano, sospeso a metà tra l’oleografico sentimentalismo – a cui spesso, erroneamente, Schubert è ridotto – e un senso di profondo turbamento, perché no cupo e malinconico, con un fraseggio carico di potenza drammatica. Il terzo brano della raccolta, l’Allegro moderato in fa minore, è esempio sublime dello Schubert bifronte, un ballabile che altalena tra minore e maggiore per sfaccettare quei profili melodici di grande intensità emotiva: Zilberstein lo esegue magnificamente, ora variando la caratteristica del tocco, ora affilando l’amplissimo ventaglio dinamico di cui dispone. Si percepisce poi uno straordinario senso della misura nella lettura, frutto succoso di una musicalità di rango e di un’analisi approfondita della partitura, che erge Schubert alla sua più nobile statura.
Concerto davvero ragguardevole concluso con due bis: Valse e Romance per pianoforte a sei mani di Rachmaninov. Daniel e Anton Gerzenberg sono bravi, ma la mamma è sempre la mamma.